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"Mid-term? Saddam? Scusate, noi ci preoccupiamo di sopravvivere"

di Patrick Cockburn - 13/11/2006


Mid-term o non mid-term, Saddam o non Saddam, tutto in Iraq sprofonda nel pantano. Nonostante le elezioni perse, sarà Bush a continuare a tracciare la linea politica Usa nel paese; da ciò, la portata dei cambiamenti a cui gli iracheni sperano di poter assistere sarà per forza limitata. L’amministrazione americana ha impiegato tre anni per sprofondare nella palude irachena. Potrebbe impiegarne altrettanti per uscirne

“Un colpo di mortaio è esploso sul tetto del mio vicino di casa. Tutta la mia famiglia è spaventata a morte”, racconta Marwan, di Baghdad. “Ci preoccupiamo di sopravvivere; scusate, ma non ci preoccupiamo dei risultati delle elezioni negli Stati Uniti, non se Saddam Hussein debba continuare a vivere o morire”.

Gli iracheni vedono che per gli Stati Uniti le opzioni disponibili sono ormai piuttosto limitate. Tutto in Iraq sprofonda nel pantano.

Non si tratta di Donald Rumsfeld che non ha prestato fede ai propri iniziali boriosi propositi di annientamento delle guerriglie. Anche l'ambiziosa strategia di uscita dell’attuale ambasciatore Usa in Iraq, Zalmay Khalilzad, è a sua volta fallita.

Khalilzad, per oltre un anno, ha tentato di guadagnarsi la stima di cinque milioni di arabi sunniti – i principali responsabili del crollo delle ambizioni Usa in Iraq e della sconfitta elettorale dei Repubblicani di questa settimana. Khalilzad ha portato i politici sunniti al governo, ha iniziato le trattative con i ribelli e ha tentato di bloccare il processo di de-baatificazione.

Ma niente ha funzionato, e gli attacchi alle truppe Usa si sono moltiplicati. Gli islamisti e i nazionalisti non sono inclini al compromesso nei confronti degli occupanti americani. Allo stesso tempo, la maggioranza sciita si sta alienando sempre più dagli Usa. Solo i curdi ormai sostengono con convinzione l’occupazione.

Un’altra ragione, che va alla radice del dilemma statunitense, sottostà all’avvicinamento di Washington ai sunniti. L’America non destituì Saddam Hussein nel 1991 per evitare che gli succedessero i partiti sciiti iracheni vicini all’Iran.

Cionostante, 15 anni dopo è proprio questo il contesto che gli Usa hanno di fronte. Il risultato è che la politica Usa si è ridotta ad avere un governo iracheno forte nel combattere l’insurrezione ma debole sotto tutti gli altri punti di vista.

Proprio poco prima delle elezioni di medio termine statunitensi, l’esercito Usa si stava riorganizzando contro le milizie del clericale sciita Muqtada al-Sadr. L’assedio di Sadr City, la patria di oltre due milioni e mezzo di sciiti di Baghdad, è stato interrotto a seguito delle pressioni del Primo ministro iracheno Nouri al-Maliki.

Tuttavia, diversi politici iracheni credono che, spentasi l’attenzione dell’appuntamento elettorale il voto, gli Stati Uniti saranno impazienti di riprendere le ostilità.

Un sviluppo probabile della politica Usa nei prossimi due anni può essere quello di un atteggiamento più morbido verso Iran e Siria. All’inizio della guerra, Bush sosteneva più o meno esplicitamente che, dopo il cambio di regime a Baghdad, a Teheran e Damasco sarebbe toccata la stessa sorte.

Questi hanno ogni interesse ad assicurarsi che gli Usa falliscano in Iraq. Ma, in realtà, non è stato mai completamente chiaro quanto Iran e Siria abbiano concretamente sostenuto le guerriglie tra i due fiumi.

Comprovata l’abilità di Washington nel darsi la zappa sui piedi, i vicini dell’Iraq probabilmente non avranno poi così tutta questa fretta di fare. Tuttavia, nel prossimo futuro potrebbero – insieme alla Turchia – muoversi sempre più concretamente man mano che l’autorità Usa in Iraq svanirà sempre più.

In ogni caso, sarà Bush a continuare a tracciare la linea politica per l’Iraq; da ciò, la portata dei cambiamenti a cui gli iracheni sperano di poter assistere sarà per forza limitata.

L’amministrazione americana ha impiegato tre anni per sprofondare nella palude irachena. Potrebbe impiegarne altrettanti per uscirne.

 

Fonte: The Independent
Traduzione a cura di Luca Donigaglia per Nuovi Mondi Media

 

Sull'Iraq vedi Iraq Confidential – Intrighi e raggiri: la testimonianza del più famoso ispettore ONU (prefazione di Seymour Hersh, prefazione all'edizione italiana di Gino Strada), dell'ex ispettore delle Nazioni Unite Scott Ritter.