Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Sono stato torturato per due anni a Guantanamo

Sono stato torturato per due anni a Guantanamo

di redazionale - 17/11/2006

 
Ruhal Ahmed, cittadino britannico (viveva a Tipton, cittadina delle West Midlands) di origine pakistana, cranio rasato e lunga barba nera, oggi ha 25 anni. Ma quando venne rinchiuso nel famigerato carcere speciale statunitense di Guntanamo ne aveva appena 21. E li, detenuto e torturato, è rimasto per più di due anni. È lui stesso a raccontare la sua storia durante la presentazione alla stampa della campagna di Amnesty "Più diritti più sicurezza" che punta il dito contro le ripetute violazioni dei diritti umani con cui, dal 2001, viene condotta la cosiddetta "guerra al terrore". E il caso di Ruhal Ahmed ne è un perfetto esempio (tanto che ha ispirato il docu-film The road to Guandtanamo del regista inglese Michael Winterbottom e di Mat Whitecross).

La sua discesa all´inferno era iniziata per puro caso, al termine di una vacanza in Pakistan con alcuni amici. «Dopo l'11 settembre 2001, insieme ad altri amici siamo partiti per il Pakistan, dove eravamo stati invitati ad un matrimonio. Ma, prima della cerimonia, avevamo qualche giorno libero, così abbiamo deciso di andare a fare una vacanza in Afghanistan».

Il 7 ottobre 2001 però sono iniziati i bombardamenti statunitensi nel Paese allora governato dai Talebani e Ahmed e i suoi amici ci si trovano inevitabilmente in mezzo: «Abbiamo chiesto di poter lasciare l'Afghanistan, ma ci hanno detto che l' esercito aveva chiuso le frontiere e per un mese siamo rimasti bloccati. A fine ottobre i talebani hanno perso il controllo del Paese ed un'organizzazione umanitaria ci ha consigliato di consegnarci all'Alleanza del Nord. Siamo quindi finiti in prigione a Kandahar».

Nel gennaio 2002 a Kandabar arrivano gli americani. E Ahmed viene caricato su un aereo e portato a Guantanamo. «All' inizio fui tenuto in una delle gabbie all' aperto del Camp X-Ray: non c' erano materassi, né tetto, non ci era permesso di parlare con nessuno; pretendevano che stessimo seduti e guardassimo in una direzione. Il poco cibo che ci davamo ci veniva spesso lanciato come se fossimo animali. Dovevano stare fermi per 24 ore al giorno, se il nostro sguardo si posava su una delle guardie loro entravano nella gabbia, ci spruzzavano in faccia dello spray urticante e ci pestavano fino a farci svenire».

I più sfortunati, ricorda il giovane inglese, «finivano nel blocco dell' isolamento: celle chiuse di metallo, bollenti di giorno e gelide di notte. Gli interrogatori con pestaggi erano all' ordine del giorno: a volte usavano cani che ci abbaiavano vicini alla faccia, ci buttavano secchi di acqua gelida addosso, alzavano al massimo l' aria condizionata e ci lasciavano così per ore. Alcuni prigionieri hanno subito abusi sessuali e sono stati sodomizzati». La maggior parte dei detenuti, spiega, «alla fine confessava qualcosa, di essere di Al Qaida o talebano o quello che volevano». Così come è accaduto a molti altri detenuti di Guantanamo, dopo due anni, nel marzo del 2004, Ruhal è stato liberato: contro di lui non esistevano reali prove di accusa. «Mi liberarono senza dirmi niente e senza alcuna accusa a mio carico. Forse hanno contato le pressioni fatte dalle mia famiglia e dalle organizzazione umanitarie, tra cui Amnesty».

Fare pressione non solo sul governo statunitense ma anche sull´opinione pubblica e sull´Europa è lo scopo della campagna lanciata da Amnesty "Più diritti più sicurezza". Una campagna che riguarda direttamente anche l´Italia. Secondo l´organizzazione che difende i diritti umani nel mondo (che ha pubblicato libro Voli segreti, con il rapporto del Consiglio d' Europa sulle operazioni coperte della Cia negli Stati europei) sono documentati almeno 10 passaggi in aeroporti italiani (8 a Roma, 2 a Pisa) di aerei utilizzati dalla Cia per le cosiddette 'extraordinary renditions', cioè le operazioni segrete con cui persone sospettate di terrorismo sono state trasferite da un Paese ad un altro al di fuori di qualsiasi procedura giudiziaria. Se il caso più noto in Italia è quello di Abu Omar rapito nel febbraio 2003 a Milano. «Noi - afferma il presidente della Sezione italiana di Amnesty, Paolo Pobbiati - con la nostra campagna chiediamo al Governo italiano di fare piena luce su quanto accaduto, cooperando pienamente con tutte le inchieste internazionali e nazionali in corso. Nonché che venga messo in agenda il tema del rispetto dei diritti umani: la vera sicurezza non passa attraverso le torture».