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Ginfranco La Grassa e Costanzo Preve: un confronto

di Mauro Tozzato - 14/11/2006

 

[NDR ripensaremarx] Nei prossimi giorni pubblicheremo una densa intervista a Costanzo Preve, che ha toccato tematiche diverse. Il filosofo di Torino ci ha spiegato le ragioni delle sue posizioni teoriche e politiche al fine di infrangere le dicerie che oggi lo vogliono vicino all’universo fascista. Tuttavia non si tratta solo di questo. Preve è, inoltre, intervenuto sul Manifesto della Terza Forza esprimendo i suoi dubbi sulle teoria lagrassiana della "Potenza". Ne è venuto fuori un quasi-saggio, sia per l’organicità dei contenuti trattati sia per la sua stessa “corposità” semantica. Speriamo che questo contributo possa rivelarsi utile alla continuazione del dibattito apertosi in questi ultimi mesi. In più si potranno “scandagliare” le divaricazioni che si vanno aprendo tra le nostre posizioni e le sue e che potranno essere dialettizzate solo fino ad un certo punto.  Per intanto, vi lasciamo a queste riflessioni di Mauro Tozzato.

 

La Grassa:<<Occorrerebbe un grande rivolgimento politico, che purtroppo non troverebbe in nessuno schieramento della politica europea e italiana odierna – nemmeno in quelli di sinistra, nemmeno in quelli (ultraminoritari comunque) che si pretendono ancora comunisti – molti referenti.

Anzi la sinistra, anche comunista, è nemica di un simile rivolgimento, perché schiava di vecchi sogni ormai bollati dalla Storia. E quindi la politica europea e italiana, con l’intera sinistra (ivi comprese le sue minime appendici comuniste), è un ostacolo da superare per chi auspichi un rivolgimento del genere.

E’ bene che chiunque sia favorevole a quest’ultimo, per la sua valenza antiegemonica (in questa fase soprattutto antistatunitense), cominci a divenirne consapevole e non creda di utilizzare nella lotta di trasformazione  una impossibile unità d’azione con i nemici della stessa. Bisogna dunque uscire, frantumandoli, dal già indicato gioco di specchi che rinvia, dall’una all’altra, le immagini di organizzazioni partitiche di destra e di sinistra impegnate della direzione della subordinazione e della nicchia (dell’Impero) in cui meglio sistemarsi. Solo il disagio crescente che tale subordinazione creerà, nel mentre andrà acuendosi la lotta policentrica tra USA e alcune nuove grandi potenze ad est, potrà infine smuovere la stagnante situazione sociale e politica europea, facendo (forse) crescere una nuova forza per il rivolgimento. […] Non bisognerebbe più affidarsi agli schieramenti politici organizzati oggi esistenti. Solo il disgusto, la disaffezione alla politica (questa politica), il disprezzo che stanno pian piano crescendo nella parte più informe, e al momento più fluida e disorganizzata, della popolazione di fronte al meschino spettacolo offerto dai partiti odierni (soprattutto in Italia), potranno creare qualcosa di nuovo in una fase di eventuale disagio sociale crescente.>>

[G. La Grassa – Il gioco degli specchi – Editore EditricErmes – Potenza 2006 – pagg. 84-85]

Preve:<<L’uomo, filosoficamente definibile come ente naturale generico, è dunque ad un tempo animale razionale e sociale. Tuttavia, esso non sarebbe “generico” se non potesse perdere (provvisoriamente o per sempre ? In questa domanda c’è tutta la tragicità insita nella storia) sia la propria razionalità che la propria socialità, o addirittura entrambe. […] Una socialità senza razionalità comporta come sua reazione inevitabile una razionalità senza socialità. Come la merce è la cellula della società capitalistica, così l’individuo è la cellula dell’umanità. Se una socialità irrazionale lo costringe a un conformismo eterodiretto che rilutta alla sua coscienza, l’individuo non ha altra strada al di fuori di una razionalità senza socialità, ossia secessionistica, che promuove l’esodo dalla socialità stessa, come nel caso degli stoici e epicurei. Oggi, nelle ricche società metropolitane,  il neo-epicureismo si sta diffondendo sotto forma di gruppi elettivi di amici che mangiano e bevono roba di qualità, leggono libri intelligenti, ascoltano musica di buon livello e fanno turismo eco-compatibile. Il neo-stoicismo attira invece personalità originali che si relazionano direttamente con l’Universale, saltando il circo mediatico, la società dello spettacolo e i riti del conformismo sociale. Non ha senso, a mio avviso, puntare moralisticamente il dito e condannare  queste forme di esodo e di secessione. Tutti noi ne facciamo parte, sia pure secondo modalità più o meno accentuate. Bisogna pur vivere. E tuttavia, noi sentiamo che anche se la razionalità senza socialità è pur sempre migliore della conformistica socialità senza razionalità, c’è qualcosa che non va, che stride, qualcosa di irrisolto. E qui, appunto, torna la questione del comunitarismo. [E del comunismo.M.T. – Preve, ivi, <<Il comunismo può essere definito, in breve, una forma radicale ed estrema di comunitarismo>>]   E torna dopo che abbiamo constatato la legittimità, ma anche l’insufficienza, della via individualistica di resistenza alla società alienata che il capitalismo ci offre.

[C. Preve – Elogio del comunitarismo – Controcorrente Edizioni, Napoli 2006 – pagg. 247-249]

 

Questi due brani ci riportano, seppure in maniera diversa, al problema, per chi rifiuta di omologarsi

in tutto o in parte al sistema sociale in cui viviamo, delle alternative politiche e “di vita” che ci possiamo dare o che possiamo immaginare. Costanzo Preve separando la sua nozione di verità (basata sul pensiero greco antico) dalle forme di accertamento conoscitivo tipiche  delle scienze esatte, naturali e logico-linguistiche contemporanee la definisce come il risultato della messa in mezzo (es meson) della ragione filosofica  ,ovvero:<<la ragione filosofica (logos) era messa in mezzo (es meson) nella pubblica piazza (agorà) in modo da poter diventare comunicazione e scambio (dialogos). Lo scopo di questa messa in mezzo della ragione era l’equilibrio (isorropia) dei punti di vista opposti in funzione di una loro composizione veritativa (aletheia) […]Le premesse formali di questa “messa in mezzo” (es meson) erano soltanto due, e cioè l’eguaglianza di fronte alle leggi (isonomia) e l’eguale accesso alla parola pubblica (isegoria).>> Ancora più sinteticamente lo stesso autore afferma: <<Per “verità”, intendo una pretesa universale di validità di una proposizione rivolta alle modalità di esistenza e di riproduzione di una comunità umana, in base ad un giudizio di tipo etico e politico>>.

Semplificando mi pare che Preve consideri appropriata la nozione di certo nel campo della scienze naturali, quella di esatto in quello della scienze logico-linguistiche e matematiche mentre la verità sarebbe di stretta pertinenza delle scienze storico-sociali e filosofiche (queste ultime intese in senso hegeliano, ma non solo). Alcune scienze umane per il loro approccio metodologico verrebbero a ricadere nel terreno di competenza della certezza; la psicologia, ad esempio, a causa del suo metodo prevalente di rilevazione dei fatti e della sua articolazione nomologica si allontana molto, dal punto di vista epistemologico,  dalla struttura logica delle scienze sociali.

Queste ultime, d’altra parte, nella tradizione accademica, hanno visto il prevalere nella “regina” di esse, l’Economica, (il caso paradigmatico è Walras, “il più grande di tutti gli economisti” secondo Schumpeter) di una forma matematica e quindi della costruzione di una interrelazione di definizioni, assiomi e teoremi di cui verificare e dimostrare l’esattezza.

La verità secondo Preve è quindi principalmente e necessariamente un tener per vero di alcuni valori, alcune nozioni, alcuni costumi (l’ethos di una società, di una comunità), di alcune tecniche; questo sia a livello individuale sia, soprattutto, a livello collettivo (condiviso) come momento necessario per la riproduzione intesa sia come produzione di beni che di relazioni sociali.

Se nel campo delle tecniche e delle abilità (tecnico-pratico in Kant) alla verità si contrappone l’errore da correggere tramite l’esperienza e la riflessione, nel campo delle relazioni politiche, sociali e culturali il problema diventa la menzogna ovvero una non-verità determinata socialmente di cui è portatrice una persona, fisica o socio-giuridica (etico-pratico in Kant).

La conclusione di questa digressione credo debba portare a comprendere che il proliferare di valutazioni diverse riguardo l’interpretazione della realtà sociale e l’agire politico appaiono comunque sottoponibili ad una griglia razionale in cui le tesi erronee, le menzogne, le parole d’ordine e le elaborazioni ideologiche ad hoc, finalizzate al tornaconto di elitè politiche e sindacali  “di sinistra” che si spacciano per “radicali”, “alternative” o addirittura per “comuniste” possono comunque venire comprese e demistificate. In qualche maniera siamo convinti che attraverso un dialogo razionale, non infarcito di menzogne, e non condizionato da privilegi da difendere (che in ogni caso non possono non risultare alla fin fine “trasparenti”) si possa capire se abbia senso  appoggiare o no un governo, condividere o no certe operazioni di politica economica, sostenere determinate strategie finanziarie e imprenditoriali, oppure lotte rivendicative per consumi, reddito e servizi piuttosto che altre.

E’ sottointeso che ci poniamo nell’ottica di quell’orientamento che La Grassa ha definito come “rivoluzione-trasformazione contro il capitale” in opposizione alla “rivoluzione-trasformazione dentro il capitale”. Questa prospettiva, come già più volte ricordato, può e deve nel presente comprendere la priorità della dimensione geoeconomica e geopolitica e quindi dell’opposizione e resistenza all’egemonismo statunitense.