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Kolakowski e la rivincita del sacro

di Leszek Kolakowski - 06/11/2006

Cancellare dall’orizzonte umano ogni sorgente di senso significa piombare «in una notte in cui tutto è ugualmente buono, e tutto è anche ugualmente indifferente». Una riflessione del grande filosofo polacco

Viviamo in un mondo in cui tutte le forme e tutte le distinzioni ereditate subiscono attacchi violenti, in nome di un ideale di omogeneità totale e tramite equazioni vaghe secondo cui ogni differenza vuol dire gerarchia, ogni gerarchia oppressione. Talvolta abbiamo l’impressione che tutti i segni e tutte le parole che, nel formare la nostra rete concettuale di base, mettevano a nostra disposizione un sistema di distinzioni rudimentali stiano crollando sotto i nostri occhi: è come se tutte le barriere tra nozioni opposte via via si cancellassero. Nella vita politica non ci sono più distinzioni nette tra guerra e pace, sovranità e servitù, invasione e liberazione, uguaglianza e dispotismo; non ci sono più distinzioni incontestabili fra carnefice e vittima, uomo e donna, tra le generazioni, tra crimine ed eroismo, legge e violenza arbitraria, vittoria e sconfitta, sinistra e destra, regione e follia, medico e paziente, maestro e discepolo, arte e ciarlataneria, scienza e ignoranza. Siamo passati da un mondo in cui tutte queste parole estraevano e identificavano oggetti, qualità e situazioni ben definiti, raggruppati in coppie opposte, a un mondo in cui le opposizioni e le classificazioni più importanti hanno smesso di avere corso.
La mia è una difesa dello spirito conservatore, non lo nego. Ma – riserva importante – si tratta di uno spirito conservatore sub condicione, cosciente non solo della propria necessità, ma anche della necessità di ciò che gli si oppone. Esso di conseguenza sa – cosa che il suo avversario solo di rado è pronto a riconoscere – che la tensione fra la rigidità della struttura e le forze di trasformazione, fra la tradizione e la critica, costituisce la condizione stessa della vita umana.
Lo spirito conservatore si ridurrebbe a una soddisfazione vana e vuota se non sospettasse continuamente di se stesso, se non si ricordasse fino a che punto fu, è e potrà sempre essere utilizzato per l’autodifesa del privilegio sociale irrazionale. In effetti il sacro non ha la sola funzione di stabilizzare le distinzioni fondamentali della cultura dotandole di un senso addizionale che non è attingibile altrove se non nell’autorità della tradizione. Distinguere tra sacro e profano significa già negare l’autonomia totale dell’ordine profano e riconoscere i limiti del suo perfezionarsi. Poiché il profano è stato definito in opposizione al sacro, la sua imperfezione è riconosciuta come intrinseca e, in una certa misura, come incurabile. Quando scompare il senso sacro dalle qualità della cultura, a sparire è il senso tout court. Con la scomparsa del sacro che imponeva limiti alla perfettibilità del profano non tarda a diffondersi una delle più pericolose illusioni della nostra civiltà: l’illusione che le trasformazioni della vita umana non conoscano confini, che la società sia «per principio» del tutto malleabile, e che negare questa perfettibilità e questa malleabilità significhi negare l’autonomia totale dell’uomo, dunque negare l’uomo stesso.

Quest’illusione non soltanto è folle, ma non può che terminare in una disastrosa disperazione. La chimera nietzschiana o sartriana, così diffusa tra noi, secondo cui l’uomo può liberarsi di tutto, liberarsi totalmente da ogni tradizione e da ogni senso preesistente, la chimera che proclama che ogni senso si lascia decidere secondo una volontà o un capriccio arbitrari – questa chimera, lungi dall’aprire all’uomo la prospettiva dell’autocostituzione divina, lo sospende nella notte.
Ma in questa notte in cui tutto è ugualmente buono, tutto è anche ugualmente indifferente. Credere che io sia il creatore onnipotente di ogni senso possibile significa credere che non ho alcuna ragione per creare una cosa qualsiasi. Ma è una credenza che non si lascia ammettere in buona fede, e che può produrre soltanto una fuga rabbiosa dal niente verso il niente. Essere del tutto liberi rispetto al senso, essere liberi da ogni pressione della tradizione significa situarsi nel vuoto, dunque semplicement e andare in pezzi. L’utopia della completa autonoma dell’uomo e la speranza nella perfettibilità illimitata sono forse i più efficaci strumenti di suicidio che la cultura umana abbia mai inventato. Rifiutare il sacro significa rifiutare i limiti dell’uomo e rifiutare anche il male, poiché il sacro si scopre attraverso il peccato, l’imperfezione, il male, e il male, a sua volta, non è identificabile che attraverso il sacro. Dire che il male è contingente significa dire che il male non esiste, dunque che non abbiamo bisogno di un senso che s’imponga in quanto senso costituito, imprescindibile. Ma significa anche dire che, per decidere del senso, non abbiamo altri mezzi che le nostre pulsioni innate; significa dunque condividere la fiducia infantile dei vecchi anarchici nella bontà naturale dell’uomo, oppure ammettere che l’uomo si afferma solo quando diventa ciò che era prima della cultura, e cioè che si afferma solo in quanto animale non addomesticato. Così l’ultima parola dell’ideale della liberazione totale è la garanzia offerta alla forza e alla violenza; insomma l’assenso al dispotismo e alla distruzione della cultura.
Se è vero che per rendere la società più tollerabile bisogna credere che essa si lasci migliorare, è anche vero che bisogna sempre che ci siano persone che pensino al prezzo pagato per ogni passo compiuto sulla strada di ciò che viene chiamato progresso. L’ordine del sacro è anche la sensibilità al male – unico sistema di riferimento che permetta di rilevare questo prezzo da pagare e che obblighi a domandarsi se non sia esorbitante.
In un mondo ipotetico da cui il sacro fosse stato spazzato via resterebbero solo due eventualità: o il fantasma vano, e conscio di essere tale, o il soddisfacimento immediato che si esaurisce in se stesso. Ci sarebbe solo la scelta proposta da Baudelaire: gli amanti delle prostitute e gli amanti delle nuvole; coloro che conoscono soltanto il soddisfacimento dell’istante, e che perciò sono spregevoli, e coloro che si perdono nell’immaginazione oziosa, e che perciò lo sono altrettanto. Tutto allora è spregevole, e così sia. E la coscienza affrancata dal sacro lo sa, benché se lo nasconda.