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Le otto "R"

di Serge Latouche - 20/11/2006

La crescita oggi è una vicenda che produce redditi solo a condizione di farne ricadere il peso e il costo sulla natura, sulle generazioni future, sulla salute dei consumatori e sulle condizioni di lavoro dei dipendenti del Nord e ancora di più del Sud. È per questo che una rottura è necessaria. Tutti o quasi concordano, nessuno fa nulla.
Tutti i regimi moderni sono stati "produttivisti". Repubbliche, dettature, sistemi totalitari, governi di destra e di sinistra, partiti liberali, socialisti, populisti, social-liberisti, socil-democratici, centristi, radicali, comunisti, tutti hanno fatto della crescita un obiettivo al di sopra di ogni domanda. Il cambiamento necessario non può essere risolto con l'arrivo di un nuovo governo o di un'altra maggioranza. Serve una vera e propria rivoluzione culturale che sbocchi su una rifondazione politica.
Abbozzare i contorni di quello che potrebbe essere una società di non-crescita e mostrare che oltre a essere necessaria, è anche desiderabile, sono una premessa di qualsiasi programma politico per renderli possibili. Lo scompiglio richiesto dalla costruzione di una società autonoma di decrescita può essere rappresentato dall'articolazione sistematica e ambiziosa di otto cambiamenti che si rafforzano a vicenda, una specie di "circolo virtuoso": rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare.
Tuttavia, per tradurre quel circolo virtuoso in proposte politiche, bisogna inoltrarsi nell'elaborazione di proposte concrete. Si può pensare ad esempio a: ritrovare un'impronta ecologica uguale o inferiore a un pianeta, ovvero una produzione materiale equivalente a quella degli anni 60-70; inserire ecotasse adeguate per ridurre i trarsporti; rilocalizzare le attività; restaurare l'agricoltura contadina; trasformare i guadagni di produttività in riduzione del tempo di lavoro e in creazione di posti di lavoro, finché c'è disoccupazione; spingere la "produzione" di beni relazionali; ridurre lo spreco di energia di un "fattore 4"; penalizzare fortemente le spese di pubblicità; decretare una moratoria sull'innovazione tecnologica, fare un bilancio serio e riorientare la ricerca scientifica e tecnica in funzione delle sue nuove aspirazioni.
Al centro di questo programma, l'internalizzazione delle "dis-economie esterne", i danni generati dall'attività di un agente che ne scarica il costo sulla collettività. Tutti i danni ambientali e sociali potrebbero e dovrebbero essere a carica degli agenti che ne sono responsabili. Basta immaginare l'impatto dell'internalizzazione dei costi dei trasporti sull'ambiente, sulla salute. Quello del farsi carico, da parte delle imprese, dell'educazione, della sicurezza, della disoccupazione, ecc. sul funzionamento delle nostre società! Queste misure "riformiste", e conformi alla teoria economica ortodossa - l'economista liberale Arthur Cecil Pigou, ne ha formulato il principio dall'inizio del ventesimo secolo - provocherebbero una vera e propria rivoluzione e permetterebbero, se fossero spinte fino alle loro conseguenze ultime, di innestare il circolo virtuoso delle otto "R".
È tuttavia chiaro che l'uomo politico che proporebbe un programma simile, e che, se fosse eletto, lo applicasse, sarebbe assassinato nel giro di pochi giorni. La prospettiva di attuazione di proposte realistiche e ragionevoli è quindi paradossale. Presuppone il cambiamento di immaginario che la realizzazione dell'utopia della società autonoma e conviviale è la sola a essere in grado di generare. Resta vero che, se l'utopia della decrescita implica un pensiero globale, la realizzazione concreta può facilmente iniziare su un terreno locale. La decrescita sembra rinnovare la vecchia formula degli ambientalisti: pensare globalmente, agire localmente.
Non sono le soluzioni che mancano, ma le condizioni della loro attuazione. L'elaborazione più spinta del progetto e la sua più ampia diffusione mirano proprio a favorire queste condizioni del cambiamento.