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Una Nato economica? No grazie

di Gianni Vattimo - 08/01/2007

 
La Presidenza tedesca dell’Unione europea, che comincia in questi giorni e durerà per il semestre, potrebbe davvero dichiararsi un «successo» se, sotto la guida di Angela Merkel, si delineasse una nuova alleanza, non più (solo) militare, ma economica, tra Stati Uniti e Vecchio Continente, tale da costituire un parallelo della Nato sul piano degli scambi e in genere del coordinamento delle politiche economiche monetarie e commerciali? È questa l’ipotesi che avanza, con molte buone ragioni, Carlo Bastasin sulla Stampa di venerdì. Non manca nell’analisi di Bastasin la consapevolezza delle difficoltà che un tale sforzo di integrazione dovrebbe superare, soprattutto tenendo conto che per integrarsi più strettamente con gli Usa sul piano economico l’Europa dovrebbe essere molto più integrata a propria volta di quanto non sia attualmente.

Ma ciò che colpisce nell’ipotesi formulata è la sua relativa «ovvietà». Insomma: si riconosce che l’Europa non è in condizione, per ora, di compiere un passo di questo genere per creare una Nato dell’economia. Mi sembra si dia per scontato che questa sarebbe la via per (ri)dare un senso all’Unione europea e ovviamente anche alla Nato. Poiché l’ipotesi di Bastasin comporta molti aspetti problematici, e dunque è quasi un’ipotesi «accademica», sarà lecito, in modo altrettanto ipotetico e astratto, contrapporle un’altra posizione, di certo ancor meno realistica ma forse non priva di senso. Che parte dalla constatazione della sempre minore persuasività della Nato, quali che siano i sentimenti pro o anti americani che si professano. La Nato non ha più la sua ragione di essere della difesa del Nord-Atlantico dalla minaccia sovietica, come è ovvio. E tende sempre più a divenire un’alleanza militare diretta a difendere il «mondo occidentale» nel suo complesso, sotto la guida degli Stati Uniti e nel quadro della loro lotta al «terrorismo internazionale». È così sicuro che il futuro dell’Europa si identifichi, sia sul piano militare sia su quello economico, con una sempre maggiore integrazione entro il sistema «occidentale»? Lo domandiamo perché, tra l’altro, una tale integrazione, nonché un successo per l’Europa, sarebbe di fatto la fine del «sogno europeo», che è anche stato animato (se si eccettua la Gran Bretagna) dall’idea di creare una forte entità politica capace di essere interlocutore a pieno titolo degli Usa. Ripetiamolo: ciò che colpisce nell’analisi di Bastasin è la relativa «ovvietà» con cui l’idea di una maggiore integrazione «atlantica» dell’economia si presenta (non solo a Bastasin, ma anche a noi), quali che siano le difficoltà pratiche della sua realizzazione. Come se, dopo anni di (lotta al) terrorismo internazionale, non avesse più senso, per l’Europa, immaginare una posizione diversa da quella di un fedele (il più fedele, lo ha chiamato Nancy Pelosi) alleato degli Usa. E il Terzo mondo, e l’America Latina, che guarda all’Europa con un occhio e con aspettative molto diversi da quelli con cui guarda agli Usa? E il governo di centro-sinistra, che annovera tra i propri sostenitori partiti che ancora si richiamano al comunismo? E infine: la Nato dell’economia non rischierebbe di essere, proprio come la Nato militare, un modo per scaricare sulle spalle degli alleati problemi (come le guerre medio-orientali, ma ora anche la debolezza del dollaro) che l’amministrazione americana ha creato e non sa più come gestire?