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La Cina e l'America latina

di Joseph Halevi - 09/12/2006

 
Da pochi anni, soprattutto con Lula, il Brasile ha stabilito un asse preferenziale con la Cina. Al Brasile sta facendo seguito l'Argentina e su questo asse ruoteranno i paesi che stanno andando «a sinistra»; tutti, ad eccezione dell'Uruguay, produttori di energia. Il rapporto con la Cina si sarebbe sviluppato comunque data la fame che ha di materie prime. La questione è capire se, come sostengono alcuni, tale rapporto costituisca l'avvio di una relazione Sud-Sud (cioè tra paesi malcapitati) capace di autosostenersi e di spostare quella che un tempo si chiamava la dipendenza dal nord. Sulla base dello stato attuale delle mie conoscenze, la mia risposta è negativa.

Dal punto di vista della maggioranza dei paesi dell'America Latina il problema è la ricostruzione industriale soprattutto nei rami delle industrie di beni di capitale. Usando come metro la dimensione dei settori da cui escono gli strumenti necessari a produrre la maggioranza delle merci, osservo che sono solo due i paesi a disporre di un tale nucleo: il Brasile e - a molte lunghezze di distanza - l'Argentina. In ambedue i casi lo stato dei settori di beni di capitale è molto precario, essendo stati indeboliti in una maniera fatale dalle politiche neoliberiste degli anni novanta. In Argentina il settore industriale nel suo complesso e quello dei beni strumentali in particolare ha subito un profondo svuotamento ed è moribondo. In Brasile l'industria di beni capitali è più ampia ma subisce due spinte negative: è molto vulnerabile alla concorrenza estera, proprio perchè, come spesso sottolineato da Celso Furtado, ha sempre mantenuto caratteristiche inferiori a quelle dei paesi avanzati, ed è oberata di capacità eccedentaria per via dell'attuale basso tasso di crescita dell'economia. Senza il rilancio di quesi settori, che può venire prevalentemente dal Brasile e dall'Argentina, i discorsi su un nuovo rapporto Sud-Nord, di riforma e di migliormenti interni, sono aria fritta.

I rapporti con la Cina hanno contribuito a rilanciare le esportazioni. Il Brasile ha un surplus nella bilancia commerciale con Pechino. Per dare un'idea della dinamica che ha portato la Cina ad essere il terzo partner commerciale del Brasile - ma in procinto di diventare il secondo superando l'Argentina - si consideri che nel 2001 le esportazioni brasiliane verso la RPC erano 1900 milioni di dollari mentre nel 2005 sono state di 6831 milioni. Le importazioni invece erano di 1468 milioni di dollari nel 2001 e di 5824 milioni nel 2005. Sebbene ancora in eccedenza in favore del Brasile, il rapporto esportazioni/importazioni si è andato assottigliando considerevolmente. Le ragioni sono assai chiare. Il Brasile esporta derrate e prodotti prevalentemente legati alle materie prime o a trasformazioni delle medesime, mentre dalla Cina importa prodotti industriali. E' vero che l'aumento di alcune esportazioni, quelle connesse alle trasformazioni, ha attivato capacità produttive in settori che si servono di macchinari pesanti. Tuttavia l'incremento delle importazioni industriali ha anche ridotto la necessità di investimenti in macchinari in settori che operano per il mercato interno. A questo si aggiunga il fatto che la dinamica interna brasiliana è stagnante. Nello specifico dei rapporti tra la Cina ed il Brasile, bisogna sottolineare che una multinazionale brasiliana non può che comportarsi come una statunitense o giapponese e vedere la Cina quale base per produzioni a basso costo. Il commercio con la Cina non può dunque costituire un fattore di crescita tramite le esportazioni. Con l'aumento delle relazioni commerciali è molto probabile che il più grande mercato dell'America Latina diventerà un'ulteriore fonte di esportazioni nette per le produzioni effettuate in Cina dalle multinazionali globali e/o dalle connesse ditte subappaltatrici. Dov'è quindi lo spazio per il rilancio dell'investimento strutturale interno, senza il quale nessuno dei gravissimi problemi che affliggono le popolazioni di quel magnifico continente può essere affrontato? Semplicemente non c'è a meno che non venga creato per via politica, cosa che, sebbene perfettamente consapevoli, neanche i governi di sinistra pensano di poter fare.