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Bush e il nucleare asiatico

di Cinzia Frassi - 23/11/2006

 
 

La questione energetica è indubbiamente uno degli elementi sui quali si basano le strategie che vedono confrontarsi a livello internazionale le principali potenze mondiali. Stati Uniti, Russia, Europa, asse asiatico e mediorientale con l’aggiunta del gruppo dei paesi sudamericani, sono impegnati nell’incrementare o consolidare la cooperazione con paesi più o meno già schierati. Queste strategie operano nel settore nucleare anche quale strumento per incidere sugli assetti geopolitici internazionali, in un intrecciarsi e sovrapporsi di intenti e finalità.

L'approvazione da parte del Senato americano di un disegno di legge che prevede la possibilità di mettere a disposizione dell'India la tecnologia necessaria per produrre autonomamente energia nucleare per scopi civili, concluderebbe felicemente, secondo alcuni commentatori, la lunga trattativa avviata nel 2005 a Washington per una stretta cooperazione con Nuova Delhi.
In cambio l’amministrazione Bush vuole dall’India un appoggio pieno ed esplicito circa la questione Iran. L’entusiasmo manifestato dagli Stati Uniti trova tuttavia le reazioni misurate del primo ministro indiano che ha dichiarato che “la strada è ancora lunga prima che la cooperazione nucleare tra India e Stati Uniti diventi realtà”. Del resto per l’India significherebbe mettere a repentaglio i rapporti con Teheran, suo partner importante proprio in campo energetico.

Resta comunque un passo importante verso una stretta alleanza con un paese in un’area strategica, l’India, che non ha ratificato il Trattato di non proliferazione nucleare e al quale non era mai stato concesso accedere alla tecnologia nucleare civile, che ha solo promesso di consentire ispezioni agli impianti. Va da sé che questo accordo stride con l’atteggiamento americano proibitivo e allarmistico che esclude che la medesima tecnologia venga utilizzata da altri paesi, che puntano a potenziare il loro fabbisogno energetico anche con l’utilizzo di energia nucleare. E’ il caso dell’Iran, il nuovo nemico, tanto fastidioso sul versante del naufragio irakeno quanto nei rapporti di forza con la Russia.

Intanto nemmeno la Cina sta alla finestra a guardare e presto, secondo i commentatori, perfezionerà accordi per l’uso della tecnologia nucleare civile con il Pakistan, al quale gli Usa hanno sbattuto la porta nucleare in faccia.

Nei programmi asiatici degli Stati Uniti c’è anche quello di mettere a segno una risoluzione del Consiglio di Sicurezza nei confronti della Corea del Nord. Il recente vertice dei paesi del Pacifico si è concluso con un nulla di fatto per Bush, che era apparso sorridente in abiti tradizionali vietnamiti. Si è dovuto accontentare di una dichiarazione verbale quanto retorica all’insegna dell’impegno “alla pace e alla sicurezza nella penisola coreana e nell’Asia nordorienale” e della determinazione nel cercare una “soluzione pacifica alla questione nordcoreana”. Mentre si sottolinea la preoccupazione per il lancio dei missili avvenuto il 4 e 5 luglio scorso e per il test nucleare – modesto - del 9 ottobre, si auspicano “concreti ed efficaci passi verso la piena attuazione della dichiarazione dei sei del 19 settembre 2005”.

Una strada che sembra finire in un tunnel quella dell’amministrazione Bush, appena punita dalle elezioni di mid-term, che subisce pure in questi giorni l’ennesima accusa da parte dei mass-media. Il New Yorker ha denunciato infatti pochi giorni fa l’intento del Presidente nel costruire deliberatamente il pericolo terrorista, questa volta iraniano, come fece con le false prove contro l’Irak. Ci sarebbe invece un rapporto della Cia che in sostanza dice che le prove che l’Iran stia costruendo l’atomica proprio non ci sono. Per tutta risposta l’amministrazione Bush farebbe spallucce, puntando si dice ad uscire dal pantano irakeno passando per una nuova missione. Di pace, s’intende…

Lo scenario asiatico sembra il prossimo fronte caldo su cui continueranno a concentrarsi le strategie americane, anche in vista della prossima tornata elettorale. E mentre il summit mondiale dei nobel per la pace si conclude a Roma con l’imperativo “eliminare le armi nucleari”, appare preoccupante che un paese con il Giappone, l’unico ad aver subito la sciagura devastante di attacchi atomici e che è sempre stato fermo nella convinzione di non dotarsi di armi nucleari, oggi appaia deciso a cambiare rotta.

In una nota recente del governo giapponese, infatti, si spiega come l'art. 9 della costituzione nipponica non vieti di possedere la capacità minima necessaria all'autodifesa, pur confermando i principi che rifiutano il possesso, la produzione e l’importazione di armi nucleari. Appare come la risultante del grande e acceso dibattito nato dopo i test coreani e che pare concludersi sulla via dell'atomica quando dice: "Abbiamo capito che possedere armi nucleari non viola la costituzione se restano nei limiti". Un’altra new entry nel club dell’atomica? Non se ne sentiva il bisogno.