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Morire per Gaza?

di Giovanni Gnazzi - 10/11/2006

 

Diciannove civili morti? Un errore tecnico, niente di più. Così il Primo Ministro israeliano Olmert ha giustificato la strage di Beit Hanun, a nord di Gaza. Un problema di artiglieria, la spiegazione tecnica in base alla quale i palestinesi sono stati trucidati nel sonno. Uccidere i civili innocenti non è la nostra politica” ha dichiarato con notevole faccia tosta l’erede di Sharon. In effetti, a ben vedere, a Israele non risulta l’esistenza di palestinesi innocenti; nelle case o ai posti di blocco, nelle strade o negli ospedali; con bombe lanciate dagli aerei o dai cannoni, con attentati e raid, la fantasia degli Stranamore israeliani non conosce limiti. La politica è chiara: ucciderne quanti più possibile, diffondere terrore e paura, imporre alla comunità internazionale una ritualità di morte che renda ogni strage parte del racconto infinito dell’occupazione israeliana, come il ripetersi stanco di una lotta impari e di un destino ineluttabile, così da far ritenere come inutile ogni possibile intervento.

Tel Aviv afferma di esser pronta ad incontrare Abu Mazen per riprendere i colloqui di pace, ma sono moine obbligate dallo sdegno della comunità internazionale. Ehud Olmert non ha nessuna intenzione di cercare una soluzione politico-diplomatica del conflitto mediorientale e le sue affermazioni tipo “si sorprenderà a sentire quanto lontano siamo disposti ad andare”, devono suonare sinistre, dal momento che dal suo insediamento ad oggi ha mandato lontano solo i suoi carri armati ed ha cosparso di sangue Libano e Gaza. Proprio Abu Mazen, che sembrava esser riuscito ad ottenere una via libera da parte di Hamas su un nuovo Esecutivo “tecnico” dell’Anp, che avrebbe potuto fornire la cornice politica per il rilancio dei colloqui con gli israeliani, si trova ora in un vicolo cieco. Non solo l’ipotesi di dialogo è per il momento archiviata, vista la situazione, ma la strage di Beit Hanun è riuscita a compattare in un patto politico-militare tutte le componenti palestinesi. Da Al fatah ad Hamas, fino alla Jihad, l’obiettivo dichiarato, dopo la strage e davanti a migliaia di persone, è quello della vendetta: “Non ci sarà pace a Ashkelon o a Tel Aviv o ad Haifa – ha detto Abdul Hakim Awad, dirigente di Al fatah - finché non ci sarà pace per la gente di Beit Hanuna”. Si parla, sempre più spesso, di una sorta di “impegno d’onore” tra tutte le componenti della galassia palestinese “per fronteggiare il nemico comune”.

Israele dunque si prepara a ricevere la ritorsione palestinese e la tensione torna altissima. La possibilità di ripresa dei colloqui di pace è lontana; la manifesta insostenibilità di un clima di reciproci riconoscimenti, s’infrange sulle bare di queste ennesime diciannove vittime innocenti. L’omino che ha sostituito Sharon è visibilmente un esperto di bassa macelleria, insomma tutto meno che un politico avveduto e lungimirante. Le sue idee circa il conflitto israelo-palestinese possono essere scritte sul retro di un francobollo. E del resto, l’avvicinarsi di Lieberman alla compagine governativa guidata da Olmert copre ulteriormente le ansie xenofobe che caratterizzano la linea politica dell’Esecutivo di Tel Aviv nei confronti degli arabi in generale e dei palestinesi in particolare.
E se Hamas o la Jihad giurano vendetta davanti alle bare dei civili assassinati, la comunità internazionale, segnatamente Europa e Stati Uniti, sceglie ancora distinguo buoni per qualche articolo di giornale, ma certo inservibili per la situazione sul campo.

Diciannove bare innocenti, tra una folla di altrettanti innocenti che ne accompagnava il passaggio, sono a dimostrare quanto le parole non siano più sufficienti. La realtà sul terreno vede l’obbligo politico e morale da parte dell’Europa e delle Nazioni Unite di scegliere, una volta per tutte, d’intervenire decisamente. Un corpo internazionale di Caschi blu o truppe d’interposizione di un contingente internazionale a difesa dell’integrità fisica dei palestinesi è decisione non più rimandabile. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu discute una proposta palestinese, presentata dal Qatar, che chiede l'invio di una forza d'interposizione al confine tra Gaza e Israele simile a quella presente nel Libano del sud. Ma Washington non avrà remore nel bloccarla.
Dopo fantasmagoriche “road map” e presunti “accordi di pace”, restano solo la muraglia di Sharon, le cannonate di Olmert e gli insediamenti dei coloni che crescono. Inutile, semplicemente inutile in questo contesto, proporre negoziati tra l’Anp e Israele. Questi potranno avere luogo solo dopo che la comunità internazionale avrà messo la museruola del diritto al governo israeliano. Che non può continuare ad essere, nello stesso tempo, il primo violatore del diritto e anche l’unico che la comunità internazionale continua lasciar libero di non subirne le conseguenze.