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I diamanti puliti dei vicoli d'Anversa (recensione)

di Alberto D'Argenzio - 27/01/2007

 
Preoccupati fino al panico dall'uscita del film «The Blood Diamond» con Di Caprio i commercianti della più importante piazza mondiale sono ora più tranquilli: le vendite non calano. «E le nostre pietre non vengono dalla guerra, sono tutte certificate. O almeno, quasi tutte...» Commerci insanguinati Reportage dalla città-mercato mondiale delle gemme


Anversa Non corre buon sangue tra l'industria dei diamanti e Leonardo Di Caprio. De Beers, primo produttore mondiale con in mano il 40% del mercato delle pietre grezze, e il World Diamond Council hanno stanziato 12 milioni di euro per contrastare l'effetto di «Blood Diamond» sulla coscienza degli spettatori, potenziali consumatori di pietre preziose, e quindi sul mercato mondiale. Una vera e propria battaglia di immagine. Il film è uscito l'8 dicembre negli Usa e i primi dati, assicurano gli operatori del settore, non mostrano contrazioni di vendite nel cruciale periodo dello shopping natalizio (gli Usa assorbono il 60% delle pietre lavorate).


Forte di questo primo verdetto, il mondo del diamante è passato dal panico a una certa tranquillità, macchiata pure da un po' di spavalderia. L'Antwerp World Diamond Council (Awdc), il Consiglio mondiale del diamante di Anversa, ha infatti invitato il neocandidato all'Oscar Di Caprio a visitare le viuzze del Diamond square mile, il quartiere in cui circola l'80% delle pietre grezze del pianeta e il 50% di quelle lavorate. «L'Awdc - si legge nell'invito - fa i complimenti a Di Caprio per il suo ruolo in questo film dagli evidenti accenti alla James Bond», un modo ironico per dire che «Blood Diamond» non assomiglia per nulla alla realtà di oggi. Preceduto da questo battage, il film esce domani nelle sale europee, in tempo per San Valentino - il giorno degli innamorati brucia un terzo delle vendite dei diamanti lavorati.

«Il nostro è un invito serio - ci dice Philip Claes, portavoce dell'Awdc - ma anche una forma di protesta per l'assenza di qualsiasi riferimento al Processo Kimberley (di certificazione dei diamanti puliti, ndr)». Il settore aveva chiesto al regista Edward Zwick di inserire nel film un accenno all'evoluzione positiva degli ultimi anni, ma Zwick si è rifiutato e la cosa non è piaciuta. La prima a reagire è stata la De Beers che ancora oggi, alla vigilia del lancio in Europa, ripete la sua posizione: «Vogliamo assicurarci che gli spettatori siano avvertiti che il film è situato nel passato e capiscano che l'industria del settore ha preso le misure necessarie per prevenire il commercio dei diamanti di guerra», afferma Tom Tweedie, portavoce della società. Due mezze verità, sia perché la storia è storia, ma assai recente, sia perché molto è stato fatto, ma ancora parecchio rimane da fare.
L'incontro di Kimberley

Nel 1999 l'Onu, l'Ue, i paesi produttori, quelli importatori, le imprese del settore e le Ong si incontravano a Kimberley, cittadina sudafricana sede della prima miniera del paese, per lanciare un sistema di certificazione che permettesse di identificare le gemme «sicure» ed escludere dal commercio mondiale quelle dei paesi in guerra. Il sistema è entrato a regime nel 2002, ma permangono problemi sul controllo effettivo delle pietre, tanto che da poco è stato scoperto un traffico di diamanti, pari a 23 milioni di dollari, estratti dai ribelli del Nord della Costa d'Avorio, esportati in Ghana e Mali (che partecipano al Processo Kimberley) e qui ripuliti.
Il sistema, che al momento comprende 71 paesi, si basa sul mutuo riconoscimento delle certificazioni: per cui, se uno Stato che partecipa al Processo certifica come propria una gemma proveniente da un paese in guerra, la pietra diventa di colpo buona per il mercato internazionale. Ripulita. E gli abusi non sono rari. Nel luglio 2004 il Congo-Brazzaville venne espulso dallo schema Kimberley, i numeri lo incastravano: il paese denunciava una produzione locale di 5 milioni di carati, un livello «superiore di 100 volte agli standard di produzione», secondo il World Diamond Council. I diamanti erano in realtà estratti nella Repubblica Centrafricana, nel Gabon, in Camerun e nella vicina Repubblica Democratica del Congo, ripuliti nel Congo-Brazzaville e poi venduti a basso prezzo in Svizzera e a Dubai, piazze dove i controlli sono minori che ad Anversa e Tel Aviv. Adesso anche il Ghana potrebbe seguire il Congo nella lista degli espulsi. «Se nei prossimi tre mesi il paese non effettuerà i miglioramenti necessari, valuteremo cosa fare: l'espulsione è l'ultimo passo ma potrebbe succedere anche al Ghana», afferma un esperto della Commissione europea, istituzione che dal 1 gennaio presiede il Processo di Kimberley.

Al di là dell'invito a Di Caprio, Anversa attende con un certo fastidio l'uscita del film. «È un'opera sensazionalistica, esagerata - afferma un dipendente della Noam Jewels, società situata nel cuore del quartiere dei diamanti - dovete chiedere a Kabila (presidente della Rdc, ndr) e agli altri dove sono i diamanti di guerra, non a noi. Noi siamo tranquilli». Non sembra. I gioiellieri delle vicine boutiques rispondono tutti in coro: «Compriamo i diamanti controllati dal governo belga, chiedete a loro».
Allora chiediamo a Philip Claes, al portavoce dell'Awdc. Giovane, molto gentile, occupa un ufficio spartano al settimo piano di un edificio giusto nel centro della Hoveniersstraat, una vigilatissima stradina pedonale. È questo il cuore del commercio mondiale dei diamanti, un cuore con molte facce: bianchi, neri, indiani, moltissimi ebrei... Tutti uomini. Qualcuno, come in un film, gira con la valigetta incatenata al polso; ma girano soprattutto le pietre e con loro 1.800 imprese e quattro Borse diamanti che danno lavoro a 30.000 addetti per un giro d'affari annuo di 40 miliardi di euro: il 7% del Pil fiammingo, circa il 4% di quello belga.
La concorrenza dell'indiana Mumbay si fa sentire, ma Anversa non cede ancora lo scettro. «I diamanti che arrivano da noi - spiega Claes - vengono tutti accompagnati dal certificato Kimberley, poi qui ci sono 18 esperti che devono ispezionare ogni carico in entrata - diamanti grezzi, tagliati o sintetici. Devono qualificarli, determinarne peso, valore e provenienza, se sono grezzi». Ma sull'origine, che è poi il nocciolo delle questione, bisogna fidarsi dei certificati: «Non possiamo sapere da dove viene una pietra, da quale miniera. È impossibile perché i diamanti sono sotterranei e le frontiere geologiche non coincidono con quelle geografiche». Pur con questa spiegazione, poco convincente, il bilancio dell'Awdc è comunque positivo: «Prima del Processo Kimberley il 4% dei diamanti grezzi proveniva da zone di guerra (ma altre fonti, tra cui la Ue, dicono che fossero addirittura il 15%, ndr), ora tutti sono d'accordo nel dire che la percentuale è scesa allo 0,1%. E' chiaro che Kimberley funziona; anche gli arresti e le espulsioni dal sistema dimostrano che va bene. Questo la gente deve saperlo».
Basta poco a creare tragedie

A Global Witness, una Ong che segue da anni la battaglia contro le gemme insanguinate, questi risultati non bastano: «È necessario eliminare tutti i diamanti della guerra, perché anche lo 0,1% del mercato mondiale può creare sofferenze enormi in alcuni paesi. Lo abbiamo visto in Sierra Leone, che esporta solo lo 0,2% del commercio mondiale: quella piccola parte ha creato drammi immensi», spiega Annie Dunnebacke, addetta alla campagna sui diamanti.

A novembre tutte le parti che partecipano al Processo Kimberley si sono riunite in Botswana (il cui Pil dipende per il 34% dal commercio della gemma) per procedere alla sua revisione. «I governi si sono impegnati al rafforzamenti dei controlli interni e le industrie hanno accettato controlli indipendenti per verificare se rispettano le regole. Ci sono stati tanti miglioramenti, ma tutti sulla carta. Tante volte in passato hanno fatto delle promesse, ora attendiamo azioni concrete». In questo panorama il film di Di Caprio piace alle Ong: «I consumatori hanno un ruolo molto importante e speriamo che Blood Diamond faccia riflettere il pubblico». Si arriva al consumo critico, ma riflettere sui diamanti non è poi così semplice, tanto che la stessa Dunnebacke si chiede fino a che punto tutto ciò interessi ai consumatori. E non solo. Global Witness avverte: «È importante che la gente continui ad acquistare i diamanti africani, sempre che siano sicuri».

Sicuri dai conflitti, seppure con una definizione, quella del processo Kimberley, abbastanza restrittiva, che esclude le condizioni di lavoro ed include solo le guerre civili. Non vengono infatti considerate le deportazioni interne, come ad esempio avvenne per 10.000 boscimani del Botswana cacciati nel 2002 dai loro luoghi atavici per sfruttare i filoni sottostanti e che a dicembre si sono visti restituire le terre grazie ad una sentenzia storica che ha chiuso la più lunga e costosa causa del paese. A settembre i boscimani avevano chiesto aiuto a Di Caprio con una lettera e con una pagina di pubblicità acquistata su Variety. Non si sa se la star si sia spesa per la causa, ma è chiaro che i tempi sono cambiati, almeno un po', da quando Audrey Hepburn andava a fare «Colazione da Tiffany».