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Il paziente impone la cura

di Gustavo Guizzardi - 07/11/2006


 
Il mondo della medicina diventa sempre più complesso. Non soltanto per gli indubbi progressi nel campo scientifico, che danno luogo a specializzazioni crescenti e risultati di indubbia portata, ma anche per il fatto che esistono e si diffondono medicine "altre". Sono quelle che inizialmente, una decina di anni fa, venivano chiamate alternative e che rapidamente sono passate alla qualifica di complementari, il che indica la possibilità di una accettazione di esse da parte della medicina ortodossa, pur in una collocazione subordinata e con la reputazione di utilità circoscritta a particolari tecniche e patologie. Più recentemente si fa strada l'ipotesi di una medicina integrata, per segnare l'attenzione che la medicina convenzionale pone verso una parte di esse e viceversa l'interesse delle medicine altre a tralasciare posizioni oppositive e ad accettare la sfida posta dalla bio-medicina.(
Autorevoli riviste americane e inglesi hanno aperto la strada, negli ultimi anni del secolo scorso, a questo cambiamento, mentre sorgono riviste di medicine "altre" che si pongono sul cammino di una convergenza con la metodologia scientifica. Il processo, tuttavia, è innescato dall'esterno: non dai medici e dai ricercatori, ma dai pazienti.

E' il successo di pubblico, la crescente richiesta di metodi altri di cura il fenomeno che si impone all'attenzione, fino a far chiedere agli studenti della prestigiosa Harvard Medical School di inserire insegnamenti di medicine "alternative" nel loro curriculum di studi.

Le ricerche condotte negli Stati Uniti ed in Europa sugli utilizzatori delle medicine considerate "non ortodosse" mostrano concordemente che la domanda non proviene da gruppi sociali sprovveduti e marginali, ma da classi istruite, con reddito elevato e prevalenza di giovani e di giovani adulti. Un pubblico, in altre parole, importante e consapevole. Anche i dati qui riportati lo confermano. Certo, le ricerche che si continuano a condurre sull'efficacia terapeutica di queste medicine sollevano dubbi, spesso ampi o assai ampi, ma le stesse conclusioni dell'autorevole rivista Lancet di qualche mese fa, peraltro decisamente negativa a proposito dell'efficacia dell'omeopatia, pongono il problema in modo chiarissimo: "i medici devono essere franchi e onesti con se stessi riguardo ai fallimenti della medicina moderna nel dare risposte al bisogno di cure personalizzate da parte dei loro assistiti".Qui sembra essere il punto, avvertito in primo luogo dai medici di base e dagli operatori paramedici, significativamente i più a contatto con pazienti, che non abbandonano la medicina professata dai loro dottori, ma richiedono di affiancarla ad altre terapie, per fuggire ad un "modello di medicina eccessivamente tecnologico e incentrato sulla malattia", per usare le parole stesse di Lancet. Da parte di ambienti scientifici conservatori è possibile aspettarci il consueto richiamo: bisogna informare meglio, per eliminare l'ignoranza. Una via migliore sta invece nel ritenere che non siamo in presenza di cadute nell'irrazionale, ma nel chiederci piuttosto quali esigenze di ben-essere, quali richieste di salute complessiva, e non semplicemente di guarigione, stiano a monte del crescente successo delle medicine altre, quali esigenze di cura e di cura-di-sé siano potentemente presenti, pur senza negare gli importanti ed evidenti successi della medicina convenzionale. Il pluralismo medico è un dato di fatto, si tratta di riconoscere che ci viviamo entro.