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Clima: aspettando lo Zio Sam

di Vincent Defait - 08/11/2006







Due anni dopo la sua entrata in vigore, il protocollo aspetta già il rilancio. Riuniti a Montreal, l'anno scorso, i 141 Stati che l'hanno ratificato ne hanno abbozzato un prolungamento. La conferenza che si è aperta lunedì a Nairobi, in Kenya, deve permettere di cesellare la forma di questo nuovo accordo. Parallelamente si terrà la dodicesima conferenza tra le parti della Convenzione Clima dell'Onu, ratificata da 189 paesi, tra cui gli Stati Uniti. E' dunque tutta la diplomazia interessata al clima che si è data appuntamento sul suolo africano. All'ordine del giorno: mantenere al proprio posto i pesi grossi dell'economia mondiale ed assicurarsi che Kyoto non resterà orfana.

La riunione mondiale si apre sotto una pioggia di rapporti importanti. L'organizzazione meteorologica mondiale ha concluso da poco l'ennesimo accordo: l'anno 2005 ha raccolto la palma della concentrazione atmosferica di biossido di carbonio, principale gas a effetto serra. Qualche giorno prima l'Onu ha pubblicato un bilancio delle emissioni di questi stessi gas. Con una menzione solamente “passabile” per i paesi industriali che vedono le loro emissioni rialzarsi dal 2000. Infine, il governo britannico ha prodotto un rapporto che non mancherà d'alimentare le conversazioni a Nairobi. Per la prima volta, un economista, Nicholas Stern, si è impegnato a dimostrare che l'inerzia riguardo il cambiamento climatico costerebbe molto di più che gli investimenti sostenuti da oggi. Questa conferenza modificherà le cose? Sicuramente no, ma “il dramma si costruisce” commenta Laurence Tubiana, direttrice dell'Istituto dello sviluppo durevole e delle relazioni internazionali (IDDRI). Negli Stati Uniti, la posizione rigida dell'amministrazione Bush è messa male ed i principali Paesi emergenti sembrano pronti ad integrare una dimensione ambientale alla loro crescita economica. “Nairobi sarà l'occasione di vedere chiaramente quali strade gli Stati sono pronti a seguire”, prosegue la ricercatrice.

Da anni gli Stati Uniti, sostenuti dall'Australia, pretendono l'assenza di restrizioni per i paesi emergenti al fine di non impegnarsi. Questi ultimi rinviano lo zio Sam alle sue responsabilità nel surriscaldamento del clima. Intanto che l'Europa tende a mantenere il protocollo di Kyoto fuori dalle questioni internazionali. “Non ho più messo piede alle conferenze da tre anni, ma questa volta ci vado. Si riparte.” Assicura Laurence Tubiana.

Si attendono le elezioni americane

Resta “un nodo, gli USA”, dice Morgane Creach, responsabile del settore internazionale alla Rete azione clima (RAC).” Il segnale positivo è l'impulso dato dalla base, le città e gli Stati come la California” prosegue “Tutto il mondo, in effetti, attende le elezioni presidenziali americane del 2008”, taglia corto Sandrine Mathy, membro del RAC e ricercatrice al Centro internazionale di ricerca sull'ambiente e lo sviluppo (CIRED_CNRS). Tutti sono d'accordo intanto; “gli Stati Uniti dovranno far parte della danza”, ha detto Sandrine Mathy.

Ma per fare cosa? Più piste sono considerate, tra le quali un approccio settore per settore (trasporti, alloggi…) o l'attribuzione di bonus ai paesi in via di sviluppo che ridurrebbero le loro emissioni di gas a effetto serra. L'Europa dovrà ammettere di voler voltare la pagina Kyoto e fare completamente prova del suo impegno nella pratica.

In materia di regolamentazione internazionale, il protocollo fu uno schizzo. Si tratta ormai di disegnare dei nuovi contorni.


di Vincent Defait
traduzione per Megachip di Cristina Falzone

da L'Humanité