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La guerra dell’acqua, tra sprechi dei ricchi e malattie dei poveri

di redazionale - 10/11/2006

L´oro bianco e i problemi globali che necessitano (anche) di azioni locali
Molte guerre sono state combattute e si continuano a combattere per il petrolio, ma oggi ( e sempre di più nei prossimi anni) è l’acqua la principale causa di conflitti potenziali tra le nazioni. Anzi, alcuni conflitti e tensioni come quello isreaelo-palestinese, o quelli del Corno d’Africa sono di fatto già guerre per l’acqua.
Una consapevolezza che è anche dell’Onu che cerca faticosamente di raggiungere uno degli obiettivi più difficili per rendere un po’ più giusto il mondo: assicurare ad ogni essere umano almeno 20 litri di acqua potabile al giorno, meno della metà di quanto un occidentale dei paesi più ricchi scarica nel water ogni giorno.

La mancanza di acqua pulita e di misure igieniche e l’inquinamento rendono un inferno in terra la vita di oltre 2 miliardi e mezzo di persone e causano tumori, tifo, epatite, ma anche la banale diarrea che è il killer maggiore della strage silenziosa dell’acqua che ogni anno si porta via due milioni di bambini.

L’80% delle malattie diffuse tra le popolazioni dei paesi in via di sviluppo è veicolato dall’acqua infetta, ogni anno 25 milioni di persone muoiono per questo, un terzo dei decessi nei paesi più poveri. Sulla Terra per un abitante su cinque avere a disposizione sufficiente acqua pulita per bere e lavarsi è una questione di vita e di morte.

Una cosa che riguarda soprattutto i paesi tropicali, ma tutta l’umanità è minacciata dalle patologie trasmesse con l’acqua e l’inquinamento. Si calcola che ogni anno ci siano 250 milioni di nuovi casi di infezioni, più o meno l´equivalente della popolazione degli Usa. Infatti, l’accesso all’acqua rappresenta solo una parte della soluzione, anzi a volte sono proprio le riserve idriche che contribuiscono al diffondersi delle malattie. Nelle arre urbane affollate l’acqua che si raccoglie intorno alle pompe a mano e nei serbatoi può diventare un luogo di riproduzione per le zanzare che portano dengue, febbre gialla e malaria. E nel 1990 un miliardo e 700 mila persone scaricavano all’aperto acque luride non trattate.

Una epidemia che sta devastando il sud del mondo non solo dal punto di vista sanitario, ma anche da quello economico, soprattutto in Africa.

L’Onu chiede ai paesi del G8 di coordinare un piano di aiuti internazionali da 3,4/4 miliardi di dollari all’anno ed ai governi di spendere l´1 % del Pil per l´acqua e l´igiene. Molto meno di quanto, anche nei paesi poveri, si spende per gli armamenti o per dotarsi di bombe atomiche

Il Rapporto dell’Onu calcola che ci sarebbe bisogno 10 miliardi di dollari ogni anno di investimenti globali, interni ed internazionali, per acqua e servizi di manutenzione e distribuzione delle reti idriche, meno della metà di quanto spendono i paesi ricchi ogni anno per l´acqua minerale. Ed un gabinetto con uno sciacquone basterebbero ad aumentare di molto le aspettative di vita di un bambino del terzo mondo.

Un degrado dell’uso della risorsa e delle strutture che sta creando gravi problemi e non solo ai poveri del pianeta.

In Olanda le aziende private dell’acqua finanziano gli agricoltori perché riducano fitofarmaci e fertilizzanti che altrimenti finirebbero in falda e in Gran Bretagna si calcola che un quarto dell’acqua che entra nella rete di distribuzione si perde in tubazioni rotte, mentre le pratiche irrigue, le grandi dighe ed il cambiamento climatico prosciugano o i grandi fiumi e provocano un indiretto impoverimento della biodiversità fluviale.

Sembra un campionario di quanto sta accadendo all’Arno in secca come ad agosto nel mese di novembre e dell’allarme lanciato da Asa in un recente convegno a Livorno su “sistema idrico integrato: pianificazione delle strategie ambientali e gestione delle criticità emergenti”.

Mentre il capoluogo provinciale importa i due terzi dell’acqua potabile dalla Garfagnana, a sud sono le falde ad essere in situazione critica per la presenza dei nitrati appena sotto del valore limite e per il cuneo salino che si insinua sempre più nell’entroterra di Cecina, Piombino e San Vincenzo ed all’Elba. E poi valori alti di metalli pesanti a Collesalvetti e Monteverdi, arsenico a Radicondoli, Castellina, Piombino, Campiglia, Suvereto e Monteverdi, per non parlare del boro della Val di Cornia che viene spedito via condotta sottomarina anche all’Elba. E poi c’è il temuto cromo esavalente rilevato nelle falde di Cecina, Collesalvetti e a Castagneto e la trielina percloroetilene a Cecina , 100 volte oltre il valore limite, e tenuta a bada grazie ad un impianto di trattamento.

Si perché se nei paesi poveri l’acqua è stressata dal sottosviluppo in quelli ricchi sono lo sviluppo poco attento all’ambiente, le industrie e l’agricoltura, il consumismo idrico, a mettere in crisi la risorsa. E così il rapporto tra prelievo e carico delle falde salta e i pozzi di pianura devono essere chiusi per inquinamento. Ma intanto all’Elba, che vive periodiche crisi idriche, il consumo procapite di acqua è il più alto della Toscana e forse d’Italia e troppo spesso l’acqua dei depuratori italiani (quando funzionano) non viene usata per usi agricoli ed industriali e finisce in mare.

Uno spreco insostenibile anche per i ricchi che dimostrano di non saper gestire l’oro bianco del Pianeta.

In tutto il mondo la conservazione e l’efficienza rappresentano la possibilità di soddisfare il fabbisogno idrico in modo sano per le persone e l’ambiente e vantaggioso per costi e benefici. I paesi in via di sviluppo potrebbero addirittura essere i nuovi mercati per le tecnologie e servizi di conservazione dell’acqua e le misure di efficienza già adottate in alcuni (pochi) paesi dimostrano come il profitto economico delle aziende di gestione pubbliche, miste o private e la tutela dell’ambiente e della salute possano procedere di pari passo.