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90 morti al giorno per errori medici. Scandalo o bufala?

di Roberto Satolli* - 07/11/2006

I media riportano 90 morti al giorno per errori medici: la questione è seria ma le cifre non sono nuove
 
 
La storia dei 90 morti al giorno per errori medici negli ospedali italiani è una bufala. Non perché la questione non sia seria, ma perché tutti hanno ripubblicato, come se fossero nuove, cifre in realtà vecchie di molti anni e prive di fondamento scientifico.
Lo scandalo semmai è che non ci sia una seria indagine nazionale su quanti e quali sono gli errori che si commettono in ospedale, e quali danni producano. Perché il rischio c'è, ed è grave, ma per affrontarlo occorre innanzitutto conoscerlo bene e liberarsi dai luoghi comuni.
 
 Per prima cosa bisognerebbe smettere di sorprendersi che ci siano errori e morti, pochi o tanti che siano, e di pensare che sia solo una questione di malasanità, come si ama ripetere. I morti ci sono negli USA, in Gran Bretagna e in tutti i paesi più avanzati al mondo, anche se le cifre non sono certe per nessuno.
Per esempio, nel 1999 un rapporto dell'Institute of Medicine statunitense aveva stimato che gli errori e le negligenze negli ospedali americani provocassero dai 44 mila ai 98 mila morti l'anno (da 120 a 270 al giorno). Nello stesso periodo in Gran Bretagna era uscita una stima di 70 mila morti l'anno per errori medici (190 al giorno). Però l'ultimo studio britannico, l'anno scorso, ha ridimensionato la cifra a 840 decessi l'anno in tutto.
Dunque nessuno sa bene quanti siano gli incidenti fatali, ma è certo che bisogna urgentemente fare qualcosa per prevenire quelli evitabili, che sarebbero circa la metà.
 
Quando l'errore medico salta fuori, la reazione di tutti - cittadini, media, autorità e operatori - è ancora quella di cercare un colpevole da mettere alla gogna. Non può funzionare: paura e punizione non producono sicurezza, ma inducono all’occultamento e alla difesa. Sempre più spesso invece l’errore non dipende da negligenza individuale, ma da magagne strutturali presenti nell’organizzazione, negli strumenti e nelle procedure, che possono essere individuate e corrette.
 
David Berwick, autore dello studio Usa di 7 anni fa, si è rimboccato le maniche e con il suo Institute for Health Care Improvement (ente non-profit) ha lavorato per costruire un'iniziativa, su base volontaria e senza incentivi economici, che mette insieme catene di ospedali, organizzazioni professionali di medici e infermieri e istituzioni federali e statali per cambiare la musica. A metà giugno scorso si sono tirate le fila, confrontando, negli oltre 3 mila ospedali che hanno aderito (tre su quattro), la mortalità degli ultimi 18 mesi con quella dell'anno precedente. Risultato: si sono contati ben 120 mila decessi in meno.
 
Il segreto di un successo così clamoroso sta nell'aver definito un numero limitato di obiettivi semplici e chiari, ben fondati su prove scientifiche e capaci di salvare una vita. Per esempio in molti ospedali statunitensi nell'ultimo anno non si è contato neppure un caso di polmonite da respiratore meccanico, grazie solo a quattro semplicissime regole, tra cui quella di tenere il paziente con la testa del letto sollevata. In altri reparti gli operatori si sono impegnati a lavarsi le mani prima di toccare i cateteri, oppure a ricordarsi di prescrivere un'aspirinetta prima di dimettere un paziente colpito da infarto. Sommando uno per uno questi piccoli passi banali e moltiplicandoli per migliaia di centri sparsi per gli Usa si è giunti in pochi mesi a risparmiare decine di migliaia di vite umane.
 
* Roberto Satolli, medico e giornalista scientifico, direttore di Occhio Clinico