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Riscopriamo il contatto naturale: vita terra e comunità

di Alessandro Tarquinio - 15/11/2006

 

Una delle riflessioni più importanti nel sistema capitalistico industriale riguarda i bisogni artificiali. In molti hanno studiato il tipo di alienazione che non riesce a togliere all'uomo le sue caratteristiche innate, anche se gliene rende altre da cui per natura sarebbe alieno. La soddisfazione innaturale illusa dai beni reali con la moltiplicazione di quelli artificiali sono state negli anni ripetutamente analizzate dai movimenti di opposizione politica. Come che sia non si è mai centrato l'obiettivo: lo sviluppo e il dibattito sui bisogni reali e sulla loro soddisfazione propria. Per capire meglio l'importanza di un simile chiarimento basta pensare, storicamente e materialmente, la società senza classi come obiettivo politico, dove si distingue un metodo per riconoscere i movimenti di razionalizzazione del sistema nascosti dietro una costume protestatario e alternativo. Cerchiamo così alcune risposte al problema dei bisogni reali, lavorando sul concetto che in certi aspetti del lavoro artigiano e contadino e in alcune forme di vita comunitaria si ritrovano segni di quei « valori d'uso » che vengono sistematicamente distrutti dal capitalismo, nella attuale fase industriale avanzata. Senza togliere nulla alla grande importanza storica del passaggio industriale, ci si chiede perché, ogni volta che le condizioni lo permettono, i cosiddetti operai hanno mostrato e mostrano fortissimi legami con la vita contadina e cercano il contatto con la natura. Questo avviene, assai probabilmente, per la precarietà del lavoro "moderno" e per la disincantata invivibilità che si è creata nelle città; sotto accusa anche l'aumento dei prezzi che si è creato nel mercato impercettibile dell'Euro e svariate altre cause oggettive. Ma, al di sopra di tutto, ciò dove è possibile, l'uomo continua a lavorare l’orto con grande passione: oltre che il riavvicinamento alle dimensioni umane rappresenta una soddisfazione tornare alla natura, veder germogliare un seme nutrito e piantato con le proprie mani, e aiuta per quel poco che è possibile in termini salutari ed economici. Quindi, troviamo una ragione di vita più forte della fabbrica e del consumismo oggi imperante. Ci sono espropriazioni e rapporti con la natura che non possono essere cancellati e, in realtà, se non vi fosse una struttura economico-sociale che ha distrutto i legami con le cose e il creato, l’uomo tenderebbe a non avere divisioni dal lavoro così enormi. I «valori d'uso» sono indimostrabili perché vengono dai bisogni reali e non possono essere contabilizzati; per questo è così difficile parlarne nell'ambito di una cultura mercificante come quella del mondo in cui viviamo. Riscoprirci, di contro, sottende forme di riconversione alle cose vere, reali: al sole che sorge, al gallo che canta, alla luna che cala e alla fraternità e comunità di tutti questi elementi con l'uomo che ne è parte integrante e motore. Non è la produttività o l'investimento che ci conduce alla natura, ma la riappropriazione del lavoro e del proprio essere umano sul terreno dei bisogni reali.