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Ignorando il rischio di una nuova guerra civile in Libano

di Robert Fisk - 30/01/2007

 

Nel 1975 il linguaggio era esattamente lo stesso. Siniora a Parigi, parlando ai residenti libanesi e ai giornalisti di turismo e agricoltura, non è sembrato averlo capito. Per ogni turista in Libano esiste senz’altro un bel po’ di storia da conoscere; il problema è che, mentre il mondo rimane a guardare, se ne sta aprendo una nuova macabra pagina, inquietante più che mai

Ecco come il conflitto 1975-1990 in Libano iniziò. Esplosioni di odio settario, arresti di massa, promesse d’aiuto dall’Occidente e dai paesi arabi, un totale rifiuto nel riconoscere le prime cause alla base di ogni guerra civile.

L’esercito libanese venerdì mattina ha tolto il coprifuoco notturno, ma le auto e i camion in fiamme rimanevano i simboli di una lotta così violenta che solo il linguaggio incendiario caratteristico dei leader degli opposti schieramenti riesce ad eguagliare.

I quotidiani di Beirut la mattina pubblicavano le foto di alcuni terroristi, musulmani sunniti fedeli al governo e sostenitori sciiti di Hezbollah, a dimostrazione di come uomini armati ben organizzati pattuglino tuttora le strade della capitale libanese. L’esercito nazionale – costantemente alla ricerca dell’appoggio del leader della fazione di turno, non importa di che orientamento – ha incontrato enormi difficoltà nel sopprimere i recenti scontri. Un’immagine ormai nota mostra un uomo d’affari sparare ad uno sciita durante uno scontro armato nei pressi dell’Università araba libanese; un’altra un uomo incappucciato con un fucile da cecchino su un tetto.

I tre uomini uccisi [la settimana scorsa, NdT] erano supporter di Hezbollah: ai loro funerali, nella Beirut meridionale e nella Valle della Bekaa, si sono levate grida di vendetta e, in un caso, colpi d’arma da fuoco da parte di alcuni miliziani su una bara. Dopo che al corteo funebre di Ouzai sono giunte la vedova ventinovenne e i bambini di Adnan Shamas, si son sentiti strepiti invocanti “sangue per il sangue”.

Tutto, comunque, era piuttosto distante dagli attestati di autocompiacimento dei leader arabi e occidentali riuniti venerdì nel summit di Parigi, nel corso del quale diplomatici europei e statunitensi, dopo aver raccolto 4.000 miliardi di sterline per aiuti destinati al Libano, son sembrati credere sul serio di aver salvato il governo di Fouad Siniora dalla “minaccia estremista islamica”.

Samir Geagea, l’ex miliziano della guerra civile trasformatosi in ardente sostenitore del governo – e in ospite dell’ambasciata Usa la settimana scorsa – si è scagliato venerdì contro il leader di Hezbollah Sayad Hassan Nasrallah, accusandolo di aver provocato la guerra della scorsa estate contro Israele, quando i guerriglieri sciiti spararono migliaia di razzi contro Israele. “Non pensare, Sayad Hassan, che Beirut sia Haifa o Mount Carmel”, ha avvertito Geagea. “Fermiamoci un attimo e discutiamo insieme… o il paese andrà incontro al peggio”.

Talal Arslan, un leader druso filo-siriano, ha velenosamente definito le truppe governative “un’organizzazione criminosa, intenta a trasformare il Libano in un nuovo Iraq”.

Nel 1975 il linguaggio era esattamente lo stesso. Siniora a Parigi, parlando ai residenti libanesi e ai giornalisti, mistificando persino se stesso sulle domande riguardanti le prospettive dell’agricoltura e del turismo libanesi, non è sembrato averlo capito.

Per ogni turista in Libano esiste senz’altro un bel po’ di storia da conoscere; il problema è che, mentre il mondo rimane a guardare, se ne sta aprendo una nuova macabra pagina, inquietante più che mai.

 

Robert Fisk vive a Beirut da trent'anni. Scrive per 'The Independent' e collabora con il sito Counterpunch. Corrispondente dalla capitale libanese per il quotidiano britannico, è uno dei più autorevoli esperti di questioni mediorientali. Ha intervistato tre volte Osama bin Laden.

 

Fonte: The Independent
Traduzione a cura di Luca Donigaglia per Nuovi Mondi Media