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Lettera a Carlo Petrini sul cibo biologico

di Gino Girolomoni - 13/01/2007

 

 


Nell’edizione 2004 di Terra Madre a cui ho partecipato come uno dei 1000 contadini presenti, vedendoti disinvolto in mezzo ad Alemanno, Carlo d’Inghilterra, Frei Betto, Vandana Shiva e tantissimi altri autorevoli politici o intellettuali ero giunto alla conclusione che quell’evento ti avesse incoronato imperatore del mondo del cibo. So come ti vedono in Giappone e negli Stati Uniti e il titolo mi sembra pertinente (e, se ti fa piacere, riconosco, meritato). In questa edizione 2006 ho ascoltato il tuo discorso d’apertura, curiosamente invitato come Osservatore, e alla fine del tuo intervento sono dovuto partire per la Turchia a visitare un’impresa contadina “virtuosa” che ha convertito al bio 600 aziende agricole nel cui progetto oggi sono coinvolte più di quattromila lavoratori. Uscendo ho pensato che quando avessi trovato un paio d’ore ti avrei scritto per richiamare la tua attenzione al quesito che ti sottopongo. Tu hai detto che il cibo deve essere “Buono, pulito e giusto”, ma cosa vuol dire, chi stabilisce se un cibo è tale, e quali sono i criteri per affermarlo? Vedi Petrini, c’è già l’industria che grida dalla mattina alla sera che i suoi cibi in cui non mancano dosi sovrabbondanti di aromi artificiali, coloranti, additivi prodotti da una ricca fantasia, sono genuini, naturali, profumati di natura. Poi c’era un regolamento comunitario, il 2078 , che ha elargito una valanga di denaro (molto di più che non per il biologico) per il basso impatto ambientale che nessuno ha mai capito cosa volesse dire e nessuno organo pubblico ha mai controllato. C’era già stata la Lotta integrata di cui si era innamorato un bravo assessore all’agricoltura dell’Emilia Romagna, Tampieri, ma che poi aveva convertito gran parte di quell’eufemismo al biologico. Adesso arrivi tu con un’altra chimera , il buono, pulito e giusto e io dico “Che Dio ce la mandi buona!” Ma senza coinvolgere l’Altissimo, che penso abbia altro a cui pensare, vorrei farti riflettere su un settore oggi sempre più snobbato e vilipeso che invece, secondo me, ha molti meriti: quello dell’agricoltura biologica. Innanzitutto noi apparteniamo a quella categoria che tu vuoi sostenere in quanto produttori virtuosi di un’economia locale che parlano un unico linguaggio in tutto il mondo e che tu sai riconoscenti per quelli che li apprezzano e li difendono (parole che traggo dal tuo intervento di apertura). Inoltre siamo andati a restaurare alcune migliaia di angoli di territorio fedeli al principio di interromperne l’inquinamento, attraverso il non uso di diserbanti (per me sono una pratica dannosa e inutile come il burqa afgano) e antiparassitari, riuscendo in ciò attraverso la buona pratica delle rotazioni delle colture e della concimazione organica o i sovesci. Coltiviamo così, solo in Italia più di un milione di ettari e già da quasi trentenni abbiamo riacquistato spazi di mercato che gli agricoltori non avevano più, potendo contare almeno su un milione di italiani che ci apprezzano. E’ vero che dopo tutto questo cammino non sono molti, poco più dell’uno per cento, e con questi numeri non si può lavorare ad un’economia di scala che abbatta ancora i prezzi. Quando diciamo “biologico” diciamo una cosa molto precisa, verificabile (anche troppo) assumendoci i costi di una certificazione pubblica. Caro Petrini, ti chiedo troppo, se ti chiedo un maggior coinvolgimento nei nostri confronti? Anche se sono consapevole dell’”antipatia” che ci manifestano alcuni settori della produzione chimica e farmaceutica, perché, come è palese nell’ambito della cultura contadina, se abbiamo ragione noi, hanno torto loro e tu sai bene che di questi tempi i più forti hanno sempre ragione.
Ti saluta fiducioso Gino Girolomoni, presidente della Cooperativa Alce Nero e dell’Associazione Mediterranea Agricoltura Biologica.