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La cura, peggio della malattia

di Roberto Aguirre - 02/01/2007

 



Un conteggio dei soldati caduti in Iraq conferma che il loro numero è maggiore di quello dei morti negli attentati dell'11 settembre. La “guerra” per difendere la sicurezza nazionale è più letale del terrorismo.

I fatti accaduti quell'11 settembre del 2001 hanno rappresentato l'inizio di quella chiamata guerra contro il “terrorismo internazionale”. Questa categoria astratta e poco chiara, è servita come pretesto affinché il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, si mettesse a capo di una cruenta invasione in Iraq, che si è già portata via più di 600 mila vite.

Invece, le scuse usate per l'intervento armato stanno cadendo una ad una. La prima di queste è stata la teoria della presenza di armi di distruzione di massa in Iraq, cosa che non si è mai potuta verificare e, infatti, ha dovuto essere riconosciuta come un errore da vari funzionari dell' intelligence statunitense, come l'ex segretario della difesa, Donald Rumsfeld.

Un'altra delle scuse è stata la necessità di pacificare il Medio Oriente, e farla finita con Al Qaeda, organizzazione terroristica nascosta, secondo Washington, in vari stati della regione. Invece, tre anni dopo l'inizio dell'invasione in Iraq, il Medio Oriente è molto lontano dalla pace, e i fatti accaduti attualmente hanno dimostrato paradossalmente che, se c'è un terrorismo, continua ad operare nonostante le azioni belliche degli Stati Uniti.

L'ultima scusa è caduta qualche giorno fa, quando una statistica fatta conoscere da varie agenzie internazionali, dimostrava che, nell'avventura militare in Iraq, sono morti più statunitensi che nei fatti dell'11 settembre. Questo, automaticamente, distrugge il pretesto domestico della sicurezza nazionale con il quale l'amministrazione Bush ha voluto giustificare la popolazione del suo Paese, l'incursione delle truppe in terre così lontane.

Quanto accaduto l'11 settembre del 2001 ha lasciato 2.973 morti a New York, a Washington e in Pensilvania, mentre le cifre dei marines e dei civili statunitensi caduti in guerra oscilla tra i 2.974 (secondo l'agenzia AP) e i 2.982. Questo ultimo dato proviene dal sito globalsecutity.org (e non globalsecurity.com, come invece era stato divulgato erroneamente da vari servizi informativi), che pubblica un resoconto dettagliato mese per mese dei feriti e dei morti in Iraq.

Allo stesso modo, il Pentagono ha informato ufficialmente del fatto che, fino allo scorso 22 dicembre, erano morti in Iraq 2.957 soldati. Nonostante la cifra sia minore di quella stipulata dal sito web menzionato prima, bisogna considerare che i dati ufficiali si stimano sempre dietro il resoconto di altri gruppi e di altre organizzazioni, dato che non si conteggiano fino a che non sono state informate le famiglie.

Ad ogni modo, sono morti più statunitensi nella pantanosa occupazione dell'Iraq che l'11 settembre.

Giunti a questi livelli del conflitto, la situazione torna ad essere insostenibile. Al complesso insieme di cose che Bush ha dovuto affrontare dalla sua sconfitta elettorale, si somma questo dato, che può aumentare sempre di più lo scontento degli statunitensi. In questo senso, bisogna ricordare che, durante gli ultimi giorni della guerra del Vietnam, il richiamo di gran parte della popolazione riguardava i mille soldati morti in un conflitto che, a quei livelli, non aveva scusanti.

Inoltre, bisogna menzionare che il tema Iraq sta diventando il karma del presidente Bush, che deve decidere nei prossimi giorni come orientare il conflitto. Nell'immediato, il suo nuovo segretario della difesa, Robert Gates, si è mostrato, negli ultimi giorni, sostenitore dell'aumento delle truppe, cosa che genererebbe ancor più violenza.

Ciò che è certo è che, a più di tre anni dall'invasione, le acque non si sono per nulla calmate in Iraq. Ciò è dovuto al fatto che non sin sia arrivati a consolidare un governo stabile e a frenare i violenti scontri tra sciiti e sunniti.

Invece, mentre l'Iraq è in ebollizione, alcune imprese statunitensi si riempiono il portafoglio di dollari, con lo sfruttamento dei pozzi petroliferi e la ricostruzione delle città distrutte. Così funzionano le guerre, come apertura di mercati e bottini per pochi.

Nel frattempo, giornali statunitensi come il New York Times e il Los Angeles Times, dedicano le loro prime pagine alla conferma della pena di morte di Saddam Hussein, da parte di un tribunale di dubbie potestà. Neppure una parola sui marines e sui civili iracheni morti, che si avvicinano ai 650 mila.

Ad ogni modo, le scuse stanno finendo e ogni volta è più faticoso sostenere la menzogna della “guerra pacificatrice” o della guerra contro il terrorismo. Questa volta, la presunta cura ha causato più morti della malattia.


di Roberto Aguirre
da www.Rebelion.org
traduzione per Megachip di Giorgia Guidi