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Cibo, rifiuti e capitalismo terminale

di redazionale - 16/01/2007

 


Ogni volta che fate la spesa, non lo sapete, ma, in qualche misura, fate politica. Fate anche spazzatura, ma questo problema verrà affrontato in seguito. Non è un segreto che i grandi gruppi produttivi abbiano un po’ ovunque connivenze , talvolta neanche molto celate, come “L’Espresso” ha clamorosamente ricordato riguardo a Goldman Sachs, con la politica. La civiltà occidentale dell’individualismo considera l’Uomo come mero “consumatore”, o meglio ancora “compratore”, perché al poveretto inebetito (spesso colpevolmente) vengono rifilati additivi chimici di varia sorta, OGM, ormoni della crescita (vedasi il caso della Monsanto e delle mucche da latte rimpinzate ad hoc per dare più latte, che poi mantiene però il suo contenuto ormonale a rischio) o nei casi più semplici, beni da quattro soldi venduti a prezzo esorbitante, basti pensare al reale costo produttivo di un paio di jeans D&G!. Se i produttori di beni si ponessero in primis il problema della salute di coloro che acquistano, valutando anche la fase di consumo e quindi innalzandoli sul piano di “consumatori”, sicuramente non vedremmo tante storture. Le contraddizioni del sistema hanno però anche ben altre origini: infatti i problemi sembrano sorgere dai mercati finanziari: “Il tasso di valore richiesto alle imprese è ormai irreale”, ha protestato Francis Meier, amministratore delegato del colosso francese Usinor: “Il sistema economico mondiale non è in grado di generare un tasso di profitto del 15%; gli investitori (fondi pensione, fondi d’investimento, -spesso di proprietà dei più grossi gruppi bancari mondiali-) e gli speculatori si concentrano su alcuni settori molto lucrosi ed esigono dagli altri le stesse prestazioni. Questo è impossibile.”(1) Dovete quindi sapere che solo i settori in rapida espansione, come ad esempio quello tecnologico, offrono simili rendimenti. Il perché è intuitivo: riempire il mercato di nuove invenzioni, prima inesistenti, è molto più facile da farsi con videogiochi, computers, telefonini piuttosto che con pane, latte o succhi di frutta.(2) “L’alimentare è per antonomasia il settore “maturo”: i cibi che mangiamo – o dovremmo limitarci a mangiare- sono quelli inventati dodicimila anni fa: il pane, la carne conservata, affumicata o salata, la frutta secca, il latte, il vino, l’olio, d’oliva, i formaggi. Eredità del neolitico. Ma il capitale dato in prestito può accontentarsi di tassi di profitto neolitici?Non può assolutamente. Per questo i nostri supermercati sono invasi di prodotti innovativi, che i nostri antenati avrebbero aborrito: confezioni enormi corn flakes, di rice crispies, di superbiscotti tecnologici, di salatini alieni e pieni di sale, di dolciumi composti. Di pane-non pane, dimagrante, con crusca, con vitamine. Di dolcificanti artificiali. Di yogurt senza grassi con l’aggiunta di additivi, coloranti profumanti chimici(…). Tutti sapori chimicamente esaltati. Per invitarci a mangiare, a consumare quando non abbiamo fame. La sanità alimentare richiede cibi il più possibile vicini all’originale, il meno manipolati possibile. Per il capitale questo ha un significato di malaugurio: i cibi sani hanno poco valore aggiunto. Come si fa a vendere l’acqua a un tasso di profitto decente, quello desiderato dal capitalista? L’acqua sia dunque gasata, colorata, dolcificata, acidula”. Fenomeno visto con i miei occhi ed assai diffuso all’estero, ma non – per il momento - in Italia. “Il pane non si permetta di essere fatto solo di acqua e farina: sia almeno ai cinque cereali, alla soia ( peraltro nociva, per l’alto contenuto di fito-estrogeni, secondo il Ministero della Sanità israeliano che ne sconsiglia la somministrazione ai bambini e anche secondo la British Dietetic Association (4)), ipernutriente, come se l’Occidente fosse minacciato dalla sottonutrizione”. I cibi insomma non sono più prodotti per nutrire, ma per poter guadagnare su margini più ampi, a beneficio degli analisti che leggono i bilanci. La lavorazione e l’innovazione esasperata sono la chiave del guadagno in un settore maturo. “Così nei supermercati americani non troverete mai il latte in confezione da un litro, ma da un gallone: cinque litri. Le uova mai meno due dozzine. Il succo d’arancia in taniche di plastica da cinque litri. La birra in casse spropositate. Molto di queste confezioni giganti finirà poi nella spazzatura: non importa, l’importante è che sia stato venduto.”(5) Ecco, non si è nemmeno più consumatori, ma semplici compratori. Non ha importanza avvelenare la salute altrui con esaltatori di sapidità, glutammati, o soia: l’importante è venderci la dedizione al sapore chimicamente esaltato, al benessere presunto del mangiare vegetariano, con gli hamburger di soia. “Così gli americani mangiano cibo già cucinato per dargli valore aggiunto, con centinaia di migliaia di intossicazioni alimentari ogni anno: uno dei meno noti primati americani”. Un altro che aggiungo io è l’abuso di farmaci (6). “E tra un pasto e l’altro, davanti alla TV, confezioni giganti di salatini, patatine, junk food (cibo spazzatura). E nei supermercati vedrete massaie statunitensi aggirarsi trascinando le loro mostruose obesità. Un americano su due è grasso allo spropositato modo americano: alcuni pesano addirittura duecento chili, anche trecento. Un fenomenale tasso di crescita corporea (viene da sospettare legato in qualche modo anche a reazioni agli ormoni della crescita largamente usati sugli animali e sulle piante; forse anche l’incremento esponenziale della celiachia negli ultimi 20 anni potrebbe ricercarsi in qualche innaturale manipolazione del mais o del grano), che porta con sé diabete e cardiopatie. Sono vittime del capitalismo. Dell’industria alimentare americana, indebitata enormemente dai prestatori di capitali. Se non esibisce valore aggiunto, il capitale la trascura per i costruttori di cellulari, playstation, DVD, schermi piatti. Essere condannati a ad autofinanziarsi (saggio criterio imprenditoriale di un tempo, rinvenibile anche nel detto popolare del “passo non più lungo della gamba”) restare col capitale sufficiente ad una crescita modesta –normale per le grandi dimensioni- del giro d’affari, significa non espandersi, non competere. Allora muoiano gli uomini, ingozzati come oche da foi gras, purchè viva la competizione e l’industria si espanda. Non ridete perché sta succedendo la stessa cosa da noi. Un italiano su tre è già obeso, eppure malnutrito, con dieta squilibrata, troppi grassi, amidi e sali, poca verdura (la verdura: valore aggiunto pochissimo, meglio zero)”. Dunque consumare con la testa, anziché con lo stomaco, deve essere il nostro primo imperativo: all’avvelenamento delle menti si accompagna anche quello del corpo e ognuno ha il dovere di preservarsi e possibilmente di negare quote di mercato a chi vende sofisticazioni nocive, per riservarle, non importa a quale prezzo, a chi produce ancora localmente, spesso seguendo antiche tradizioni. La varietà gastronomica italiana è una realtà unica al mondo, che consente ancora una pur minima difesa da ciò che la grande distribuzione ci rifila, ossia le solite marche ormai riunite in veri “trusts”: basti pensare a Nestlè o Coca Cola, che si espanderanno ancor più, grazie ai bassi costi distributivi, grazie ai decreti Bersani sulle liberalizzazioni. Le nostre edicole diverranno un po’ come i “newsagent’s” anglo-americani, gestiti generalmente da immigrati, dove si vende un po’ di tutto, dai tabacchi ai farmaci, dai gelati alle bevande, il tutto, però, rigorosamente marchiato multinazionale. Ecco quale sarà la crescita, quella della maggior visibilità per i prodotti dei grossi gruppi internazionali, piuttosto che quella della produzione locale o nazionale!
Proprio recentemente si è avuto un eclatante e discusso esempio di come il cliente, con le sue scelte alimentari inconsapevoli, spesso dettate dal caso, dalla “moda” o dalla pubblicità, consenta ai grossi gruppi di fare “lobby” anche in sedi istituzionali ai massimi livelli, in assoluto spregio del benessere nutritivo e della realtà alimentare occidentale, entrambi in forte crisi. E’ avvenuto a Bruxelles e la notizia è stata riportata persino dall’inserto “Corriere Economia” di lunedì 13 novembre 2006. Il commissario europeo alla Salute dei consumatori, il cipriota Markos Kyprianou, rappresentante quindi di un organo pubblico, ha intrattenuto i giornalisti, accuratamente selezionati all’ingresso, tanto da suscitare una reazione ufficiale di biasimo da parte dell’Associazione che riunisce la stampa accreditata a Bruxelles presso l’UE, sull’impegno profuso da 5 gruppi multinazionali (trattasi incredibilmente di… McDonald, Coca Cola, Pepsi Cola, Unilever e Kraft) del settore agroalimentare contro l’obesità.(7) Al di là del fatto che il buonsenso comune riconosce con sufficiente certezza nei soggetti citati i principali diffusori di cibi nocivi, dai valori nutrizionali insani e palesemente alterati da composti e lavorazioni chimico-industriali (8), le cronache hanno rimarcato come Kyprianou abbia speso gran parte della conferenza stampa, sul retro della quale erano stati persino allestiti, come nota “Corriere Economia”, persino degli stand pubblicitari delle 5 multinazionali, ad incensare in modo quasi spudorato l’operato delle stesse. “In 40 anni di giornalismo non ho mai visto una conferenza stampa che sostiene tanto le imprese come questa”, ha dichiarato uno dei corrispondenti “Fare una manifestazione di questo tipo è come obbligare i giornalisti a prendere parte a una lobby... Tra i giornalisti intervenuti c’è chi si è perfino domandato se la conferenza non fosse “una sorta di pesce d’aprile”, dicendosi “scioccato di vedere che società come McDonald’s e Coca Cola vengono omaggiate dalla Commissione mentre negli Stati Uniti sono accusate di essere responsabili del boom dell’obesità”. Non è mancato nemmeno chi ha fatto notare che le imprese nominate hanno ricevuto visibilità a fronte di altre imprese che pure potrebbero essere altrettanto “impegnate”. Il commissario ha risposto che “non c'è niente di meglio che vedere aziende ritenute responsabili del problema prendere impegni precisi per affrontarlo”. “Impegni precisi” un po' troppo blandi per evitare al commissario le critiche. Il buon proposito di McDonald's ad esempio si limita a pubblicare informazioni nutrizionali sulle confezioni dei propri prodotti in tutt'Europa, mentre Kraft, Coca Cola, e Pepsi hanno dichiarato di voler sospendere le campagne pubblicitarie rivolte ai minori di 12 anni. Il commissario ha replicato di “non essere sorpreso della reazione, visto che si tratta di un nuovo approccio”.(9) Sì, evidentemente l’approccio lobbistico!

(continua prossimamente)


Fonti:
(1) Tratto da “Le Monde”, 26 Novembre 1999 e citato da M.Blondet, in “Schiavi delle banche”, Effedieffe Edizioni
(2) Per un approfondimento del concetto si consiglia M.Blondet, op. citata, pagg. 41-49
(3) M.Blondet, op.citata, pagg. 46-47
(4) Per approfondimenti sulla soia e sulle reazioni letali in alcuni soggetti, leggere
http://www.effedieffe.com/rx.php?id=601%20&chiave=soia e http://www.effedieffe.com/rx.php?id=1679%20&chiave=soya )
(5) M.Blondet, op.citata, pag.47
(6) “L’abuso di farmaci da prescrizione”, rapporto Office of National Drug Control Policy” a:
http://www.unicri.it/wwk/publications/dacp/reviews/drugs/rdr%202005%2034%20abuso%20di%20farmaci.pdf

(7) Sulla conferenza stampa di Kiprianou a Bruxelles si vedano:
http://unimondo.oneworld.net/article/view/142339/1/
http://www.lanuovaecologia.it/vivere_meglio/stili_di_vita/6542.php
(8) Ad agosto, l’ “American Journal of Clinical Nutrition” ha pubblicato una ricerca sulla correlazione tra l’uso dei cosiddetti soft drink e l’obesità infantile.
(9) Vedasi nota sub. (7)