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Tariq Aziz. Un uomo sotto sequestro

di Alessia Lai - 27/01/2007



“Tariq Aziz non è un prigioniero di guerra, ma un uomo sotto sequestro!”.
Parole forti, come sempre, quelle di Padre Jean Marie Benjamin, il segretario generale della ‘Fondazione Beato Angelico’, ex funzionario dell’Onu, che giovedì, a Roma, a Palazzo Madama, sede del Senato, ha presenziato alla conferenza stampa ‘Fermiamo il boia – Appello per la liberazione di Tariq Aziz: le denunce degli avvocati della difesa e dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani’.
La conferenza si è potuta tenere grazie alla disponibilità del senatore del gruppo Verdi-Pdci Gianpaolo Silvestri, ed oltre a Padre Benjamin, coordinatore del gruppo italiano che si sta occupando di sollevare il ‘caso Aziz’ nelle sedi internazionali competenti, erano presenti gli avvocati italiani dell’ex vicepremier iracheno Remo di Martino, Ugo Bertaglia e Gianni Correggiari.
Quale ‘padrone di casa’, ha aperto la discussione il senatore Silvestri, che ha sottolineato come il titolo dato all’iniziativa, ‘Fermiano il boia’ , pur non essendo strettamente applicabile al caso di Tariq Aziz (che avendo più di 70 anni non può essere messo a morte, sia per la legge coranica che per quella irachena), comprende ugualmente la vicenda di un uomo come lui: malato, anziano ,detenuto in maniera arbitraria e senza le minime garanzia dovute a qualsiasi prigioniero. Soprattutto, il senatore ha voluto accomunare l’appello per la liberazione di Aziz a quello per la moratoria internazionale sulla pena capitale, presentato recentemente alle nazioni Unite dal governo italiano.
Silvestri ha commentato politicamente la questione dei prigionieri ‘eccellenti’ iracheni facendo una osservazione su quella che lui stesso ha definito “la giustizia dei vincitori”, facendo appello ad un diritto alla difesa che non sia più inficiato dalla “legge del più forte” e che sia garantito “al di là della verità storia e delle colpe reali” degli imputati.
Affermazioni importanti alla luce della barbarie alla quale tutto il mondo ha potuto assistere poco meno di un mese fa, quando questa “giustizia dei vincitori” ha assassinato il presidente iracheno Saddam Hussein, compiendo, di fatto, un atto di vendetta nei confronti dell’uomo considerato il nemico numero uno per la Casa Bianca e per gli attuali amministratori iracheni da questa imposti al Paese.
La guerra scatenata nel 2003, che in Iraq ha portato tutto tranne la tanto decantata ‘democrazia’, è andata esattamente come Tariq Aziz aveva previsto in occasione del viaggio che fece in Italia proprio in quell’anno,quando si recò in Vaticano per chiedere a Karol Woytila di intervenire perché scongiurasse l’aggressione statunitense contro il suo Paese. “Ho ripetuto al santo padre che non abbiamo le armi di distruzione di massa – disse l’allora vicepremier iracheno a padre Benjamin– ci faranno disarmare del poco che abbiamo e poi ci attaccheranno per distruggerci”. Colui che allora aveva ragione sul futuro dell’Iraq , ha commentato ieri l’ex funzionario Onu, oggi si trova in carcere, in una stanza di tre metri per tre, diabetico, malato di cuore (ha avuto quattro attacchi cardiaci), dopo aver perso25 chili dal giorno in cui, scovato, si consegnò alle forze Usa.
Un uomo imprigionato senza che contro di lui siano mai stati emessi dei fondati capi d’imputazione. Le vaghe accuse che sono state mosse ad Aziz riguarderebbero infatti : “i fatti del 1991”, “il Quwait”, “violazioni dei diritti umani”, “malversazione del patrimonio nazionale”.
Imputazioni generiche che non hanno finora dato origine ad un processo. Sull’invasione del Quwait (che avrebbe sporto denuncia contro Aziz presso il tribunale iracheno), Padre Benjamin ha sottolineato come il vicepremier iracheno non avesse capacità decisionali in merito, come pure i vertici del partito Ba’ath. La decisione, nonostante Aziz avesse sconsigliato a Saddam l’invasione, fu presa dal Consiglio della rivoluzione dietro pressione dei due figli del presidente iracheno, Usay e Quday.
Ma, al di là delle precisazioni, del ruolo avuto da Tariq Aziz nella guerra del 1991, quel che conta è che oggi quest’uomo si trova ingiustamente imprigionato senza avere la possibilità di vedere i proprio familiari, di scrivere loro delle lettere, di leggere libri o guardare la televisione, di poter conferire (quando gli viene permesso) con il proprio legale senza la costante presenza di uomini della Cia.
Palesi violazioni, queste, riconosciute di recente anche dalla Commissione per i diritti Umani dell’Onu, come sottolineato dagli avvocati Gianni Correggiari, Ugo bertaglia, e Remo di Martino, che hanno evidenziato come il ‘Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria’ della Commissione abbia sottolineato la violazione, da parte di Iraq e Stati Uniti, degli articoli 9 e 14 della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici sottoscritta nel 1966, tra gli altri, anche da Usa e Iraq.
Che questo possa interessare ai responsabili delle scelte politiche statunitensi e irachene è pura illusione. Come sempre, atlantici e loro sodali continueranno a disinteressarsi del biasimo che le loro decisioni provocano, interessati esclusivamente al perseguimento dei loro interessi. Ma è anche vero, come sottolineato dal senatore Silvestri in risposta alla nostra domanda sull’effetto che la morte di Saddam Hussein potrebbe avere nei confronti del ‘caso Aziz’, che “di fronte all’orrore di quel cappio, la barbarie ha richiamato molte coscienze” sulla questione del diritto internazione e del suo mancato rispetto “in un Paese occupato” come l’Iraq.
Padre Benjamin, allo stesso proposito, ha sottolineato come l’esecuzione del presidente iracheno, già percepito dai popoli arabi come un “eroe” che si opponeva allo strapotere nordamericano, ne abbia fatto un “martire”, un “mito”: “Saddam è più potente oggi” ha affermato Padre Benjamin e “probabilmente gli statunitensi non intendono farne un altro”.
Non resta che sperarlo.