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Alla ricerca di inedite sintesi

di Franco Cardini - 24/01/2007

La funzione dell’uomo di cultura, a differenza del politico che tende a trovare soluzioni, è quella di sollevare problemi. Il nostro tempo ne è oltremodo ricco ed anche il tema della discussione ne pone un numero notevole.

Cominciamo dal grado zero. Noi siamo liberi, termine che va sempre preso in senso relativo, perché non si è mai liberi del tutto.

Siamo liberi ma lo siamo in un modo particolare. Questo è un momento molto delicato della nostra esistenza collettiva, come italiani, come europei, come popoli del Mediterraneo. Siamo liberi un po’ come è libero un marinaio in una notte senza stelle, potremmo andare da tutte le parti, ma non sappiamo bene dove.

Mi spiego meglio: oggi si parla molto, anche in modo polemico, dell’Occidente, cercando in poarticolare di definirlo come "nostro". Che è il nostro occidente come è nostra l’Italia, come è nostra l’Europa, come è nostro il Mediterraneo, come è nostro – per quelli di noi che sono credenti – l’essere cristiani per esempio, come sono cristiani i credenti della maggior parte degli italiani, non tutti gli italiani sono credenti, quelli che sono credenti per la stragrande maggioranza sono cristiano-cattolici, il che vuol dire essere credenti in un’infinita gamma di modi. Però questa pluralità di identità, perché il problema è questo: che le identità noi le pensiamo sempre al singolare con la "i" maiuscola, ma in realtà le identità sono molte e sono come dei cerchi che non sono nemmeno concentrici, ma sono centri che interferiscono a vicenda, e ciascuno di noi ha la sua identità come il risultato, o meglio proprio la risultante nel senso matematico del termine, di tutte queste varie identità. E le identità cambiano, mutano, mutano col tempo, l’on. Buonfiglio parlava, me lo sono segnato perché è una bella espressione, di futuro per la tradizione, ma la tradizione noi la pensiamo come un dato passato, ma se è un dato passato, a meno che noi non vogliamo fare gli antiquari o gli archeologi, non ci serve a nulla, la tradizione serve unicamente per il futuro, ed è per questo naturalmente che bisogna mantenerla, coltivarla. E tradizione in questo senso è sinonimo di identità. Chi siamo praticamente noi? Questo incontro ha un titolo molto bello, molto accattivante, e anche molto allarmante: Modernizzazione e identità. Apparentemente sono due termini agli antipodi. Chiariamo un punto: la modernizzazione. La modernizzazione è una delle grandi forze dell’occidente, quando l’occidente ha cominciato a svilupparsi( il termine "occidente" come tale è antichissimo, però qualifica un punto cardinale, punto e basta) quando l’occidente ha cominciato a qualificarsi così come oggi lo sentiamo, in questo modo molto complesso e dinamico. All’inizio del secolo scorso quando Splengher scriveva Il tramonto dell’occidente lui intendeva tutt’altra cosa, non era l’occidente di oggi, era un’altra cosa, certo con rapporti profondi con quello che è oggi ma molto diverso. Ebbene se dovessimo qualificare come si è sviluppato l’occidente moderno, da quando è uscito dall’Europa cristiana, da quando noi con le nostre navi, i nostri cannoni, e perché no anche il nostro vangelo, il nostro Platone ecc., abbiamo conquistato il mondo, lo abbiamo assoggettato ai nostri modi di produrre, ai nostri bisogni, alle nostre necessità, e in cambio gli abbiamo dato alcune cose. Si potrebbe obiettare che magari il resto del mondo non è che ce le avesse chieste quelle cose ma gliel’abbiamo date, e per noi sono dei valori inestimabili, anche se magari sono valori immateriali, mentre i valori che abbiamo portato via quelli sono materialissimi, dall’argento del Perù fino ai diamanti o all’uranio dell’Africa eccetera, ma tutto questo ha fatto la nostra ricchezza. Noi siamo oggi quello che siamo e non bisogna mai dimenticare che siamo una minoranza privilegiata, ce lo meritiamo, non ce lo meritiamo, questo è un altro discorso, ma siamo una minoranza privilegiata e oggi gli altri sanno che noi siamo tali e si pongono il problema, si pongono i due problemi: a) se è giusto che le cose stiano così; b) se in ogni modo non sarebbe arrivato il momento, anche questo è processo di globalizzazione, di ridistribuire in qualche modo, che non vuol dire, attenzione, far piazza pulita, livellare, collettivizzare, tantomeno questo, ma riorganizzare le cose, perché, come diceva Malcom X, e io preferisco l’espressione di Malcom X, quella di Leus Strauss, il quale diceva che non c’è pace se non c’è libertà (ed era senza dubbio una affermazione molto alta), però il vecchio Malcom X, persona da prendersi con le molle come sapete, sottolineava una vecchia massima di Sant’Agostino Non c’è pace dove non c’è giustizia. E la giustizia e la libertà bisogna che camminino insieme, se non lo facciamo per spirito cristiano o per altruismo facciamolo per vecchio egoismo di stile britannico dell’800 perché ci conviene.

Modernizzazione. Modernizzazione è veramente un’invenzione dell’occidente. Io spero che poi l’on. Tremonti non mi bacchetti sulle dita perché sto un po’ entrando nel suo campo specialistico dal punto di vista scientifico ma per quanto ne so come storico delle società ho notato questo (e non sono io il primo a notarlo, sarei molto più bravo di quanto io non sia), cioè da che mondo è mondo in tutte le civiltà la domanda ha sempre fatto aggio sull’offerta. Se quelli di Samo, sapendo che quelli di Kyo avevano bisogno di 100 vasi ne facevano 120, gli altri 20 se li potevano tenere in magazzino. Noi occidentali abbiamo stravolto, rovesciato questo rapporto; abbiamo inventato genialmente che l’offerta deve far aggio sulla domanda, che cioè non solo bisogna produrre di più ma bisogna anche convincere il nostro cliente che ha un bisogno matto delle nostre merci in eccedenza, che non può viverne senza. Badate che è stata una rivoluzione senza pari, da mettere in confronto con altre rivoluzioni e lo facevamo mentre, grazie alle nostre navi con le vele mobili e ai nostri cannoni, conquistavamo, assoggettavamo, occidentalizzavamo il mondo. Oggi – ed è questa una ragione per la quale io non sono d’accordo col Professor Hantinton, oggi nessuna parte del mondo, nemmeno la più lurida favela brasiliana (intendiamoci ho il massimo rispetto delle favelas, dico lurida nel senso tecnico perché è tale non perché lo siano gli abitanti, gli abitanti spesso sono molto ricchi interiormente, molto più di molti di noi) non c’è più lurida favela (in questo senso) brasiliana, non c’è più miserabile villaggio africano dove non si ha nemmeno l’acqua e il miglio per andare avanti fino al giorno successivo, dove non si abbia in qualche modo un contatto con l’occidente. Non hanno l’acqua, non hanno il miglio ma la parabolica ce l’hanno e molti hanno il telefonino e il computer. Siamo in un mondo profondamente ma anche al tempo stesso imperfettamente occidentalizzato. L’occidente è diventato il basic english di tutto il mondo. D’altra parte però esistono anche le altre culture, e oggi la rinascita (molto spesso è artificiosa e artificiale, e anche criminale in qualche caso) di vecchie culture che in questo momento si stanno risvegliando e chiedono di occupare il loro posto, ci preoccupa. La modernizzazione è stata la forza dell’occidente, modernizzazione viene da modus, cambiare le cose, modificare è la stessa radice, l’idea che il mondo non deve essere lo stesso che ci hanno lasciato i nostri antenati perché ce li hanno lasciati ed è sacro, ma l’idea che gli antenati vadano onorati sia pure, ma la loro eredità va arricchita. Tra l’altro è una massima caratteristicamente cristiana, che non c’è nella Bibbia, che non c’è nel Corano, ma che c’è nel Vangelo, la parabola dei talenti, chi riceve qualcosa non lo deve nascondere sotto terra, perchè altrimenti poi il padrone si arrabbia e lo punisce, lo deve far fruttificare. Ma il nostro occidente è nato su questi valori, e nello stesso tempo identità. Teniamo presente una cosa quando parliamo appunto del nostro occidente, che è una mirabile, affascinante sentina di ogni tipo di contraddizioni, pensate semplicemente alla contraddizione più grande, noi abbiamo seminato i diritti dell’uomo ma nello stesso tempo abbiamo seminato la volontà di potenza, che è una delle nostre caratteristiche, e lo permane. Io vorrei sapere come diritti dell’uomo e volontà di potenza fanno ad andare insieme. Ma proprio questa è la sfida, proprio questa è la nostra grande contraddizione, che è anche la nostra grande ricchezza, mentre noi ci modernizzavamo abbandonavamo la nostra identità, poteva fregar di meno delle nostre identità nazionali, linguistiche, religiose, una sola identità, e questa è stata la grande forza dell’occidente. Andate a chiederlo agli illuministi, ai grandi capitalisti dell’Ottocento, ai grandi politici del Novecento, l’affermazione dell’Io, magari proiettato poi per esempio sulla nazione, sulla patria, magari sulla classe, su certi meccanismi di progresso economico eccetera, ma quello che ha fatto forte e grande l’occidente, nel bene e in quello che moralmente forse molti di noi (anche io) giudicano un male, è stata proprio la affermazione delle identità. Ma abbiate pazienza, se noi abbiamo buttato a mare tutte le identità, le abbiamo tenute in disparte, non ci interessava granché, fino ad affermare – io sono del 40 quindi sono cresciuto in un clima che era quello della nostra Toscana, rossa, che era rossa non solo perché comunista ma principalmente perché a livello dell’intellighenzia laica, democratica, ecc., un mondo in cui si diceva che tutte le tradizioni erano roba da buttar via, non era importante, bisognava esser proiettati verso il futuro, bisognava crescere individualmente e affermarsi individualmente, questo era importante, semmai erano importanti i problemi sociali, ma sempre visti nell’oggi, ma sempre visti in un’umanità dalle radici tagliate in cui contavano quelli che erano esseri umani, ora, qui, adesso. Punto e basta. Di punto in bianco (in realtà non è vero, perché la tempesta viene da lontano) noi ci troviamo circondati da gente che è da tutti i punti di vista meno forti di noi, e meno ricca, meno potente, meno tutto. Però è ricca di questo valore immateriale, che poi si traduce anche in fatti reali, che è l’identità comunitaria, e noi questa identità comunitaria ce ne siamo dimenticati, non ce l’abbiamo più, l’abbiamo trascurata, se non rinnegata per molti anni, per molti decenni, forse addirittura per qualche secolo. E allora non c’è da stupirsi se in questo noi ci scopriamo immaterialmente poveri, e la povertà immateriale è qualche cosa che ci fa paura, perché insomma i beni vanno e vengono, poi muoriamo tutti e li lasciamo quando va bene agli eredi, ma quello che abbiamo dentro questo è l’importante, e noi ci sentiamo da questo punto di vista interiormente deboli, e probabilmente certe forme un po’ di isterismo anche contro certe culture che ci vengono dal di fuori, vengono a volte in molti di noi proprio da questa profonda consapevolezza di debolezza immateriale.

Io credo che noi, o perlomeno io sono qui stamane (a parte l’amicizia per molti di voi), io credo che noi vogliamo ricostruire un po’ il tessuto della nostra ricchezza materiale, riscoprire le nostre identità, i valori delle nostre identità e naturalmente anche riscoprirne i limiti, riscoprirne il carattere dinamico. Cosa siamo noi italiani? Intanto siamo un buffo paese dove la lingua ci unisce fino a un certo punto perché fino all’Ottocento un vero e proprio italiano poi in fondo non c’era, ma dove infinite caratteristiche ci distinguono se non proprio ci dividono. L’Italia è un paese di municipi, di regioni, di città, l’Italia è un paese eminentemente policentrico, nel tempo in cui siamo stati davvero grandi, e magari non lo siamo mai stati militarmente come lo sono stati gli inglesi, i francesi o gli spagnoli, ma lo siamo stati da un punto di vista artistico, intellettuale [...] di andar d’accordo col vicino, ma capacissima di andar d’accordo col Re di Francia, col Re di Castiglia, magari anche col Sultano. Questa era la nostra ricchezza, ed è una ricchezza irrinunziabile, la nostra unità (che è una ricchezza) bisogna salvaguardarla da un altro punto di vista: siamo evidentemente europei ma siamo anche mediterranei, molti di noi sono cristiani, ma ormai ci sono, a parte i nostri vecchi connazionali che da generazioni sono cristiani sì ma protestanti, oppure sono ebrei, oppure sono atei, e come atei hanno coltivato le loro religioni dell’ateismo, le religioni civiche, la cultura massonica, ecc., adesso abbiamo anche una ventina di migliaia di connazionali che sono mussulmani, non mussulmani che vengono dal di fuori, no, italiani che sono diventati mussulmani. E che sono meno italiani per questo? Sono diventati orientali? Evidentemente no. Se si comincia a dire che passare all’islam vuol dire diventare orientare, io personalmente come cattolico aderisco a un’eresia ebraica e quindi sono orientale anch’io perché bene o male veniamo tutti da lì in fondo. Quindi ricostruire un’identità, riconoscerla, rivalutarla, riviverla, aprirla anche agli altri, condividerla, nella certezza che, badate il relativismo inteso in un certo senso perché poi il relativismo è un termine filosofico che ultimamente è stato un po’ massacrato, il relativismo può essere un difetto e un pericolo ma la relatività è una cosa normale, nella storia tutto è relativo. Questo distingue la tradizione in fondo dalla conservazione. La conservazione io trovo, senza polemizzare dal punto di vista politico naturalmente, la conservazione io trovo che è un valore chiuso, la tradizione e quindi l’identità non è utile, non è fruibile, non è significativa se non è aperta. Bisogna lavorare per le identità future, bisogna lavorare nella consapevolezza che in passato noi non eravamo quello che siamo oggi e in futuro i nostri figli, i nostri nipoti non saranno quello che noi siamo oggi, saranno un’altra cosa, saranno una cosa diversa, eppure bisogna lavorare perchè fra generazioni il dialogo non si interrompa. Anche perché sono importanti le tradizioni locali, ecco perché è importante la scuola, che in questo momento è abbandonata a se stessa, 20 anni fa tutti ci mettevamo le mani nei capelli quando vedevamo certe fiction americane e dicevamo "per fortuna a noi le scuole come negli slams di Detroit non ci toccheranno mai". Ebbene no, ci sbagliavamo, si comincia ad avere anche questi fenomeni. In Francia ce l’hanno da prima di noi, in Inghilterra ce l’hanno da prima della Francia, bisogna abituarsi, anche questa è la modernità. Anche da questo punto di vista la modernità, come tutti gli animali selvaggi, va addomesticata. Noi siamo qui per apres voisir la modernité