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L'ordinaria follia della crescita

di Giancarlo Terzano - 23/01/2007

 

Storie di ordinaria follia. Le temperature roventi di fine giugno, aggravate da afa e siccità, hanno fatto registrare un nuovo record assoluto nei consumi elettrici, volati a 54.100 megawatt. Colpa dei condizionatori, cui gli italiani – ci dicono – non sanno ormai più rinunciare.

Qualcuno potrà anche esserne contento. Il Presidente Berlusconi, ad esempio, che commentando l’aumento dei consumi elettrici registratosi nel 2004, si rallegrava individuandovi “segni di ripresa economica”. E con lui tutti coloro che, politici di ogni schieramento, economisti, industriali ecc, non perdono occasione per ricordarci che dobbiamo uscire dalla recessione, e che bisogna produrre (semmai risparmiando sul costo del lavoro … qualcuno dovrà pur sacrificarsi…) e consumare di più.

Non noi, che troviamo questa situazione semplicemente folle. Siamo subissati di studi sui cambiamenti climatici in corso (a conferma, per altro, di ciò che quotidianamente viviamo sulla nostra pelle), abbiamo, a fatica, reso operativo da quest’anno il Protocollo di Kyoto, siamo ben consapevoli, insomma, dell’insostenibilità del nostro modo di vivere e della necessità di darci un limite, eppure continuiamo ad aumentare i consumi, come se niente fosse. Una risposta del tutto irresponsabile, folle appunto, che alimenta una spirale perversa in cui i nostri eccessi esasperano il pianeta e riducono la vivibilità. Neanche il petrolio a 60 dollari al barile riesce a dissuaderci. Di fronte ad una crisi, ormai è palese, non certo provvisoria, imprechiamo contro i petrolieri ed i cinesi, ma i nostri “sacri” consumi non si toccano.

Semmai dietro l’illusione che un domani tutto ciò di cui abbiamo bisogno (e sicuramente molto di più) ci verrà assicurato da fonti rinnovabili e pulite. Preferendo ignorare, come struzzi con la testa sottoterra, che oggi solare ed eolico sono a livelli irrisori, che l’idrogeno è ancora fantascienza, e che il sostituto scelto dall’ENEL per il petrolio è il carbone, alla faccia del clima e di Kyoto. E che, in prospettiva, si ripropone con sempre maggiore insistenza il nucleare.

Che invece di aumentare i consumi, questi debbano essere ridotti, appare un’eresia. Ed eresia, in effetti, è, rispetto ai dogmi di una società fondata su parole d’ordine come sviluppo, crescita, ricchezza.

Ma ciò che è richiesto, è appunto un diverso modo di vivere e di pensare. Non crediamo alle soluzioni-tampone, che pensano di risolvere i problemi senza intaccarne le cause. Il degrado ambientale non è una fatalità, ma la diretta conseguenza di un modello di società fondato esasperatamente sugli aspetti materiali. Un modello nato e sviluppato nell’Occidente, ed oggi proposto a livello planetario.

In passato, le critiche a tale modello erano di natura essenzialmente etica: una visione poco dignitosa dell’uomo, ridotto a mero consumatore di beni, e le disuguaglianze nell’accesso a tali beni. Oltre ad esse, gli ultimi decenni hanno rivelato una terza, incontrovertibile accusa: l’insostenibilità ambientale del modello, che promette ciò che in natura non esiste, una crescita continua ed illimitata.

La nostra eresia è quella di auspicare una “decrescita”, ed un modello di società più sobria, in grado di apprezzare ciò che ha senza inseguire bisogni eccessivi (e per lo più artificialmente indotti). Una società anche più legata ai ritmi della terra, che sappia accettare e vivere le stagioni nel loro mutare e che sappia affrontare i caldi eccessivi senza condizionatori (ma ancora 10 anni fa non si sopravviveva senza?) magari ricorrendo ai rimedi dei nostri nonni, come il fresco degli alberi, una giusta alimentazione e un adeguato abbigliamento, case costruite con intelligenza, il riposo nelle ore più calde e, perché no?, un maggior spirito di adattamento. A tutti, una buona estate responsabile.