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Il popolo al potere. Il problema della democrazia nei suoi aspetti storici e filosofici (recensione)

di Eugenio Negro - 24/11/2006

Presente nelle pagine del dibattito “elevato” come nelle disquisizioni giornalistiche e nel corrente cicaleccio che riempiono la stampa quotidiana, il tema della democrazia è una costante affrontata da Costanzo Preve secondo un taglio storico e filosofico allo stesso tempo. Il popolo al potere. Il problema della democrazia nei suoi aspetti storici e filosofici (Arianna) è uno degli ultimo lavori dell’autore de L’ideocrazia imperiale americana. Una resistenza possibile (Settimo Sigillo), volume pubblicato nel 2004 che per molti aspetti appare complementare al saggio di cui ci occupiamo nelle presenti note.

Insegnante per trentacinque anni nella scuola secondaria superiore, filosofo e studioso del marxismo, Preve è rimasto coerente con il proprio metodo didattico perché non si limita a descrivere le caratteristiche che determinano l’essenza del fenomeno in tutte le sue manifestazioni, ma indica sempre al lettore interessanti prospettive di approfondimento. Egli inoltre rifiuta recisamente le soluzioni del pamphlet e del saggio d’occasione per accentuare l’approccio “aporetico” e “problematico” al tema della democrazia, il quale per essere adeguatamente compreso, lontano dai vezzi intellettuali di certe terze pagine riservate ai “lettori semicolti”, necessita di approfondimenti tali da evitare luoghi comuni e convenzionalismi superficiali. In rapporto alla serietà del metodo e alla definizione della democrazia in primis come pratica comunitaria, e non come mero “concetto scientifico”, sono discussi i concetti di modernità, postmodernità e globalizzazione, poiché è innegabile che all’interno di essi la pratica della democrazia, la sua attuazione e la sua attualizzazione si confrontano con significati nuovi e si sperimentano secondo forme inconsuete rispetto alle già note declinazioni storiche. In particolare risultano stimolanti le argomentazioni su democrazia e categoria di postmodernità, a proposito delle quali vengono richiamati Alain de Benoist e Jean-François Lyotard. Del primo Preve richiama la svolta, o la decostruzione indirizzata al superamento della dicotomia “orizzontale” destra/sinistra, attuata storicamente dai due differenti (ma complementari) partiti metafisico-sociologici che hanno provveduto alla sostituzione della “verticalità religiosa della legittimazione simbolica dell’insieme sociale”. Il progetto di “decostruzione” debenoistiano indirizzato ad una nuova attribuzione di senso delle realtà politico-ideologiche, concreto nella sua volontà di interpretazione e coerente nel tentativo di fornire risposte accettabili sul piano della complessità, lontanissime dalla rigidità fuorviante di schemi sclerotizzati, ha il merito di cogliere nel segno anche perché tenta di scardinare la legittimazione a vocazione totalitaria del turbocapitalismo[1] liberale. Preve si dichiara soddisfatto di tale lettura, sebbene rigetti le conclusioni debenoistiane sull’universalismo (ed  è su questi argomenti che si possono porre le basi per definire concetti fondanti). Per quanto riguarda Lyotard, il richiamo maggiore è dato dalla sua constatazione della fine delle “grandi narrazioni” metastoriche di salvezza che procedono dal modello soteriologico cristiano, si riconfigurano nella prospettiva illuministica di trionfo del razionalismo e nella certezza capitalistica dello sviluppo di cui “l’umanità” in toto può usufruire, e infine prendono corpo nella concezione marxiana che prevede, al sommo delle realizzazioni, l’edificazione di una società senza classi. In luogo delle previsioni di tali “grandi narrazioni”, proprie della modernità, trova attuazione “il mondo della performatività, cioè dell’efficienza sistemica ottenuta, dice Preve ricordando Lyotard, mediante una sintesi di tecnologia e di integrazione sociale consumistica”.

Senza mezzi termini, la globalizzazione imponendosi come assoluta prevalenza del mercato, “dittatura neoliberale”, risulta del tutto estranea alla democrazia, anzi a questa è incompatibile; la globalizzazione procede allo smantellamento dello Stato nazionale e al welfare state, dall’”interno”, dal versante culturale, ma puntella quello stesso Stato nel ruolo “esterno” di tutore – militare e diplomatico – delle proprie multinazionali. Tale svuotamento della democrazia contemporanea avviene attraverso l’imposizione armata di una religione dei “diritti umani” che si afferma come discrimine esclusivo tra “veri” e “falsi” diritti. Nella sezione in cui Preve si occupa del rapporto tra democrazia e filosofia, vi è la denuncia del “mito pseudo-universalista” dietro il quale si cela la benevola esportazione cruenta dei valori democratici sostenuta dal “clero secolare” (gli apparati mediatici televisivo-disinformativi) e dal “clero regolare”: gli apparati universitari che si occupano di dare una legittimità al vincitore. Le riflessioni sulla triangolazione tra democrazia, liberalismo e individualismo conducono alla comprensione del processo di formazione dell’individuo moderno il quale fonda la propria identità unificando concettualmente e psicologicamente l’economia e la crematistica “che il pensiero greco teneva ancora ben distinte”, condizione dalla quale andrà configurandosi l’imprenditore creativo e soddisfatto prima e poi consumatore e “scialacquatore”.

Dal punto di vista di una sana e “onesta radicalità” Preve s’impegna sempre a non dare nulla per scontato. Le diverse posizioni sono accostate, confrontate, discusse, producendo osservazioni penetranti e incoraggiando ne Il popolo al potere approfondimenti attraverso le note bibliografiche finali,  le quali ben lungi dall’essere dichiarate esaustive dall’autore, rappresentano una base di partenza e una ricognizione critica.

In aggiunta a ciò, la pluralità di posizioni e riferimenti talvolta impliciti, ma non ermetici, (e non poteva essere diversamente per un lavoro in cui si richiama spesso l’esigenza di sfrondare per giungere più agevolmente all’essenza della questione) sono scanditi in tre capitoli. In quelli in cui Preve affronta le “riflessioni su una vicenda bimillenaria”, democrazia e storia costituiscono il quadro entro cui esaminare tre momenti centrali ed esemplari: il modello greco di democrazia, l’intreccio tra le vicende del liberalismo e la democrazia nell’era moderna, e infine il rapporto tra democrazia e socialismo nel ‘900.

La questione della democrazia greca introduce un argomento di natura terminologica  (l’autore propone per la definizione di “democrazia” uno slittamento di significato: da potere del popolo a il popolo al potere). Chi usa quest’ultima formula, più dinamica rispetto alla prima, non teme di incedere verso “pericolose” forme populistiche di enfatizzazione del ruolo popolare in quanto sa che la democrazia, oggi in alcuni casi fantasma di legittimazione, ha bisogno di un nemico verso cui definirsi in negativo: il fascismo, il comunismo, il populismo.

Le argomentazioni sulla  democrazia come momento di pratica comunitaria e la sua realizzazione nella Grecia antica sollecitano al recensore il collegamento a volumi diversi. Per Domenico Musti, docente di Storia greca alla Sapienza di Roma, autore di Demokratia. Origini di un’idea (Laterza), il pubblico e il privato esprimono dimensioni polarizzate, e perciò avviate a un reciproco consolidamento, nel senso della individuazione della sfera pubblica, istituzionale, affiancata alla sfera privata, familiare, di gruppo e individuale. L’analisi è condotta sulla scorta dell’Epitafio pericleo per i caduti ateniesi della guerra del Peloponneso, così come ricostruito dalle pagine di Tucidide in II 35-46, definendo il koinòn (il pubblico, e nell’accezione maggiormente legata alla statualità, il demosion), e dall’altra parte il privato (ìdion).

Riferendosi al termine idiotes, individuo che si disinteressa del pubblico e idiota nel senso moderno del termine, Preve espone dal canto suo una certezza: “la gloriosa storia dell’individualismo inizia, quindi, con un Grande Idiota come fondatore ed eroe eponimo”.

In Democrazia. Il problema (Arnaud), Alain de Benoist, chiarisce come la cittadinanza, la libertà, l’eguaglianza dei diritti politici, la sovranità popolare siano nozioni intimamente correlate. La libertà, in particolare non è concepita come qualcosa che permetta al cittadino di separarsi dalla comunità, ma rappresenta “il legame che connette la persona alla città. Non è una libertà-autonomia, ma una libertà-partecipazione” che ha senso solo qualora venga esercitata nell’ambito della polis. La postfazione di Marco Tarchi a questo “saggio di cultura militante” sottolinea la necessità di “una trasformazione radicale delle democrazie che miri a oltrepassare la crisi di senso dell’esistenza e dell’azione collettiva” attraverso non l’astratta difesa di “diritti presunti preesistenti alla formazione di una vita in aggregato”, bensì mediante “l’assunzione consapevole di un destino comune”. Questo in primo luogo è il presupposto di forme sociali comunitarie tese a scongiurare la vuotezza (come massimo di democrazia) del solo formalistico proceduralismo, definendo il potere di un popolo attivamente organizzato in forme libere, condivise e comunitarie, e non inteso, scrive Preve, come “corpo elettorale passivizzato” e manipolato da oligarchie mediatiche e finanziarie. L’agire ideale è rappresentato dalla promozione di forme democratiche comunitarie, riconosciute nella compenetrazione di valori reali e di procedure formali. Questo è il senso preponderante ed essenziale della democrazia: la partecipazione di un popolo a un potere garantito da leggi comunitarie e in quanto tali accettate in maniera consapevole. Compresa in questi termini, la definizione di democrazia, collegata a contenuti filosofici e contestualizzata storicamente, appare arricchita di implicazioni e di riferimenti. La democrazia non può configurarsi come ideocrazia. La “missione speciale” che gli USA si sono assunti sulla base di un’ideologia messianica che pone le proprie origini nel puritanesimo secentesco e nella traduzione laica di una posizione religiosa di salvazione è un tentativo arbitrario lontanissimo dai principi democratici. Possiamo leggere i limiti di un sistema e di un ordine postmoderno attraverso le pagine di questo libro. La democrazia diventa un ottimo punto di partenza per riconoscere quanto di positivo viene annegato nella retorica delle false conquiste e quanto c’è da individuare onestamente per progettare un percorso di costruzione di una cultura veramente democratica.

Le possibilità di realizzazione divergono tanto dal pessimismo catastrofico quanto dall’ottimismo ingenuo e procedono in direzione dello studio e dell’approfondimento culturale. In tal senso sono istruttivi e conseguenti i cenni previani sulle strutture educative e scolastiche. Queste, purtroppo, vedono indebolirsi sempre di più un’idea universale di educazione, si trasformano in funzione delle esclusive esigenze del mercato e di un’educazione che non ha altro scopo se non quello di forgiare un “io minimo” in individui sempre meno consapevoli e assoggettati alle logiche del consumismo.

Nei riferimenti alla mediazione del politico e del sociale nei rapporti tra l’uomo e la natura, nelle conclusioni secondo cui non può esistere una “democrazia ecologica” in assenza di una “democrazia sociale”, la memoria  corre allo stupendo saggio di Helena Norberg-Hodge Il futuro nel passato (Arianna) sul Ladakh, il comunitarismo del piccolo Tibet che manifesta un modello di sviluppo basato sulla coevoluzione degli esseri umani con la terra e gli ambienti in cui essi vivono, in un rapporto improntato all’armonia e all’equilibrio.

 



[1] All’espressione “turbocapitalismo” Preve, in una altro volume in cui si confronta con le posizioni di Giuseppe Giaccio e Alain de Benoist, coerentemente con la propria sensibilità di studioso del marxismo, dice di preferire l’espressione “capitalismo puro” che “ha il vantaggio di potersi richiamare sia al concetto di Karl Marx di “modo di produzione capitalistico” (che è un semplice modello e non una società concretamente esistente), sia al concetto di Max Weber di «idealtipo»”. Alain de Benoist, Giuseppe Giaccio, Costanzo Preve, Dialoghi sul presente. Alienazione globalizzazione destra/sinistra, atei devoti. Per un pensiero ribelle. Napoli, Controcorrente, 2005, pag. 44.