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Sorpresa: nel mondo ci sono più foreste di 15 anni fa

di redazionale - 16/11/2006

Ma le aree tropicali sono ancora a forte rischio e i boschi italiani poveri

 

Secondo uno studio dei ricercatori dell’università di Helsinki pubblicato su "Proceedings of the national academy of sciences" si starebbe passando dalla deforestazione all’afforestazione, una notizia che sembra sorprendente, visto che il Wwf parla di 13 milioni di ettari di bosco distrutti o tagliati ogni anno. Lo studio finlandese prende in considerazione non solo le aree coperte da vegetazione, ma anche il volume delle foreste, le biomasse e del carbonio assorbito nelle varie aree del Pianeta.

Una conferma dei dati della Fao pubblicati da “Proceedings of the National Academy of Sciences” che evidenziano come negli ultimi 15 anni in 22 dei 50 paesi che ospitano le maggiori aree forestali del pianeta sia cresciuto il “growing stock” cioè la concentrazione di alberi abbastanza grandi da poter essere definiti foreste e in 11 di questi paesi stanno aumentando anche la biomassa e il carbonio fissato, con una riduzione totale di 500 milioni di tonnellate di anidride carbonica immessa nell’atmosfera.

Secondo questi dati entro il 2050 le foreste potrebbero aumentare del 10%, rioccupando una superficie totale grande all’incirca come l´India.
La crescita sembra però essere forte soprattutto nei paesi temperati di America ed in via di industrializzazione in Asia, a partire dagli Usa e dalla Cina, e all’incremento non dovrebbero essere estranee nemmeno le sterminate coltivazioni di foreste da legno e polpa per carta dei paesi nordici, l’inurbamento crescente di gran parte della popolazione contadina con l’abbandono di terreni ritenuti marginali per l’agricoltura intensiva e addirittura la crescita del turismo nelle aree costiere.

Questi dati paiono incoraggianti anche se confermano che le foreste pluviali sono ancora a forte rischio, con consistenti perdite in paesi chiave per la tutela della biodiversità vegetale ed animale come il Brasile e l’indonesia o il continente africano. Le foreste tropicali sono ancora sotto pressione da parte delle multinazionali del legname, del latifondo e del taglio “brucia e pianta” di necessità, degli incendi, tanto che sono state create certificazioni della gestione (e del commercio) delle foreste naturali e coltivate, la più nota ed autorevole della quale è il “Forest stewardship council” (Fsc) che ha concesso il suo marchio a 49 milioni di ettari , mentre un altro organismo di certificazione, il Pefc, che opera soprattutto nei paesi con foreste boreali come la Finlandia, certifica 55 milioni di ettari. In Italia sono certificate 8 aree forestali e tra queste ci sono i 2.913 ettari del Consorzio forestale dell’Amiata che ha il bollino Pefc.

In Italia ogni anno vengono distrutti, in media, circa 4 milioni di ettari da incendi quasi sempre dolosi, eppure il patrimonio forestale italiano è cresciuto di oltre il 20% negli ultimi 20 anni e boschi e foreste coprono più di 10 milioni di ettari (erano 8.65.100 nel 1985) e la Toscana, insieme alla Sardegna, è la regione con la più vasta copertura vegetale con un milione e 175.776 ettari censiti nel 2003 (+ 20% sul 1985) che occupano il 51% del territorio regionale. Ma la maggiore percentuale di superficie forestale si registra in Liguria, con il 73% mentre la copertura forestale in Sicilia è solo del 14%. Ma la crescita pare più quantitativa che qualitativa.

«L’Italia, si dice spesso – spiega Sebastiano Venneri, della segreteria di Legambiente – è ricca di boschi poveri, il nostro patrimonio forestale è troppo omogeneo, costituito da foreste spesso coetanee o che nascono da processi di rinaturalizzazione di territori abbandonati dall’attività agricola, ma sui quali si innestano processi di dissesto idrogeologico connessi alla mancanza di un presidio».

E non è un prezzo da pagare per l’aumento delle foreste?
«Lo spopolamento della montagna si traduce in un aumento del territorio rinaturalizzato, ma d’altro canto comporta un aumento del territorio non gestito, e questo si ripercuote anche su habitat e specie animali e vegetali, alcune delle quali d’importanza comunitaria, la cui conservazione è strettamente legata al mantenimento di pratiche agropastorali tradizionali».

Ma la crescita mondiale delle terre destinate all’agricoltura è cessata già alla fine degli anni ’80 ed oggi, soprattutto nei paesi industrializzati ed in parte del sud-est asiatico, si sta assistendo ad una contrazione. Una diminuzione visibile anche in Italia soprattutto per le terre arabili a colture non permanenti. Nonostante questo grazie all’agricoltura intensiva la produzione alimentare mondiale è cresciuta del 29% negli ultimi 10 anni, un tasso doppio della crescita della popolazione ma che non ha risolto il problema della fame e della denutrizione: i ricchi sono sempre più obesi ed i poveri muoiono ancora di fame.

Probabilmente quello che è più necessario è una nuova cultura forestale che produca un aumento della qualità ambientale e paesistica che si traduca in possibilità di reddito per le popolazioni delle aree collinari e un’occasione di gestione forestale potrebbe essere quella delle biomasse per la produzione di energia “pulita”.

«Le biomasse provenienti da scarti agroforestali – dice Venneri – rappresentano davvero una risorsa se vengono utilizzate in impianti di piccola taglia per produrre elettricità e cogenerazione. Una gestione sostenibile dovrebbe proibire l’utilizzo di biomasse da foreste primarie e provenienti da troppo lontano, non più di qualche decina di chilometri, per non ridurre i vantaggi energetico-ambientali».