Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Le lobby curano il farmaco

Le lobby curano il farmaco

di Andrea Angelini - 07/11/2006

 


C’è da fidarsi dei farmaci in commercio e delle sperimentazioni che ne testano e ne garantiscono gli effetti positivi per la nostra salute? La domanda è meno peregrina di quanto si pensi. Infatti il V rapporto nazionale sulla sperimentazione clinica dei medicinali in Italia, relativo al 2005, realizzato dall’Osservatorio nazionale dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) evidenzia una realtà complessa. Solo una sperimentazione di farmaci su quattro (26%) in Italia è infatti indipendente mentre il resto è sostenuta e finanziata da aziende produttrici di medicinali sempre pronte a muoversi per zittire gli eventuali critici. Una percentuale, quella del 25%, che è in ogni caso positiva in quanto è superiore a quella di altri paesi come la Germania dove la lobby delle imprese farmaceutiche è potentissima per l’enorme quantità di denaro che può manovrare. Basti pensare ad autentici colossi mondiali come la Bayer, la Hoechst e la Boehringer, assai poco propense a che strutture indipendenti possano testare i farmaci senza pressioni e controlli da parte loro.
Così Carlo Tomino, direttore dell’Ufficio Sperimentazione e Ricerca dell’Aifa, ha lanciato un allarme sottolineando che se si guarda ai numeri assoluti delle sperimentazioni farmaceutiche in Italia, ci si accorge di essere di fronte a cifre “di molto inferiori a quelle di altre nazioni concorrenti” perché da noi la ricerca sui farmaci cresce, ma molto lentamente. Si passa dalle 560 sperimentazioni del 2000 alle 620 del 2005. Poche sono quelle della cosiddetta fase I (per determinare la dose massima tollerata di un farmaco e la dose che provoca determinati effetti collaterali.) che invece “rappresenta il migliore investimento per il futuro del settore”. E in Germania, precisa Tomino, le sperimentazioni arrivano quota 1.000 l’anno, di cui molte proprio di fase I. Ed è una conseguenza fisiologica che il 40% dei brevetti biotecnologici europei sia tedesco grazie agli investimenti mirati realizzati negli anni scorsi. Mentre in Italia le sperimentazioni di fase I, anche se in crescita, sono il fanalino di coda con un 2,3% nel 2005.
Per Tomino in Italia resta tuttora un’eccessiva burocratizzazione delle procedure per valutare le domande per le sperimentazione di fascia I la cui scarsità “impedisce l’acquisizione del know-how necessario a seguire il prodotto fino alla sua completa realizzazione, una programmazione che consentirebbe all’intero sistema di creare ricchezza”. E se c’è poca ricerca, l’Italia resta un ghiotto mercato per la vendita di prodotti pensati, sviluppati e creati all’estero. Quale sarebbe quindi la soluzione? Evidentemente aiutare i produttori di farmaci, il che costituisce una contraddizione in termini con le considerazioni di partenza sulla necessità di avere un osservatorio indipendente!
Secondo Tomino infatti, “la situazione della ricerca farmaceutica nel nostro Paese resterà sofferente finché l’Italia non renderà appetibili gli investimenti per le aziende farmaceutiche, che da sole finanziano tre quarti delle sperimentazioni. E’ necessario un quadro normativo e politico stabile che non sia punitivo dalle aziende, che altrimenti continueranno a investire altrove. Anche perché – ha concluso ironicamente - noi non abbiamo molti filantropi alla Bill Gates che intendono finanziare studi scientifici”.