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Il tenente che disse signornò

di Alessandro Ursic - 07/01/2007

Si avvicina il processo a Ehren Watada, il primo ufficiale Usa che si è rifiutato di andare in Iraq
Con due udienze preliminari tra ieri e oggi, per il tenente Ehren Watada si sta avvicinando il momento della verità: il processo a febbraio davanti alla corte marziale, che potrebbe condannarlo fino a sei anni di reclusione. Una pena che Watada rischia dopo che, lo scorso giugno, è diventato il primo ufficiale statunitense a disobbedire all’ordine di andare in Iraq. Una guerra secondo lui illegale dato che i suoi presupposti – la presenza di armi di distruzione di massa e il legame di Saddam Hussein con al Qaeda – si sono poi rivelati falsi.
 
Il processo Ehren Watada con i genitori. Watada dovrà rispondere di cinque capi d’imputazione: l’aver rifiutato il dispiegamento, e altri quattro capi d’accusa di condotta impropria per un ufficiale, relativi alle dichiarazioni pubbliche fatte da Watada per spiegare la sua decisione. In sostanza, rischia quattro anni di reclusione solo per aver parlato alla stampa. Nel suo processo, di conseguenza, un altro elemento di novità è l’invito a testimoniare spedito a due giornalisti freelance, Sarah Olson e Gregg Kakesako, che in giugno avevano intervistato Watada. E’ nei loro articoli che erano contenuti originariamente i commenti del tenente sulla legalità del conflitto in Iraq. I due reporter sono rimasti spiazzati dall’invito a comparire, che giudicano un precedente grave. “Quale soldato contro la guerra sarebbe disponibile a parlare con me o con altri giornalisti sapendo di rischiare quattro anni di carcere per aver spiegato le sue ragioni contro la guerra in Iraq?”, ha detto la Olson in un’intervista alla radio pacifista Democracy Now!.
 
Il cambiamento. Il percorso personale sotto le armi di Watada, un ragazzo di 28 anni nato nelle Hawaii da genitori di origine giapponese, è simile a quello già visto in altri casi di questi anni. Si è arruolato volontario nel marzo 2003, spinto dal desiderio patriottico di servire la patria nella guerra al terrorismo. L’addestramento era andato alla grande, e Watada aveva guadagnato i complimenti dei suoi superiori. Ma piano piano, mentre una alla volta le ragioni dell’invasioni dell’Iraq si rivelavano bugie, lui ha iniziato a pensare che con quella guerra non voleva avere nulla a che fare. Quando gli arrivò la comunicazione dell’invio nel paese mediorientale, nel gennaio scorso, scrisse una lettera ai suoi superiori motivamando il suo rifiuto, che sarebbe divenuto pubblico a giugno.
 
Una manifestazione a favore di WatadaOpinione pubblica divisa. Watada non è un obiettore di coscienza e non si definisce tale: è rimasto nell’esercito, alla base dove era stato assegnato, e si è anzi offerto di servire in Afghanistan, una guerra che – disse una volta – considera “legata agli attacchi dell’11 settembre 2001”. L’esercito ha però rifiutato lo scambio, così come Watada non ha poi accettato di essere mandato in Iraq con la promessa di un incarico amministrativo e non al fronte. In soccorso del giovane tenente sono venuti tutti i gruppi pacifisti statunitensi, mentre l’opinione pubblica è divisa tra chi pensa sia codardo e chi giudica il suo un gesto giusto e coraggioso. A febbraio si saprà quale sarà il suo destino. Lui, intanto, ha già detto di essere pronto ad accettare qualsiasi conseguenza, pur di rimanere fedele ai suoi principi.