Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / I rapporti internazionali? Siamo in un periodo storico molto instabile

I rapporti internazionali? Siamo in un periodo storico molto instabile

di Stefano Vernole (a cura di Srdjan Novakovic) - 18/11/2006

Intervista a Stefano Vernole

Pubblicata sul mensile "Geopolitika" di Belgrado - Novembre 2006 - Traduzione dal serbo-croato del dott. Srdjan Novakovic


Domanda: Dott. Vernole,la rivista "Eurasia" ha dedicato moltissimo spazio alla crisi mediorientale. Quale è la sua opinione riguardo le cause del conflitto e sulla guerra in corso tra l'esercitod'Israele e Hizb'allah? Diversi analisti temono l'escalation di questo conflitto,si parla già di "quarta guerra mondiale" ? Lei personalmente condivide queste preoccupazioni ed è pessimista riguardo il futuro?

Risposta: Le cause del conflitto appena terminato tra Israele e Hiz’ballah, che sarebbe più giusto definire l’aggressione sionista al Libano, s’inscrivono nel progetto neoconservatore statunitense volto a creare il “Nuovo Medio Oriente” o “Grande Medio Oriente”. L’obiettivo degli strateghi di Washington è quello di accelerare il proprio controllo delle principali fonti energetiche dell’area mediorientale e dell’Asia Centrale, nonché di creare una barriera armata di separazione tra la Russia e la Cina, alfine di dominare la massa continentale eurasiatica. In questo disegno, forse anche per la presenza di numerosi ebrei nel think thank dei neo-cons, Israele è tornato ad assumere un’importanza geopolitica centrale agli occhi della politica estera nordamericana, dopo il declino che stava accompagnando l’entità di Tel Aviv in conseguenza della fine della “guerra fredda”. Date le difficoltà che l’esercito statunitense ha registrato a causa della resistenza armata in Afghanistan e Iraq, constatato che la manovra di destabilizzazione del Libano operata attraverso l’omicidio Hariri (probabilmente opera del Mossad) era fallita ma aveva comunque fatto uscire le truppe siriane dal paese, l’Establishment ha pensato di delegare allo Tsahal il “lavoro sporco”, fornendogli preventivamente le armi per perforare i bunker di Hiz’bollah. L’attacco israeliano – perpetrato su mandato statunitense – grazie a un’inaudita brutalità, al massacro di civili inermi, al bombardamento sistematico di tutte le infrastrutture del Libano, aveva lo scopo di far saltare i nervi al governo di Damasco e coinvolgerlo nel conflitto. Una volta entrata in guerra la Siria, l’Iran – legato al regime baathista da un trattato di alleanza militare – sarebbe stato costretto a partecipare al conflitto, fornendo così il pretesto agli Stati Uniti d’intervenire. Fortunatamente, la saggezza di Damasco e Teheran, probabilmente rassicurate dalle forniture d’armi garantite da Mosca e Pechino ad Hiz’bollah, ha impedito che si scatenasse una guerra generalizzata, che Russia e Cina non sono ancora in grado di combattere a viso aperto per vari motivi economici e politici. L’eroismo delle milizie sciite, unitamente a un’ottima applicazione delle tattiche di guerriglia, ricalcate peraltro da quelle utilizzate nel 1999 dall’esercito serbo, ha impedito una vittoria militare israeliana, che sarebbe stata naturale data la sproporzione delle forze in campo. Ora, esiste dal mio punto di vista una doppia lettura dell’esito di questo conflitto. Da una parte, c’è sicuramente lo scacco psicologico che l’esercito sionista ha dovuto subire e che segue quello già grave dovuto al ritiro dal Libano del Sud nel 2000, con ovvie ripercussioni non solo nello Stato Maggiore ma anche all’interno dell’esecutivo di Tel Aviv. Momentaneamente è fallito pure il tentativo statunitense di trascinare Siria ed Iran in una guerra generalizzata e dal Pentagono desiderata, prima che Russia e Cina completino il proprio rafforzamento economico, politico e militare. Sono peraltro convinto che la fine dell’aggressione al Libano sia stata determinata dagli Stati Uniti, terrorizzati che durante la sospensione di 48 ore delle ostilità perentoriamente chiesta dalla Russia, Mosca potesse fornire Hiz’bollah di armi ancora più strategiche. La missione Unifil delle Nazioni Unite avrebbe invece l’obiettivo di consentire a Washington e Tel Aviv di conseguire quei risultati politici che non sono stati capaci di raggiungere sul terreno militare. Dall’altra, apparentemente, la NATO riesce a mettere piede in Libano, imprenditori sionisti e anglo-protestanti parteciperanno alla ricostruzione di un paese da loro devastato militarmente mentre Hiz’bollah dovrebbe essere messo nelle condizioni di non nuocere. La verità sta probabilmente nel mezzo, in quanto il comando della missione è affidato a Francia e Italia e non a Stati Uniti e Gran Bretagna (paradossalmente potrebbe essere per l’Europa l’occasione di assumersi le proprie responsabilità internazionali), c’è la presenza di truppe della Malesia (che non riconosce Israele) e della Turchia (il cui Parlamento ha già stabilito che in caso si volesse disarmare Hiz’bollah i propri soldati torneranno a casa), nessuno per ovvi motivi tenterà di togliere le armi alla milizia di Nasrallah che finirà per integrarsi nell’attuale esercito libanese – dove la componente sciita è già importante – per assumerne il controllo. Si tratta perciò del primo tempo di una partita destinata comunque a continuare fino al completo raggiungimento degli obiettivi di Israele e Stati Uniti, la cui ostinazione e mancanza di umanità sono purtroppo assolutamente sottovalutati dai mass media internazionali. Sono allora pessimista, nel senso che il futuro ci riserverà altre guerre e dolore, ottimista per quanto riguarda il risultato finale di questo avventurismo bellico, accresciutosi dopo l’11 settembre 2001, data d’inizio del Terzo o Quarto conflitto mondiale (se si considera la “guerra fredda”). La trama che Russia e Cina stano tessendo grazie all’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, gli accordi strategici sempre più frequenti tra le nazioni non allineate, Venezuela, Iran, Cuba, Bolivia, Bielorussia, il crescente antiamericanismo dilagante ormai anche in Europa, consentono di sperare in un futuro di cooperazione tra i popoli e in un mondo multipolare non dominato dai dogmi liberisti.


D: Stiamo entrando in un periodo storico molto instabile. A parte possibili inquinamenti nella terminologia,quali sarebbero problemi cruciali per la sicurezza globale tra "crisi energetica","scontro tra le civiltà" e la "distruzione dell’habitat"?

R: L’attuale modello di sviluppo, contrassegnato dalla globalizzazione capitalista, non potrà dispiegarsi ancora a lungo per una serie di motivi, demografici, ecologici ed economico-finanziari. Il fatto che gli Stati Uniti stiano correndo a tutta velocità verso l’accaparramento delle ultime risorse energetiche disponibili fa ben capire quanto sia urgente questo problema. La distruzione dell’ambiente e delle risorse naturali è sistematica, i gradi di inquinamento dell’atmosfera stanno raggiungendo livelli ormai insopportabili, in nazioni come l’Italia ma anche nel resto dell’Europa, la crescita esponenziale del numero dei tumori – dovuti probabilmente anche all’utilizzo da parte della NATO di sostanze radioattive e chimiche nei suoi bombardamenti contro la Serbia, l’Afghanistan, l’Iraq e il Libano - sta velocemente facendo regredire la durata della vita degli individui. Il “mondo è a pezzi”, per citare un mio recente articolo ripreso anche da una rivista serba e occorre assolutamente cambiare direzione di marcia. Bisogna però fare attenzione, data la delicatezza dell’attuale fase geopolitica. La stragrande maggioranza delle associazioni ambientaliste, pacifiste e per la difesa dei diritti umani, le ONG, operano coscientemente o inconsciamente a favore della strategia nordamericana, volta a mettere in difficoltà i governi a lei ostili, grazie alla pressione dei grandi mezzi di comunicazione di massa controllati da Washington. Questo avviene perché la crescita economica di nazioni come Russia, Cina, India e la stessa Unione Europea, con l’euro quale eventuale valuta sostitutiva del dollaro, stanno decisamente mettendo in crisi l’egemonia planetaria degli Stati Uniti, che nel 1946 controllavano il 50% del PIL mondiale e oggi solo il 28%, una quota destinata a scendere viste le difficoltà commerciali dovute al loro colossale debito estero (circa 7.000 miliardi dollari). Recentissimo esempio, le proteste di Amnesty International e di altri gruppi della “sinistra” italiana per il parere favorevole espresso da Romano Prodi alla fine dell’embargo sulla vendita di armi alla Cina, diktat imposto da Washington ma non rispettato nemmeno dalla Francia. Da qui nascono spesso le proteste dei vari gruppi ambientalisti e le “preoccupazioni ecologiche”. Compito dei quadri geopolitici eurasiatisti è proprio quello di smascherare questo gioco, appoggiare le intese internazionali, economiche e militari volte a ridimensionare drasticamente l’unilateralismo della Casa Bianca ma al tempo stesso preparare il terreno per una sterzata in senso socialista della futura Eurasia, il cui modello di sviluppo non potrà che essere basato su un’equa ridistribuzione dei profitti, su un rinvigorito Stato sociale e su un’armonioso equilibrio tra innovazione tecnologica e salvaguardia dell’ecosistema. Il cd. “scontro di civiltà” non è invece nient’altro che un’invenzione propagandistica elaborata dai centri di potere dell’establishment statunitense ed esemplarmente incarnata dagli scritti di Samuel Huntington o Bernard Lewis; le tensioni tra fedi religiose sono funzionali alla penetrazione talassocratica nella massa continentale eurasiatica, finito il pretesto rappresentato in passato dalla “minaccia sovietica” oggi ne è stato creato uno nuovo agitando lo spauracchio di “Al Qaeda”, un’organizzazione probabilmente controllata dalla CIA. I paesi e i popoli slavi hanno in questo momento storico una funzione importantissima, quella cioè di non cadere nella trappola della contrapposizione religiosa tra Ortodossia ed Islam, abilmente sfruttata invece da Washington quando è riuscita a mettere gli uni contro gli altri, Russi e Ceceni, Serbi e Bosniaci musulmani … Tutto ciò è avvenuto grazie anche alla complicità di traditori come Boris Eltsin o all’ingenuità di Stati come l’Iran, che si sono poi visti scavalcare nell’influenza regionale da Arabia Saudita e Marocco, tradizionali alleati nordamericani. Più le difficoltà di Stati Uniti ed Israele aumenteranno, più cresceranno le provocazioni volte ad alimentare questo conflitto, con la speranza di trascinare tutta l’Europa nelle loro guerre coloniali. Bisogna quindi chiarire che quello oggi combattuto non è un conflitto tra religioni, ma una battaglia decisiva per la sovranità sull’Eurasia. Veramente notevole, al proposito, è la formazione di assi geopolitici che superano le reciproche differenze culturali, come quello tra nazioni quali Iran, Venezuela, Cina e Russia, insieme alle alleanze che partiti politici diversissimi stanno formando (il Partito Radicale serbo con il Partito Comunista cubano o con il Baath siriano …). La produzione energetica, in un momento in cui il petrolio rappresenta ancora il 40% del consumo mondiale, insieme alla grande disponibilità di giacimenti di gas naturale in mano alla Russia, è proprio il fulcro dal quale partire per creare anche una più vasta aggregazione geopolitica. Per concludere la risposta alla sua domanda, bisogna oggi ribaltare lo slogan dello “scontro di civiltà” proponendo quello della “cooperazione tra le civiltà” contro l’unico nemico dell’umanità incarnato dall’imperialismo globalizzato a stelle e strisce.


D: Lei è reduce da un viaggio in Serbia,ha appena visitato la provincia serba di Kosovo e Metohija.Quali impressioni porta con se?

R: Quello da me effettuato in Serbia e Kosovo e Metohija nel luglio 2006 è solo l’ultimo di una decina di viaggi da me compiuti, dal 1995 ad oggi, nella ex Jugoslavia. La situazione dei pochi Serbi rimasti nella “Terra Sacra” è disperata, stretti tra l’assedio della maggioranza albanese da una parte e l’occupazione delle truppe atlantiste dall’altra. La mia impressione è che l’attuale governo di Belgrado faccia troppo poco per difendere la sua sovranità in quella regione, che si sta avviando gradualmente ma ormai inevitabilmente verso l’indipendenza. Gli stessi Albanesi, da quello che ho potuto capire, ne sono consapevoli e attendono solo una dichiarazione ufficiale della Comunità Internazionale in tal senso. Il fatto che si sia passati indenni, con una sola macchina di scorta, in città come Orahovac e Malisevo, la dice lunga sulla sicurezza che gli ex membri dell’UCK manifestano sul futuro politico del Kosovo e Metohija. Credo che in questo momento solo la Chiesa Ortodossa e il Partito Radicale a Belgrado abbiano reale coscienza di ciò che sta per avvenire, insieme ovviamente ai Serbi che ancora vivono in Kosmet, i quali sono pronti a fare le barricate per controllarne almeno il Nord da Mitrovica al confine. In un quaderno di geopolitica da me curato e che a breve uscirà in Italia, analizzo sia l’importanza spirituale e culturale che il Kosovo e Metohija riveste per l’identità del popolo serbo, sia le negative conseguenze geopolitiche che investirebbero l’intera regione balcanica dopo un suo cambiamento di status costituzionale. Appena gli Albanesi proclameranno l’indipendenza, il governo di Belgrado decreterà lo stato di occupazione del Kosovo, ufficialmente non credo proprio che l’esercito serbo possa essere inviato (oggi peraltro l’Armata è notevolmente insidiata dalle riforme imposte dall’Alleanza Atlantica) ma numerosi volontari si uniranno sicuramente ai Serbi che rimarranno a difendere la propria terra. A quel punto, la Repubblica Serba di Bosnia si riterrà libera da qualsiasi impegno e proclamerà a sua volta la secessione dalla federazione bosniaca, si apriranno scontri in tutto il Sud della Serbia (Presevo, Bujanovac, Medvedevo), in Montenegro, in Macedonia e probabilmente in Grecia. Il nazionalismo panalbanese verrà nuovamente rinfocolato e utilizzato dagli Stati Uniti per tenere in scacco l’Europa, destabilizzando una zona strategica per le sue comunicazioni. Già durante l’aggressione della NATO alla Federazione Jugoslava nel 1999, Dragos Kalajic fece un appello alla televisione italiana invitando Serbi ed Albanesi a combattere insieme contro il loro comune nemico di Washington, ma temo che anche questa volta un eventuale tentativo in tal senso finirebbe nel vuoto. Troppi sono stati gli scontri e gli odi reciproci che si sono rinfocolati negli anni per pensare di risolvere la questione diplomaticamente, magari attraverso la spartizione del paese e una tutela internazionale per i luoghi sacri della Metohija, ritengo perciò che il peggio stia per arrivare. Peraltro, girando il Kosmet, ho notato come gli Albanesi abbiano dedicato numerosi simboli agli Stati Uniti, intitolando vie alla NATO e issando manifesti al generale Clark, non capendo così di svolgere il ruolo degli utili idioti dell’imperialismo a stelle e strisce. Ancora una volta tutto rimanda alla mancanza di autonomia dell’Europa; se il nostro Continente fosse veramente sovrano, d’intesa con la Russia, una soluzione pacifica sarebbe ancora possibile. Certo, se l’atteggiamento di Bruxelles continua ad essere quello collaborazionista intrapreso con la farsesca messinscena del Tribunale dell’Aja, un’ istituzione foraggiata dalla Fondazione Soros che si rifiuta di giudicare i piloti della NATO e mette in libertà criminali di guerra rei confessi bosniaco-musulmani e albanesi, l’Europa rischia seriamente il suicidio.


D: Come spiega la politica ipocrita dell'Occidente nei confronti della Serbia,la politica dei due pesi e due misure?Nonostante serie divergenze tra Ue e Usa riguardo varie situazioni (per esempio,sulla questione irachena),esiste l'unità assoluta di vedute per la continuazione di politica di pressione ed umiliazione nei confronti del popolo serbo,allo scopo finale delle ulteriori concessioni territoriali.Come si spiega Lei questo lavoro a quattro mani sulla povera Serbia,tra tanta retorica ed apparenti divergenze?Con che cosa e perché la Serbia si è inimicata l'Occidente "democratico"? Perché questa colossale ingiustizia?

R: La risposta a questa domanda implicherebbe la stesura di un intero libro, che forse un giorno scriverò, in un’intervista devo per forza essere sintetico. In relazione a quanto ho già detto sopra mi sembra chiaro che Slobodan Milosevic, aldilà degli errori di valutazione che può aver compiuto, non era il responsabile ma il caprio espiatorio di quella che può essere considerata un’azione sistematica dell’Occidente volta a smembrare la Serbia e ad annientarne il proprio orgoglio nazionale. Tutto trova una sua logica nella geopolitica e in questo caso ritengo vi sia una componente ulteriore, che attiene al campo spirituale. Terminato il suo ruolo di barriera antitedesca e antisovietica, la ex Jugoslavia è stata letteralmente fatta a pezzi per creare una serie di staterelli instabili e facilmente controllabili dalle varie potenze. In questa occasione gli interessi tedeschi sono coincisi con quelli angloamericani; entrambi hanno approfittato della debolezza russa e dell’isolamento francese, perciò per la piccola Serbia c’è stato poco da fare. In Iraq la situazione è diversa, perché in quel paese sono andati a scontrarsi gli interessi economici delle multinazionali angloamericane con la tutela dei contratti petroliferi che Germania, Francia e Russia avevano stipulato con il regime di Baghdad. In ogni caso, il contrasto economico non si è ancora oggi approfondito irrimediabilmente dal punto di vista politico e gli Stati Uniti potrebbero ancora parzialmente recuperare i vecchi alleati europei. Credo siate già tutti consapevoli della partita che si è giocata nei Balcani relativamente al controllo degli oleodotti per il trasporto del petrolio, non a caso la base militare statunitense di Camp Bondsteel – la più grande d’Europa - si trova in Kosovo e Metohija al confine con la Macedonia proprio a tal fine. Esistono in breve evidenti motivi legati alla centrale posizione geopolitica della vostra nazione nello scacchiere balcanico che hanno determinato questo accanimento nei suoi confronti. Se ad essi aggiungiamo la politica di nazionalismo economico della Serbia, ancora parzialmente socialista e quindi contraria alle privatizzazioni, il patriottismo “obtorto collo” di Milosevic che non aveva altre possibilità di manovra se voleva mantenersi al potere, la richiesta di Belgrado volta ad entrare nell’Unione Europea senza prima passare dalla NATO, il quadro generale è chiaro. Come sottolineato all’inizio, però, vi è un ulteriore elemento da rimarcare. La fine della Jugoslavia titina ha permesso ai Serbi di riscoprire improvvisamente la propria tradizione culturale, religiosa e spirituale, ponendoli quali eventuale avanguardia di un’Europa libera dal dominio atlantico, grazie anche al ritrovato legame con la Russia ortodossa. Studiando la vostra storia e conoscendo molte persone sia a Belgrado che nel resto del paese mi sono convinto che i Serbi possiedano caratteristiche uniche, ereditate da un passato mitico che non può essere infranto; questo consente loro di essere “incontrollabili” e di poter fare cose eccezionali, nel bene e nel male. La combinazione di tutti questi elementi ha dato perciò vita a una miscela esplosiva, ovviamente inaccettabile ai “padroni del mondo”, il cui scopo ultimo è di ridurre l’intero Pianeta a una massa poltigliosa e indifferenziata che viva secondo i dettami dell’ ”american way of life”. Destino dei Serbi è perciò riconoscere che le loro peculiari qualità li porteranno sempre ad avere un ruolo fondamentale negli avvenimenti della Storia ma questo implica per loro sia gloria che dolore. In maniera simile, anche se con minore durezza di quello riservata alla Serbia - per vari motivi - vi è l’assoluta coincidenza di comportamento tra Europa e Stati Uniti riguardo all’indipendenza della Transnistria, rea di non voler aprire la propria economia alle multinazionali e di rimanere legata alla Federazione russa. La mia esperienza a Tiraspol e altre città di confine quale osservatore internazionale in occasione dell’ultimo referendum, mi ha permesso di capire quanto profonda sia l’importanza della propaganda occidentale nella demonizzazione di una nazione, in realtà assolutamente tranquilla e convinta nello scegliere il proprio futuro. Certo, lo stesso atteggiamento sfavorevole non si è riscontrato a proposito del referendum indipendentista tenutosi in Montenegro la scorsa estate, ma le concessioni di Djukanovic all’Alleanza Atlantica in tal senso sono state decisive.


D: Come vede Lei il ruolo della Russia sulloscacchiere mondiale in questomomento,l'epoca di presidente Putin?Quale funzione assolvono gliattachi sempre più agressivi allo stato russo ed al suo presidente,si parla di soliti "diritti civili"mancanti,"stato di polizia","poca democrazia"? Ultimamente sono ripresi attentati eccellenti.

R: Dopo gli anni nefasti dei traditori Gorbaciov ed Eltsin, che avevano venduto la propria nazione all’Occidente usurocratico, l’avvento al Cremlino di Vladimir Putin segna una netta inversione di tendenza. La Russia sta progressivamente uscendo dalla decadenza, lo Stato è tornato ad assumere una certa autorevolezza e l’economia – grazie all’esportazione di petrolio e gas naturale delle quali Mosca è divenuto il primo produttore mondiale superando recentemente anche l’Arabia Saudita – è in grande rilancio. Non solo, massicci sforzi sono stati intrapresi anche nel settore militare con nuovi investimenti e il debito estero – sia quello con il Fondo Monetario Internazionale che con il Club di Parigi – è stato completamente annullato. Sono state varate due importanti leggi, una che impedisce alle ONG riceventi finanziamenti dall’estero di operare in Russia, l’altra che consente allo Stato di mantenere almeno il 51% delle azioni nelle imprese strategiche. Mosca svolge inoltre, attraverso l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai e intese bilaterali con Venezuela, Corea del Nord e Siria, un’azione indispensabile ed efficace per la costruzione di un nuovo ordine mondiale multipolare. Solo gli ingenui o i disattenti possono stupirsi per quello che sta accadendo. In realtà, fin dall’inizio del suo mandato Vladimir Putin aveva agito in questa direzione con una diplomazia spregiudicata ed efficace, bloccatasi solo dopo l’11 settembre 2001. La controffensiva statunitense, dopo gli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono, ha per alcuni mesi stoppato l’iniziativa del Cremlino ed è riuscita a ricreare un cuneo divisorio tra Russia ed Europa. Putin ha subito quindi in silenzio l’espansione nordamericana in Afghanistan ed Asia centrale e consapevole che - come proclamato da Nietzsche (il quale aveva rovesciato l’assunto di Clausewitz) - la “politica non è altro che la continuazione della guerra con altri mezzi”, ha preparato pazientemente le sue mosse. Dopo il no all’invasione dell’Iraq il presidente russo ha concesso ancora un po’ di fiducia al nostro continente ma la “rivoluzione arancione” orchestrata in Ucraina dai sodali di Soros con la complicità di Bruxelles ha “fatto traboccare il vaso”; il capo del Cremlino ha allora stretto alleanza con la Cina, smentendo tutti gli assunti dei geopolitici atlantisti secondo i quali Mosca temeva l’espansione di Pechino in Siberia. Grazie alla cooperazione russo-cinese è stato possibile cacciare gli statunitensi dall’Uzbekistan e ridimensionarli in Kirghizistan, in Kazakhstan e Tagikistan (dove Mosca collabora con Nuova Delhi) la situazione è salda, in Ucraina è stato rimesso in sella Yanukovic, la Transnistria è ormai parte della CSI e la Georgia filoamericana viene piano piano spezzettata. Ovvio che tutto questo non possa essere accettato dagli strateghi di Washington e già da tempo è iniziata una campagna presto destinata a divenire martellante nei confronti della presunta “autocrazia” di Vladimir Putin. Quest’ultimo, a mio giudizio, corre un serio pericolo di essere ucciso da qualche mafioso per conto della CIA, lo stesso recente omicidio del vicepresidente della Banca centrale russa è un chiaro avvertimento in tal senso.
(continua, vedi fonte perchè spazio digitale terminato)