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La seduzione dell’innocenza

di Stenio Solinas - 17/01/2007

Fonte: ilgiornale

 

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Il libro si chiamava Rêves des jeunes filles, aveva un’introduzione di Alain Robbe-Grillet e stava sull’ultimo bancone di destra di quella che allora era l’unica libreria di Saint Tropez, subito dietro la grande piazza del mercato. Era il 1971, venivo dalla Corsica e poi in autostop da Marsiglia, dormivo in sacco a pelo subito dopo la plage des Salins: comprarlo mi avrebbe dissestato le finanze, così, ogni volta che al tramonto tornavo dal mare, mi accontentavo di sfogliarlo religiosamente. L’autore si chiamava David Hamilton, era un inglese che viveva in Francia, era un esordiente ed era un fotografo, e anche per questo il volume aveva trovato un posto tra raffinati album di cucina e di giardinaggio e monografie illustrate degli splendori della Provenza...
Solo che qui, pagina dopo pagina, c’era il più stupefacente e inquietante catalogo di bellezze femminili che a un ventenne d’allora potesse capitare fra le mani: bionde, gli occhi color del ghiaccio, flessuose ed eteree, semisvestite, negligentemente svestite, candidamente nude, colte in quell’età incantata in cui la pienezza femminile deve ancora arrivare e c’è questo miraggio di innocenza e di indolenza, di vergogna e di desiderio.
In quel 1971 c’erano già la pillola, la minigonna e il topless, Jane Birkin e Serge Gainsbourg avevano già cantato Je t’aime, moi non plus riempiendo di gemiti i jukebox, maschi e femmine facevano le occupazioni universitarie, il femminismo era una realtà, la «liberazione sessuale» non un semplice modo di dire, ma guardando le foto di Hamilton si capiva subito che lui con tutto questo non c’entrava niente, che la rivoluzione dei costumi, la modernità non facevano parte del suo mondo. Qui c’era un Nabokov senza dannazione, un Balthus senza filtri intellettuali, un panteista pagano nato in ritardo sul suo tempo che si era ritagliato un mondo a propria immagine e somiglianza. Perché non c’erano solo le fanciulle in fiore ad animarlo, ma interni di ville abbandonate ed esterni di giardini lasciati andare, spiagge solitarie, strade di campagna con i muri a secco, mai una macchina, un’insegna, una pubblicità...
Quanto a loro, alle ninfe che lo abitavano, inalberavano grandi cappelli di paglia con visiera, morbidi chémisiers, lino, seta e organza erano i tessuti che le coprivano e le nudità spiate, rivelate, accennate o esibite parlavano di biancheria intima desueta, nessun feticismo sexy, nessuna lingerie boccaccesca, ma sempre quel sottile confine che sta fra la consapevolezza del proprio corpo, la reticenza e la voglia di rispecchiarsi in esso.
Nel giro di un decennio Hamilton pubblicò una decina di libri, girò un paio di film, ispirò un mercato parallelo di poster, calendari, cartoline, divenne il fotografo più famoso di Francia. Da noi c’erano gli anni di piombo e il terrorismo, ma oltralpe il Sessantotto era stata un’esplosione, non una diarrea, e quanto al comune senso del pudore a Parigi stampavano l’Ulisse e Tropico del Cancro quando a Londra e a New York Joyce e Miller erano vietati perché pornografici... In un’Italia di lottatori continui, autocoscienze di gruppo, collettivi femministi ed espropri proletari, più che estraneo Hamilton appariva sospetto: decadente, sentenziavano esteti da case di ringhiera, reazionario, pontificavano rivoluzionari che di lì a poco sarebbero entrati nell’azienda paterna... Decadente e reazionario, io continuavo a comprarlo.
Poi negli anni Ottanta Hamilton scomparve e non c’è una vera ragione, o forse ce ne sono tante. Era cambiata l’immagine della donna, sicuramente, e magari quel crinale efebico e felicemente ambiguo pur nella sua chiarezza sessuale era il meno adatto a resistere a una ondata omosessuale esibita e agguerrita da un lato, a un’esplosione di modelle under-twenty bellissime e però modernissime dall’altro, diciassettenni rampanti già in carriera, già donne. E naturalmente era cambiata l’immagine del maschio, con debolezze, complessi di colpa e di prestazione e concorrenza dell’altro sesso sempre più devastante. E va anche detto che uno stile troppo sfruttato si fa cliché, diventa genere, provoca assuefazione e suscita infine noia. Per certi versi Hamilton era divenuto la caricatura di se stesso...
Ma più sottilmente a essere veramente cambiato era una sorta di confine etico e ideologico: quanto più la società trasudava violenza, pubblica e privata, ritualizzata e allo stato brado, tanto più emergeva una muraglia difensiva verso quegli stessi «minori» sui quali però rovesciava un tasso di sollecitazione sessuale, criminale, economica come mai sino ad allora era avvenuto. «Preservare l’innocenza» era la parola d’ordine e, complici gli scandali politico-giudiziari, il caso Dutroux in primis, la scoperta della rete informatica come nuova frontiera pornografica, i fatti eclatanti di cronaca familiare fra abusi sessuali e violenze fisiche, era fertilissimo il terreno perché attecchisse. Dopo aver corteggiato, esaltato, premiato e sessualizzato la giovinezza, di colpo ci si accorgeva dell’abisso che sotto si era spalancato.
Adesso che David Hamilton è tornato alla ribalta, con un nuovo libro fotografico che porta semplicemente il suo nome (David Hamilton, Editions de La Martinière, pagg. 332, euro 44,55) e un cofanetto che raccoglie un volume di racconti e una selezione di immagini (Les Contes érotiques. Voyage dans l’immaginaire d’un photographe 1970-1990, Hermé, pagg. 200, euro 25) non sorprende che Le Monde gli abbia dedicato una pagina titolando «Sempre vivo»... A settantatré anni, infatti, il suo mondo non è cambiato di una virgola, anche se è il mondo intorno a lui a essere radicalmente mutato. Quello che è stato un autore da un milione di copie complessive vendute si ritrova oggi a essere stampato in una tiratura di ottomila esemplari e per la sola Francia, visto che oltreoceano nessun editore si è dichiarato interessato. Eppure, basta prendere quei volumi fra le mani perché l’antica magia si rinnovi e può anche darsi che abbia ragione Peter Lindbergh quando sostiene che fra un secolo l’unico fotografo di cui si avrà un ricordo sarà lui.
C’è una frase di Balzac che spiega Hamilton meglio di Hamilton stesso: «Cosa strana, se la fanciulla dagli occhi d’oro era vergine, di certo non era innocente». Nessuno come lui ha saputo rendere per immagini il continente misterioso della sessualità ancora in fieri, l’età del risveglio dei sensi e del tremore, della trasgressione come scoperta e come premio, della assoluta assenza di peccato. E si capisce come nel suo mondo non ci siano mai autunni e inverni, ma solo primavere ed estati, il sole sugli abiti e sulla pelle, il risveglio e l’esplosione della natura, ma anche quella sorta di indolenza da giornate troppo lunghe, troppo piene, troppo cariche... Nei racconti è sempre e comunque «la prima volta» a farla da padrone, e «la seduzione dell’innocenza» sarebbe potuto esserne il titolo. Ma è nelle fotografie che questa «seduzione dell’innocenza» si fa vera e propria visione del mondo, accompagnata da nature morte, impressioni marine, vele all’orizzonte, una luce come sgranata che mette a fuoco il particolare e lascia il resto nell’ombra, la vita come sogno, il sogno di un’altra vita.
Che età hanno le sue modelle? Sedici, diciassette, diciotto? «Giovani ma non bambine» si è limitato a dire Hamilton a Le Monde. «I bambini non mi interessano, non è il mio genere». Ha sempre avuto comunque il consenso dei genitori per riprenderle, non le ha mai pagate per posare, con una di esse è stato persino sposato, con un’altra ha convissuto vent’anni. Continua a vivere a Saint Tropez, nei mesi invernali si trasferisce nella sua casa parigina di Montparnasse, cena abitualmente da Lipp. Le poche foto che lo ritraggono rimandano a un anziano signore elegante, l’eleganza stazzonata di un inglese in Riviera. «Più si invecchia e più si pensa al sesso» ha detto sorridendo a Michéle Hetcher, la traduttrice dei suoi racconti. E non sai se è una consolazione o una condanna.