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Regna il caos nella Mogadiscio "liberata": la roulette somala

di Matteo Fagotto - 30/12/2006

“La situazione a Mogadiscio è leggermente migliorata, ma la città è ancora preda delle violenze – riferisce telefonicamente a PeaceReporter il giornalista somalo Abukar Albadri -. I miliziani che hanno preso il controllo delle strade continuano a saccheggiare impunemente negozi e abitazioni. E il governo dovrà trattare con questi soggetti”. Le parole di Albadri dipingono alla perfezione le sfide che le istituzioni somale dovranno affrontare nelle prossime settimane. Tra queste, l’assistenza umanitaria alle migliaia di civili sfollati dagli scontri dell’ultima settimana.
 
Truppe etiopi entrano a MogadiscioIncognite. “Tutto dipende dal governo – prosegue il nostro interlocutore - Se le istituzioni riusciranno a mettere in sicurezza la capitale otterranno anche il supporto della popolazione. Ma se falliranno, le milizie che ora spadroneggiano in città avranno la possibilità di reclutare nuovi contingenti e di tornare più forti di prima”. Il governo al momento sta trattando con i capiclan e progetta di imporre entro sabato la legge marziale. Le truppe somalo-etiopi hanno occupato l’ex-ambasciata americana, ma per ora mantengono un basso profilo: “si limitano a controllare porti, aeroporti e le strade di accesso alla capitale – conferma Albadri – ma per il resto sono le milizie a comandare”. Anche per questo il governo ha disperatamente bisogno dell’aiuto dei contingenti etiopi, che con il decisivo apporto dell’aviazione hanno spazzato via la blanda resistenza delle Corti islamiche. E sono in molti a chiedersi cosa succederà una volta che gli etiopi dovessero lasciare la Somalia. “Proprio per questo, qui a Mogadiscio, nessuno crede alle parole del premier etiope Zenawi, che ha promesso di ritirare i soldati entro poche settimane. Sono qui per rimanerci a lungo” rivela Albadri.
 
Assistenza. Le Corti rimangono asserragliate nella città meridionale di Kismayo, a circa 500 km da Mogadiscio, favorite dalle recenti alluvioni, che rendono difficile un’offensiva contro le tre regioni dove le formazioni islamiche sono ancora presenti. Per questo motivo una delegazione delle Corti ha raggiunto Nairobi per incontrare i mediatori internazionali e vedere se ci sono prospettive per una ripresa delle trattative di pace. Trattative da cui dipenderà anche l’assistenza alla popolazione civile, duramente provata da otto giorni di scontri che hanno provocato centinaia di vittime, almeno 800 feriti e migliaia di sfollati. Oggi intanto le Nazioni Unite hanno ripreso i voli umanitari, dopo che il governo ha riaperto lo spazio aereo nazionale.
 
Soldati governativi presso BaidoaDiplomazia. A livello diplomatico, le cose non vanno molto meglio: l’Unione Africana ha adottato una posizione ferma nei confronti di Addis Abeba, chiedendo l’immediato ritiro dei contingenti armati. Ma da questo orecchio l’Etiopia non ci sente: per il premier Meles Zenawi stabilizzare il governo amico somalo è troppo importante, soprattutto dopo che il Paese si è messo in gioco partecipando attivamente alla guerra contro le Corti. Tutto tace invece nel Palazzo di Vetro dell’Onu, il cui Consiglio di Sicurezza mercoledì non è riuscito, per la seconda volta, a raggiungere un accordo su una risoluzione concernente la Somalia. Colpa delle divisioni tra il Qatar, che ha proposto una bozza che chiedeva esplicitamente il ritiro degli etiopi, e gli altri Paesi, che preferiscono un testo meno “diretto”. “L’ennesima dimostrazione che per la comunità internazionale contiamo zero – commenta amaramente a PeaceReporter lo scrittore Mohammed Abdinoor - L’Occidente si mobilita per finte emergenze come l’influenza aviaria, ma non fa nulla per risolvere una crisi che dura da 15 anni e che ha ucciso più di mezzo milione di persone”.