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Evola? Un pensatore originale, ma il suo impegno in politica non convince

di Alain de Benoist (a cura di Marco Iacona) - 18/11/2006

 

 

Alain de Benoist intellettuale e saggista di fama internazionale, è stato ospite di un

recente convegno tenutosi a Catania il 2 marzo 2006. Pubblichiamo qui una sua breve

intervista, che peraltro anticipa un volume di colloqui su Julius Evola, in corso di

preparazione.

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Direttore, cosa si dice di Evola nella patria della Grande Rivoluzione?

«Ad oggi, la quasi totalità dell’opera di Julius Evola è stata tradotta in francese. Un

lavoro realizzato soprattutto da editori piccoli e marginali. Evola resta in Francia un

riferimento costante della destra radicale, ma non è conosciuto dal grande pubblico dei venti/

trentenni. In altri ambienti, poi, lo è ancora meno».

E per lei chi è Julius Evola?

«Una figura originale della storia delle idee. Senza dubbio meno importante di quel

che pensano gli “evoliani”, ma più importante di quel che immaginano coloro che lo

criticano o che non lo hanno mai letto».

Qual è la relazione fra Evola e la politica?

«Contrariamente alla maggior parte dei sostenitori della Tradizione, Evola s’è

impegnato politicamente ed ha tentato di esprimere principî politici corrispondenti alla sua

visione del mondo. Non sono sicuro però che in quest’ambito egli si sia mostrato più

convincente. La politica “ideale” in un certo qual modo è il contrario della politica reale. Ma

si potrebbe dire la stessa cosa a proposito di molti autori di destra…».

In questa relazione, nota delle differenze fra il Dopoguerra e il periodo che

precede il 1945?

«Dopo il ’45 Evola fece parte del campo dei vinti e in quel contesto provò ad

elencare le posizioni d’anteguerra che potevano essere “salvate”. Di ciò testimoniano

Orientamenti (1950) e Gli Uomini e le Rovine (1953). Mi sembra tuttavia che Evola capì

abbastanza rapidamente di non avere grandi speranze. Fin dall’inizio degli anni Sessanta,

Cavalcare la tigre offre al lettore un’attitudine più speculativa riassunta nel termine: Apolitia.

E qui è possibile un accostamento con l’Anarca di Ernst Jünger».

Dalla metà degli anni Venti circa, il termine “élite” entra nel vocabolario

evoliano. Ma che élite è quella che Evola vorrebbe alla testa del proprio Stato ideale?

«La sua concezione dell’élite è prima di tutto etica. Appartiene all’élite chi si

distingue dalla massa ed è capace di dar prova di “impersonalità attiva”. Ma la sua élite,

potenzialmente costitutiva di un “Ordine” è esclusivamente maschile. Il modo in cui Evola

tende a svalutare sistematicamente tutto ciò che è femminile, ma anche popolare e sociale,

fino alla nozione stessa di “popolo”, è ben conosciuto».

Orientamenti è un’opera particolare all’interno della produzione evoliana?

«È in parte un’opera di circostanza, scritta su richiesta di un gruppo di giovani

desiderosi di vedersi indicare una direzione da seguire. Orientamenti, nonostante sia uno

scritto abbastanza breve, resta un documento storico d’un certo valore».

E Gli Uomini e le rovine si può considerare un libro unico nella storia del pensiero

politico europeo del Dopoguerra?

«Non penso si possa dire che si tratti di un “libro unico nella storia del pensiero

politico europeo del Dopoguerra”. In Germania, in Spagna, in Francia, nella stessa Italia, ci

sono altri libri che potrebbero essere comparati a Gli Uomini e le rovine. Ma quello del ’53 è

senza dubbio il libro nel quale Evola, sviluppando ciò che aveva detto su Orientamenti, è

andato più lontano nella sintesi delle sue vedute politiche. Ragion per cui molti lettori hanno

scoperto l’opera evoliana proprio dalla lettura di questo volume».

Evola teorico dello Stato. Che cos’è questo organicismo evoliano?

«Evola assegnava allo Stato un’importanza considerevole, e così anche durante

fascismo. Ciò lo distingueva dalla maggior parte degli autori tedeschi con cui simpatizzava,

che a parte qualche eccezione (come quella di Carl Schmitt), consideravano il “popolo”

molto più dello Stato. D’altra parte, Evola ha scritto poco sulla crisi contemporanea dello

Stato-nazione, una crisi che Schmitt aveva, al contrario, ben percepita fin dagli anni Trenta.

L’organicismo m’è sempre parso problematico. Evola ha un particolare interesse per

l’“organico”, ma quest’ultimo è indissociabile dall’elemento popolare che Evola respinge».

Che tipo di monarchico era Julius Evola?

«Evola era fondamentalmente un monarchico, e ciò si capisce molto bene dalle sue

critiche al fascismo e ancor di più alla Repubblica di Salò, ma ad esempio il suo essere

monarchico non ha molto a che fare con Charles Maurras, nel quale ha larga parte il

positivismo e il “giacobinismo bianco”. La sua è una monarchia d’ispirazione metafisica, che

deriva da un’idea della sovranità ispirata ai principi della Tradizione primordiale».

Nel suo saggio introduttivo a Gli Uomini e le rovine e Orientamenti: Julius Evola,

reazionario radicale e metafisico impegnato (traduzione di Alessandro Giuli,

Mediterranee, 2001), lei parla di punti “in comune” fra “il liberalismo ed il pensiero

evoliano”. È una prospettiva interessante.

«È certo un’idea un po’ provocatoria, o almeno paradossale. L’ho formulata in

riferimento agli scritti giovanili di Evola. L’individualismo assoluto professato da Evola

all’epoca del dadaismo deve tanto a Nietzsche e a Stirner. Evola scrive che l’individuo deve

liberarsi di qualsiasi legame per diventare “a sé stesso la sua legge”. Aggiunge, è vero, che la

volontà dell’“individuo assoluto” deve essere considerata come “volontà pura”, ma la

formula resta abbastanza ambigua, perché nella dottrina liberale l’individuo è ugualmente

posto come autosufficiente, cioè come capace di determinare da se stesso la sua legge.

Successivamente, Evola ha certamente denunciato con forza l’individualismo liberale, ma la

mia sensazione è che tutto ciò che ha scritto in seguito sull’idea di “persona assoluta”

dimostra che una certa dimensione d’individualismo non è mai completamente cessata».

E per quanto riguarda il rapporto fra Evola e il mondo dell’economia?

«Certamente l’antieconomismo insieme alla critica del nazionalismo in nome

dell’idea “imperiale” è una delle cose più attuali dell’opera evoliana. Ci si può solo

rammaricare che questo antieconomismo sia inseparabile dalla sfiducia di principio per tutto

ciò che è sociale. Del resto, la confusione dell’economico e del sociale è abbastanza abituale

per l’autore “di destra”...».

Gli Uomini e le rovine si conclude con un capitolo dal titolo: Europa una: forma e

presupposti. Secondo lei ci sono idee valide ancora oggi?

«Evola concepisce l’Europa principalmente alla luce dell’“idea imperiale” ereditata

dal Medioevo e specialmente dal Sacro Romano Impero germanico nella sua versione

“ghibellina”. Mi sembra che abbia difficoltà a conciliare quest’idea col suo impegno in

favore dello Stato nella misura in cui quest’ultimo è stato edificato sulle rovine dei comuni

medievali e possiede pertanto un carattere intrinsecamente moderno. D’altra parte, la sua

convinzione che il potere dev’essere esercitato dall’alto e non dal basso, per esempio secondo

il principio di sussidiarietà, gli ha impedito di vedere le affinità esistenti fra la nozione

d’impero ed i principi del federalismo contemporaneo».