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Finanziaria sinistra

di indipendenza - 27/01/2007

 

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 volte ritornano. Sinistramente. Al di là del merito degli aspetti tecnici che connotano la Finanziaria Prodi 2007, l’impostazione di politica economica e sociale presenta significative analogie e continuità con la Finanziaria Prodi 1997. Dall’insediamento del governo di centrosinistra e Rifondazione, è un susseguirsi di provvedimenti penalizzanti per la collettività. Soffermiamoci sulla legge Finanziaria per il 2007 e sul decreto legge collegato, sui cui contenuti si è sollevato una vera e propria cortina fumogena, anche favorita dalle ripetute modifiche e dalla lunghezza impressionante del dispositivo normativo. Un impasto sconcertante di tagli alla spesa pubblica e soprattutto un incremento dell’imposizione fiscale con un occhio di riguardo alle piccole attività economiche. Abbattimento dei trasferimenti agli Enti territoriali, da cui conseguiranno il taglio di servizi pubblici ed incrementi –anche automatici in caso di violazione del “patto di stabilità interno”– delle imposte di loro competenza: addizionali IRE (ex IRPEF) regionali e comunali, ICI, imposta provinciale di trascrizione, Irap, “imposta di scopo” per finanziare infrastrutture, “tassa di soggiorno”, tassa automobilistica, tariffa per servizio raccolta e smaltimento rifiuti, eccetera; aumento delle aliquote previdenziali a carico di artigiani ed apprendisti, commercianti, “lavoratori autonomi” e dipendenti (in particolare consistente quella sui lavoratori “atipici”); stangata sulla casa –che si prevede sarà tremenda quando con una legge delega si darà avvio alla revisione degli estimi catastali ai valori di mercato– con l’aumento dell’ICI e delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, eccetera; inasprimento degli “studi di settore”, quel meccanismo secondo il quale le categorie del “lavoro autonomo” –dagli artigiani ai commercianti alle piccole imprese, eccetera– concordano con lo Stato quanto pagare di imposte; sanità pubblica sempre più cara, mediante stretta sulle detrazioni per spese mediche, obolo di 10 euro sulla ricetta per prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, tickets per le prestazioni erogate dal pronto soccorso ospedaliero non seguite da ricovero; restrizioni della spesa scolastica (revisione dei parametri alunni-classe, riduzione degli insegnanti di sostegno…) e tagli all’università; aumento delle tariffe di pedaggio autostradale, del bollo auto, dell’imposizione fiscale su successione e donazione, eccetera; condono per regolarizzare i lavoratori in nero assunti negli ultimi anni. E ci sarebbe ancora da continuare e soprattutto da scandagliare tra le numerose norme predisposte dal governo.

 

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hi si aspettava una discontinuità di indirizzo e di contenuti rispetto al governo del Cavaliere nero, o anche a quel Prodi I di dieci anni fa, è servito. Quando abbiamo salutato con soddisfazione lo scenario meno peggiore scaturito dalle elezioni politiche di pochi mesi fa, non era certo per un’improvvisa folgorazione sulla via di Damasco, ma, come a suo tempo articolato, per tre ragioni, tra loro strettamente legate: 1. sconfitta di Berlusconi; 2. significativa affermazione delle sinistre del centrosinistra; 3. decisività dei loro voti, stante il sostanziale equilibrio al Senato in termini di seggi delle due coalizioni presuntivamente contrapposte. Riprendiamoli brevemente per –a distanza di mesi– leggerli collocandoli nell’attuale momento. La sconfitta di Berlusconi avrebbe rimosso dal campo politico un equivoco scientemente alimentato di catalizzare su di lui la personificazione di ogni male sociale e politico. L’antiberlusconismo mistico ossessivamente rilanciato dai suoi sedicenti oppositori mirava a creare un nemico di comodo contro il quale costruirsi un’identità artificiale e di consensi, utile surrogato allo svuotamento di proprie collettive pregresse identità e funzionale allo spostamento, come personale politicista e funzionarile d’esperienza, nell’ambito di una referenza di gestione per i poteri che contano. La significativa affermazione del fronte sinistro dello schieramento cosiddetto progressista gettava le basi per un ulteriore, significativo effetto, quello cioè di rimuovere da subito l’argomento giustificazionista, di solito addotto in passato, del non avere i numeri per contare e condizionare le scelte di governo. A tal proposito, la singolare situazione –scaturita dalle urne– di un quasi sostanziale equilibrio del numero dei senatori tra gli schieramenti presuntivamente contrapposti, offriva ed offre un valore aggiunto contrattuale da far pesare nella coalizione di governo di cui si è parte. I fatti offrono un’ulteriore, significativa occasione di riscontro soprattutto per chi, animato dalla volontà di credere, ha preso sul serio quelle istanze di emancipazione e giustizia sociale sbandierate quando al governo c’era il centrodestra. Finalmente, si potrebbe dire, si è in possesso di palla ed è possibile impostare il proprio gioco avendo, per giunta, leve formidabili (in termini di seggi e quindi di influenza) per farlo.

 

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l punto è: se questo non avviene, e non sta avvenendo, perché? È la solita storia dei traditori, dei nemici che marciano alla nostra (si fa per generalizzare...) inconsapevole testa, del potere che seduce e corrompe chi lo ha? A nostro avviso tutto questo è parte del problema, ma è una parte non centrale del problema. TFR, pensioni, sanità, scuola, precariato e quant’altro non sono questioni risolvibili se si accettano regole ed orizzonte sistemico. La stessa Finanziaria si può leggere come una mappa che incorpora un tracciato di logiche e direttrici di un governo, ad investire ambiti a tutto campo e a marcare l’impronta degli interessi fattivamente di classe che si vogliono affermare, tutelare, penalizzare. Da molti anni, ormai, le Finanziarie che vengono varate sono manovre economiche da Maastricht, di Maastricht, rispondono cioè ad interessi oligarchici interni –al cui interno cresce l’influenza del presidente di Banca Intesa, Bazoli– ma soprattutto a logiche geoeconomiche e geopolitiche che sono predisposti e prescritti altrove, fuori (anche) da questa nazione.

«Siamo di fronte al governo Padoa Schioppa – Almunia – Trichet, con l’appoggio esterno delle principali agenzie di rating». Così Enrico Cisnetto (Il Foglio, 26 maggio 2006) aveva definito il governo “di sinistra” uscito dal risultato delle urne del 10 aprile. Certo, il governo ha un po’ giocato con lo stato dei conti pubblici lasciato dal centrodestra, usando la scusa dell’Europa per procurarsi riserve da destinare, sotto varie forme, al foraggiamento dei “poteri forti” industriali e finanziari del Paese, in gran parte riuniti nel patto di sindacato del Corriere della Sera. L’incremento inaspettato del gettito fiscale –che è comunque anche il risultato di un aumento di quella pressione fiscale che Berlusconi aveva proclamato di voler abbassare– ha fatto ammettere persino a Prodi e Padoa Schioppa che per raggiungere gli obiettivi del Patto di stabilità europeo sarebbe bastata meno della metà della manovra predisposta. Il che non è comunque poco. In ogni caso, il Commissario europeo agli Affari economici e monetari Almunia ed il governatore della Banca Centrale Europea Trichet hanno dato il loro benestare alla manovra Finanziaria di centrosinistra e Rifondazione. Ciò deve far pensare, soprattutto se si tiene conto che persino Confindustria ha ammesso che la Finanziaria 2007 farà calare consumi e produzione, dunque le prospettive di crescita, e quindi aumentare quel rapporto deficit annuale / PIL monitorato dall’Unione Europea. Se si tiene poi conto degli aumenti dei tassi d’interesse decisi dalla Banca Centrale Europea, che faranno aumentare la spesa per interessi su titoli del bilancio dello Stato, non ci si dovrà stupire se nei prossimi anni, nonostante questa stangatona, si riaffermerà l’esigenza di nuovi sacrifici per rispettare il Patto di stabilità europeo. Le agenzie di rating USA Standard & Poor’s e Fitch avevano frattanto ad ottobre declassato il debito pubblico italiano, presumibilmente per ricordare ai sinistri al governo che quanto fatto non basta ancora e che bisogna accelerare con le liberalizzazioni e con un ancor più consistente sfrondamento della spesa pubblica.

 

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ovrebbe allora risultare chiaro come mai, nella sostanza, nonostante la presunta alterità degli schieramenti di centrodestra e centrosinistra, gli obblighi, i luoghi comuni, le aspettative futuristiche che vengono alimentate sono pressoché gli stessi ed i contenuti anche. La risposta sta, a nostro avviso, nel fatto che le grandi questioni sociali, economiche, di politica estera si snodano avendo un comune orizzonte neoliberista, una condivisa subalternità all’egemonia a stelle e strisce ed alle direttive delle grandi oligarchie finanziarie sovra e antinazionali. Tutto questo finisce per sovrastare le pur esistenti differenze tra i due schieramenti in fatto di sensibilità culturali, mentalità e costumanze, ma che divengono sempre meno marcate man mano che si accoglie la secolarizzazione del verbo neoliberista e ci si posiziona nel quadro delle sue compatibilità per gestire l’amministrazione. Con estremo rispetto per le soggettività e le problematiche nient’affatto irrilevanti in gioco, si può dire che, mentre per Pacs, eutanasia, liberalizzazione delle droghe e quant’altro di analogo, oscillante tra costume e diritti civili, è possibile discutere e differenziarsi, con margini di concretezza politica possibile in un senso o nell’altro, sulle principali questioni delle Finanziarie (come da riferimenti sopra) o sulla imperiale “guerra al terrorismo”, o sull’accettazione di regole e diktat finanziari imposti da oligarchie autoreferenziali, non c’è discussione. Se si accede alle leve del potere, lo si fa per ottemperare a prescrizioni indiscutibili. L’alternativa è categorica e foriera di una catena di causa-effetto a tutto campo, anche sul piano culturale: si chiama riconquista della sovranità, si chiama indipendenza, si chiama rimessa in discussione di tutte le istituzioni e gli strumenti di dominio. Si chiama liberazione. Incamminarsi lungo questa strada significa, tanto per cominciare, ridefinire orizzonti e progetti di società, comprendere meccanismi e regole esistenti, avere l’intelligenza, il coraggio e la capacità di costruire indipendenza e liberazione.