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Economia e politica, la terapia di Stiglitz

di Franco Berardi Bifo - 18/11/2006

 
La parola globalizzazione ha dominato gli anni Novanta, è stata sottoposta alla critica di massa del movimento noglobal, ed entra in un alone di indefinitezza per effetto del mutamento della scenario mondiale prodotto dalla guerra terroristica degli anni 2000. Al contempo il protezionismo torna nelle politiche occidentali, in risposta all’emergere economico del continente asiatico. E’ dunque lecito chiedersi oggi se la globalizzazione è ancora la tendenza predominante.

Joseph Stiglitz risponde con decisione: «Sì, la globalizzazione resta la tendenza dominante nell’economia planetaria. Però occorre riformarne le regole di funzionamento». Making globalization work è il titolo dell’ultimo libro di Joseph Stiglitz, tradotto in italiano per Einaudi con il titolo La globalizzazione che funziona (forse sarebbe meglio Per una globalizzazione che funzioni). Lo scrittore, docente di economia alla Columbia University, torna sul tema posto nel 2002 con The globalization and its discontents, e suggerisce linee di riforma dell’ordinamento economico globale. Durante un’intervista a Rai3 nello spazio della trasmissione Fahrenheit Stiglitz si è dichiarato ottimista sugli effetti che la globalizzazione può avere sulla vita delle popolazioni nonostante tutte le contraddizioni che ha rivelato fino a questo momento, e nonostante il ruolo che hanno avuto e prevedibilmente avranno le corporation multinazionali. Dopo aver osservato che «i flussi di capitali verso i paesi in via di sviluppo erano sestuplicati dal 1991 al 1996», e descritto gli effetti progressivi della globalizzazione dei mercati sulle economie di vastissime zone del mondo in via di sviluppo, Stiglitz mette in luce il fallimento delle politiche di governo della globalizzazione dovute al predominio forzoso della potenza economica americana, e alla fallacia pratica dell’idea neoliberista secondo cui, finché l’economia cresce nel suo complesso, tutti ne traggono vantaggio.

Nell’ultima parte del libro Stiglitz indica le linee di una riforma del sistema economico globale. «Il sistema finanziario globale non funziona come si deve, specie per i paesi in via di sviluppo. I flussi di danaro viaggiano in salita dai paesi poveri verso i ricchi. Il paese più agiato del mondo, gli Usa, vive costantemente al di sopra dei propri mezzi, prendendo in prestito 2 miliardi di dollari al giorno dai paesi poveri». E inoltre i meccanismi benefici della concorrenza sono schiacciati e annullati dalla concentrazione monopolistico-corporativa. La terapia suggerita da Stiglitz si fonda su una rivalutazione delle soluzioni keynesiane, e si condensa nella proposta di «un’unità monetaria a corso forzoso da utilizzare per le riserve». Una banconota universale che sostituisca il dollaro negli scambi internazionali e che funzioni come fattore di riequilibrio e di stimolo per lo sviluppo dei paesi svantaggiati.

L’implicazione di questo ragionamento è direttamente politica. Fino a qualche anno fa un’ipotesi di questo genere sarebbe apparsa utopistica, mentre oggi, nel pieno della catastrofe militare dell’occidente diviene realistica l’ipotesi di un ridimensionamento della potenza americana, e di un radicale rinnovamento del mercato finanziario globale. Gli Usa hanno fondato il loro predominio finanziario sul predominio militare, ma oggi questo si sta dissolvendo sotto gli occhi sbigottiti dell’intera comunità internazionale. Non è forse questa l’occasione per liquidare l’egemonia che ha messo il pianeta in condizioni di squilibrio e disuguaglianza?

La definizione di globalizzazione che emerge dall’opera di Stiglitz è centrata sulla liberalizzazione dei mercati, ma lascia in ombra il tema della formazione di un circuito globale del processo lavorativo. Stiglitz riconosce l’effetto deprimente che la globalizzazione del mercato del lavoro ha avuto sui salari, quantificabile in una caduta di circa il 30% dei salari reali negli ultimi trent’anni. Ma l’impoverimento relativo, l’aumento dello sfruttamento, la sottomissione della vita quotidiana alle regole globali della produttività, sono aspetti che rimangono in ombra in questo libro che va considerato comunque un contributo utilissimo alla critica e alla ricerca di prospettive di trasformazione.

Nel lavoro di Stiglitz (che per quanto critico resta pur sempre un economista) rimane in ombra il problema dello statuto epistemico e pratico della scienza economica. Quali possibilità esistono di governare l’economia secondo regole sociali e generalmente umane? La scienza economica ha permesso all’umanità di sopravvivere e di progredire, ma la naturalizzazione delle leggi economiche ha prodotto un effetto devastante sulle condizioni di vita della società. Potrà l’umanità sopravvivere al predominio dell’economia? E quale potenza umana, d’altra parte è in grado di contrastare limitare e governare la potenza delle forze economiche? Ovvero: quale autonomia può avere la politica dal predominio dell’economia?