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Micro-credito e macro-problemi

di Walden Bello - 17/11/2006

 

Il modo migliore per congratularsi con Muhammad Yunus per il riconoscimento cui è stato oggetto sarebbe dire: "Certamente hai meritato il Premio Nobel per aver aiutato così tante donne ad affrontare con dignità la povertà". I suoi fan più accaniti, invece, a forza di dipingerlo come l'ideatore della pozione magica che sancirà la fine della povertà e la promozione mondiale dello sviluppo economico, non ne stanno tributando il giusto omaggio

L’assegnazione del Premio Nobel per la Pace a Muhammad Yunus, considerato il padre fondatore del microcredito, è giunta in un momento in cui il microcredito per le celebrità è diventato una sorta di religione. Hillary Clinton, ad esempio, racconta regolarmente dei suoi viaggi in Bangladesh, patria di Yunus, dove sarebbe stata "ispirata dal potere di questi prestiti che permettono anche alle donne più povere di avviare un’attività, sostenendo famiglie e comunità ad uscire dalla povertà".

Come la senatrice Clinton, liberal, anche il neocon Paul Wolfowitz, oggi presidente della Banca Mondiale, ha subìto l’influenza di questa “religione” dopo un recente viaggio nello stato indiano di Andhra Pradesh. Con il fervore di un convertito, Wolfowitz ha disquisito sul “potere trasformatore” della microfinanza: “Inizialmente pensavo si trattasse di un singolo progetto realizzato in un villaggio; poi mi sono spostato nel villaggio accanto, e anche lì era lo stesso. Quella sera ho incontrato più di un centinaio di signore leader dei gruppi self-help, e mi sono reso conto che questa iniziativa sta aprendo diverse opportunità alle donne povere e alle loro famiglie di questa nazione popolata da 75 milioni di persone”.

Non ci sono dubbi sul fatto che che Yunus, un economista del Bangladesh, abbia avuto un’idea vincente, in grado di cambiare la vita di molti milioni di donne povere. Anche solo per questo il suo Premio Nobel se lo merita tutto. Allo stesso tempo, è da notare come Yunus, almeno da giovane – quando sviluppò il proprio progetto senza godere del sostegno delle istituzioni mondiali – non sembrava considerare la Grameen Bank [la banca etica che pratica il microcredito di cui è stato il fondatore, NdT] alla stregua di una panacea. Sono altre le istituzioni, come la Banca Mondiale e le Nazioni Unite, che l’hanno elevata a questo stato (e che, come alcuni dicono, hanno convinto Yunus); il microcredito è oggi presentato come un approccio pressoché indolore allo sviluppo economico.

Attraverso la dinamica della responsabilità collettiva per la restituzione del debito da parte di un gruppo di signore mutuatarie, il microcredito ha certamente permesso a molte donne povere di ovviare alle proprie difficoltà. Tuttavia, sono soprattutto i relativamente poveri ad avvantaggiarsi dei prestiti, e non i più poveri; in sostanza, non così in tanti possono dire di essere usciti in maniera definitiva dalla povertà. Allo stesso modo, non molti affermerebbero che il grado di autosufficienza e la possibilità di mandare i figli a scuola, concessi loro dal microcredito, sono indicatori del loro avvicinamento alla prosperità della classe media. Come fa notare la giornalista economica Gina Neff, "dopo 8 anni di microcredito, il 55% delle famiglie che hanno ottenuto prestiti dalla Grameen Bank non sono ancora in grado di soddisfare i propri bisogni nutrizionali di base: il risultato è che molte donne, piuttosto che per dare vita ad un'attività, impiegano i prestiti per comprare cibo".

In effetti, Thomas Dichter, dell'Università del Massachusetts, uno che ha studiato a fondo il fenomeno, sostiene che l'idea secondo cui la microfinanza permette ai suoi utenti di passare dallo stato di povertà a quello d'imprenditorialità è fuorviante. Ecco come Dichter delinea la dinamica del microcredito: “Emerge chiaramente che i "micro-clienti" con più esperienza partono con risorse proprie, e, nonostante non facciano chissà quali progressi (non sarebbe possibile perché il mercato è troppo limitato), raggiungono un volume d’affari sufficiente a continuare a comprare e a vendere. Probabilmente, arriverebbero a ciò comunque, con o senza microcredito. I prestiti, grazie alla relativamente grande somma di denaro da cui sono costituiti, sono spesso trasformati in beni di consumo – un lusso che non potrebbero permettersi col loro volume d'affari quotidiano”. Ditcher ha concluso: “Il microcredito non riesce in ciò che la maggior parte dei suoi sostenitori ritiene possa riuscire, e cioè concretizzarsi in un vero e proprio capitale volto ad aumentare le rendite di un'attività”. Pertanto, secondo questa tesi, il grande paradosso del microcredito è questo: “Ai più poveri non serve; agli altri, in realtà, farebbero comodo somme diverse, con differenti e spesso più lunghi dilatati di credito”.

In altre parole, il microcredito costituisce un efficace strumento per una strategia di sopravvivenza, ma non è di certo una chiave di sviluppo economico – che deve prevedere non soltanto enormi investimenti di capitali finalizzati ad uso industriale, ma anche la lotta alle strutture di disuguaglianza, come la concentrazione dei possedimenti terrieri. Le istituzioni del microcredito finiscono per coesistere con queste strutture; senz'altro fungendo da rete di salvezza per coloro che le stesse emarginano, ma, comunque, senza trasformarle. Caro Paul Wolfowitz, il microcredito non è la chiave per la povertà che affligge i 75 milioni di persone dell'Andhra Pradesh. È inutile continuare a sognare.

Probabilmente, una delle ragioni per cui di questi tempi vi è così tanto diffuso entusiasmo per il microcredito è che si tratta di un modello di mercato che ha ottenuto qualche successo dove altri hanno invece fallito. Programmi a variazione strutturale che promuovono la liberalizzazione del commercio, la deregolamentazione e la privatizzazione, hanno portato negli ultimi 25 anni a più povertà e disuguaglianza in molti paesi in via di sviluppo, e hanno reso la stagnazione economica una condizione permanente. Molti degli organismi internazionali – fra cui la Banca Mondiale – che hanno sostenuto e che continuano a sostenere questi macro programmi fallimentari, a volte grazie a nuove definizioni come "Strategia di Riduzione della Povertà”, sono spesso le stesse istituzioni che promuovono i programmi di microcredito. In una visione più ampia, il microcredito può esser visto come l'ancora di salvezza per milioni di persone colpite dai fallimenti su larga scala causati dai grandi investimenti strutturali.

Si sono comunque registrati risultati positivi in termini di riduzione della povertà in alcuni paesi – come ad esempio la Cina, dove, al contrario di ciò che si pensa, le macro politiche dirette dallo Stato, non il microcredito, hanno ricoperto un ruolo centrale nella fuoriuscita di circa 120 milioni di cinesi dalla povertà.

In conclusione, il modo migliore per congratularsi con Muhammad Yunus per il riconoscimento cui è stato oggetto sarebbe quello di dire: "Sì, certamente hai meritato il Premio Nobel per aver aiutato così tante donne ad affrontare con dignità il flagello della povertà". I suoi fan più accaniti, invece, a forza di dipingerlo come l'ideatore del "capitalismo compassionevole", "dell'imprenditoria sociale", o magari della pozione magica che sancirà la fine della povertà e la promozione dello sviluppo economico, non ne stanno tributando il giusto omaggio.

 

Walden Bello, stimato e autorevole economista e sociologo, è professore all'università delle Filippine e autore di diversi bestseller internazionali, tra cui "Globalizzazione" e "La vittoria della povertà" (Baldini Castoldi Dalai). Bello, analista e organizzatore del 'Focus on the Global South', veterano degli anni di Allende e Marcos, è uno dei più impegnati attivisti internazionali per i diritti umani.
Di Walden Bello Nuovi Mondi Media ha pubblicato Domination – La fine di un'era.

 


Fonte: Common Dreams
Traduzione a cura di Anna Lucca per Nuovi Mondi Media