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La morte a Bagdad (in che modo la democrazia ha lasciato senza lavoro la peste)

di Santiago Alba Rico - 20/11/2006




Per una volta vi racconterò una favola.
Molti anni fa si scatenò a Bagdad un'epidemia di peste. La Morte, che bisogna immaginare anziana, minacciosa e familiare, vestita con una palandrana nera e armata di falce, andava di casa in casa bussando alle porte con le sue nocche scarnite mentre annunciava la sua presenza con un vocione sinistro: “Non c'è più morte della Morte e la Peste è il suo profeta”. E uno ad uno molti abitanti di Bagdad avevano perso la vita.

Un giorno la Morte accorse a casa di Redwan, un bambino di dodici anni che si preparava ad uscire in strada per sellare un cavallo bianco. “Non c'è più morte delle la Morte e la Peste è il suo profeta”, gridò la morte e diede un appuntamento a Redwan per quella sera alle cinque al mercato di Al-Karrada. Redwan, che aveva letto la vecchia storia del soldato di Samarcanda, resosi conto che non c'era nessuna scappatoia, corse a salutare i suoi compagni , mangiò una fetta di cocomero e, coraggioso, si incammino all'appuntamento.

Ma Rodwan non arrivò mai al mercato.

“Non c'è più morte delle la Morte e la Peste è il suo profeta”, si vantava dalla sua parte la Morte mentre avanzava puntualissima, qualche minuto prima delle cinque, verso Al-Karrada. Ma ecco che, improvvisamente, un disordine di vocii e pianti la trattenne sul bordo di una piazza. La Morte provò sorpresa e poi collera: una moltitudine di gente stava sotterrando cento abitanti di Bagdad.-o 1000 o 10000, era difficile contarli- che non aveva ammazzato lei . Chi l'aveva preceduta? Chi aveva ammazzato quel grappolo di gente stesa a terra e insanguinata? Era la Democrazia, che era arrivata in città. Sui suoi carri armati di sette leghe, con il suo coro di aerei e missili, sollevata gloriosamente su un seggio di crani, annunciava con gli altoparlanti la nuova legge della nazione: “c'è più di una Morte e la Democrazia è la più forte”. Tra i morti della piazza, certo, c'era Rodwan che aveva creduto ingenuamente alla verità della favole.

A partire dal quel momento la Morte arrivò tardi a ogni suo appuntamento. “ Non c'è più morte che la Morte e la Peste è il suo profeta”, ma la precedeva sempre la Democrazia. La vecchia Morte vestita con una palandrana nera e armata di falce, la vecchia Morte che da tutta la vita negoziava ad uno ad uno i destini individuali, la vecchia morte che imitava tragicamente le abitudini degli innamorati, finì per diventare mezza matta, zoppicando per le strade di Al-Karrada e Al-Muntasiriya, perseguitata da un agitarsi di bambini e uno strombettio di marins.

E da allora mai più nessuno morì di morte naturale a Bagdad.

Per questo, scrivevo io poco tempo fa, le madri di Bagdad, di Ramada, di Al-Quaim, di Faluya, quando i loro figli non vogliono mangiare la minestra, li minacciano: “Mangia, bambino mio, mangia, che viene la Democrazia”. E quando non vogliono andare a letto, le madri di Bagdad, di Ramada, di Al-Quaim, di Faluya, gli dicono: “Dormi, bambino mio, dormi che la Democrazia sta giù nel portone”. E quando non vogliono fare i compiti, le madri di Bagdad, di Ramada, di Al-Quaim, di Faluya, li avvertono: “Studia, bambino mio, studia, che la Democrazia ha buttato giù la porta”. Alla fine della favola, tutti i giorni, le madri di Bagdad, di Ramada, di Al-Quaim, di Faluya, dicono ai loro figli con una breccia nella voce: “ Scava, bambino mio, scava, che la Democrazia ha appena sgozzato tuo padre nel salone”.

Questa non è una favola. Nelle favole, un bambino grande quanto una matita sconfigge due giganti: in Irak i bambini si dissanguano, con un colpo al petto, sui marciapiedi. Nelle favole, un contadino coraggioso fa tornare il sorriso a una principessa: in Irak, i contadini coraggiosi vengono fucilati o accoltellati tra le spighe. Nelle favole, una povera donzella conquista l'amore di un re: in Irak le povere donne vengono violentate dai soldati dell'imperatore. Nelle favole la giustizia finisce per costruire una città: in Irak l'ingiustizia meglio armata della storia bombarda tutti i giorni quindici città con dentro i suoi abitanti. Tutto questo starà succedendo mentre io lo scrivo e sta succedendo mentre voi lo leggete. Tutto questo sta succedendo, nonostante leggerlo lo renda, in qualche modo, inverosimile o incredibile. Tutto questo non sta succedendo a noi, nonostante saperlo ci faccia sentire paradossalmente protetti. Chi voglia sentirsi indifeso, vulnerabile, in pericolo, chi voglia essere il protagonista di un'esperienza reale, e non poter riposare mai più, chi voglia lasciare da parte la comoda mezza distanza della compassione e lasciarsi palpare dalla vicinanza assoluta dell'orrore, chi voglia provare interesse e vergogna ed essere anche accusato, dovrà far ricorso a Crónicas de Iraq (Ed. Oriente e Mediterraneo 2006) di Imàn Amhed Jamás, la straordinaria donna grazie alla quale facciamo nostro il dolore di un paese nel quale- non mi viene in mente immagine più terribile- le madri hanno smesso di piangere e i padri hanno iniziato a farlo. Chi preferisce sentirsi forte, sicuro, innocente, rilassato, bello, buono, elegante, deve solo sedersi a contemplare la mattanza.

Imàn Jamás ne porta il conto e ci rivela che, nella battaglia tra la Democrazia e la Morte, la Democrazia ha ammazzato molta più gente. “Mamma, mamma”, dice il bambino, “da grande voglio avere trent'anni”. “Mamma, mamma”, dice il bambino, “se devo morire prima, che almeno mi porti via la Peste”. Brutti tempi questi, nei quali la maggior parte del pianeta prova nostalgia non soltanto di una parete, del fuoco, di una scarpa e di una minestra calda; brutti tempi questi, nei quali la maggior parte del pianeta prova nostalgia anche della Signora Morte.


di Santiago Alba Rico
filosofo spagnolo, conoscitore profondo della situazione dell'Iraq e della Palestina
traduzione di Giorgia Guidi per Ladinamo