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Mar Morto: chi salverà il «lago salato»?

di Giuseppe Caffulli - 20/11/2006

Dal 1976 è sprofondato di oltre 25 metri, perdendo 2 miliardi di metri cubi d’acqua ogni anno: così uno dei luoghi più ricchi di storia del Medio Oriente corre il serio rischio di prosciugarsi. Ora aspetta l’ambizioso intervento ingegneristico che dovrebbe portargli nuova linfa dal Mar Rosso

 

Ogni anno geografi e geologi sono costretti ad aggiornare i rispettivi libri di testo. Nel 2003 la quota indicata era di 412 metri sotto il livello del mare. Quest'anno andranno aggiunti altri tre metri. Non si tratta di un'inezia, se si pensa che negli ultimi trent'anni il Mar Morto è sprofondato di oltre 25 metri, perdendo 2 miliardi di metri cubi d'acqua ogni anno. Un fenomeno che determinerà l'abbassamento della linea costiera, entro il 2020, a meno 430 metri.
Gioiello naturalistico nel cuore del Medio Oriente, luogo ricco di fascino e di storia, elemento imprescindibile per la geografia biblica (basti pensare a luoghi come Qumran, Gerico e Masada), il «mare più depresso» del mondo rischia dunque la sparizione. Una sciagura non solamente dal punto di vista ecologico, ma anche economico e turistico: le sue acque, un concentrato unico al mondo di sali minerali, sono note per le proprietà terapeutiche che ne fanno la meta di un turismo qualificato. Solo nelle strutture alberghiere che si affacciano sulle sue distese bianche di sale, lavorano oltre 11 mila addetti. Ma qual è la ragione della profonda agonia nella quale versa il bacino? E quali le soluzioni per curare questo illustre ammalato? Se lo stanno chiedendo da tempo gli esperti dell'Università di Haifa, che da decenni hanno un occhio privilegiato sulle sorti del Mar Morto. «In 50 anni il bacino ha perso un terzo della sua superficie e il livello dell'acqua continua ad abbassarsi rapidamente; negli ultimi due decenni è sceso di un metro all'anno», avvertono. Sul fondo del mare poi sono state osservate numerose spaccature attraverso cui l'acqua si disperde nel sottosuolo. Il Mar Morto è adagiato sul fondo di una fossa tettonica particolarmente instabile, il grande Rift che inizia in Turchia e termina in Mozambico. «Abbiamo scoperto 1.650 voragini, alcune profonde anche dozzine di metri - spiega il geologo Eli Raz - ma al momento le aree interessate da questo fenomeno non sono tra quelle accessibili ai turist i».
Al di là delle questioni puramente idrogeologiche e climatiche, che favoriscono una massiccia evaporazione (ogni giorno le temperature raggiungono in questa regione i 40 gradi e più), la responsabilità prima delle condizioni attuali del Mar Morto è dell'uomo. Fino agli anni Trenta l'afflusso di acqua dal fiume Giordano era in grado di compensare l'evaporazione delle acque. Oggi non più: il corso d'acqua nel quale fu battezzato Gesù arriva al suo naturale sbocco ormai ridotto ad un rigagnolo. Le sue risorse idriche sono utilizzate massicciamente in agricoltura e per la produzione di energia elettrica. Argini, cisterne, canali d'irrigazione e stazioni di pompaggio fanno il resto. Attualmente il bacino è diviso in due invasi, separati da una penisola (che non esisteva affatto negli anni Trenta). Dove un tempo era una distesa d'acqua, oggi c'è un immenso deserto salato.
Per cercare di ovviare allo stato comatoso in cui versa il Mar Morto, nel luglio del 2005 la Banca Mondiale ha approvato la costruzione di un canale lungo 200 chilometri in grado di trasportare l'acqua necessaria dal Mar Rosso. Il progetto, a cura di studiosi israeliani, palestinesi e giordani, avrebbe dovuto essere completato nell'arco di cinque anni. Dopo la vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi dello scorso gennaio e la profonda instabilità politica che ne è seguita, Israele ha congelato l'intervento. Che non potrà però essere rimandato sine die.
Intanto alcuni gruppi di ecologisti contestano nel merito il progetto del canale. L'acqua del Mar Rosso infatti sconvolgerebbe l'ecosistema del bacino e metterebbe a rischio l'esistenza delle riserve naturalistiche che lo circondano. La ragione è presto detta: l'acqua che entra nel Mar Morto attraverso il fiume Giordano è dolce. La salinità del bacino è determinata dal contatto delle acque dolci con i sedimenti che si trovano sul fondo e nelle rocce che ne costituiscono le pareti. Il fenomeno di dissoluzione dei sedimenti salini non verrebbe ar ginato, ma semmai accentuato, dall'immissione di grandi quantità d'acqua di mare con un grado di salinità inferiore.
«Il piano migliore per tentare di salvare il Mar Morto? Consiste nel riportare il Giordano alla sua portata idrica naturale», sostiene l'associazione Amici della Terra del Medio Oriente (www.foeme.org), una ong che ha lanciato una campagna per la difesa e la salvaguardia del bacino. Un obiettivo che comporta però un profondo cambiamento di mentalità per la società israeliana contemporanea. «L'acqua non è una risorsa rinnovabile - spiega Gidon Bromberg, direttore dell'ufficio di Tel Aviv -, dobbiamo rendercene conto. Accanto ad un maggior sviluppo dell'irrigazione goccia a goccia, e a un razionale riutilizzo delle acque reflue, Israele dovrebbe smetterla di ricreare in una regione arida i simulacri delle città europee, con fontane, giardini e palmeti. È un lusso che non ci possiamo permettere».