Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Banche Armate nel mercato della guerra

Banche Armate nel mercato della guerra

di Enea Baldi - 31/01/2007



Tra gli echi ridondanti dei pacifisti, sulle pagine dei quotidiani, dove ormeggiano spesso giorni e giorni prima di entrare nel dimenticatoio, alla televisione o via internet; ovunque ci sia guerra, la notizia è lì. E se dietro le quinte dell’ennesima replica, qualcuno meno ipocrita, scopre le magagne e i difetti politici di questo malandato paese, pochi riescono a tornare sui propri passi e a considerare la storia così come è nella realtà dei fatti.
Non siamo più abituati a riflessioni troppo lunghe, c’è il libero mercato e bisogna correre. E’ vero, siamo pacifisti, attenti alle notizie; ma siamo anche guerrafondai. L’Italia è un popolo pacifico che vende armi a mezzo mondo; e per armi non dobbiamo intendere solo pistole fucili mitragliatori o cannoni, ma anche puntatori laser, sistemi informatici e altri articoli, che riguardano le cosiddette armi sofisticate.
Prima di parlare di pace quindi, dovremmo riflettere sul fatto che il nostro paese trae enormi benefici economici dalla vendita legale di armi.
Il fiore all’occhiello per quanto concerne la produzione di armi in Italia, spetta alla Finmeccanica, società leader nel settore armamenti. Negli ultimi anni, attraverso l’acquisizione di nuove aziende e attraverso dinamiche di fusione, è divenuta una società leader a livello internazionale. Intuendo da parte del mercato la necessità di globalizzare la produttività, attraverso appunto gli scambi internazionali, diventa in poco tempo la decima azienda al mondo in fatto di produzione di armi, un’azienda in parte pubblica.
A mediare, anzi ad intermediare, per questa massa enorme di denaro pubblico, sono ancora una volta le banche; senza le quali nulla sarebbe possibile. Le banche intervengono nel momento cruciale degli accordi e per il loro intervento chiedono percentuali che variano dal 3 al 10% del valore commerciale del prodotto.
Nel 2002, secondo Giorgio Beretta che sta combattendo una battaglia contro le cosiddette “Banche Armate”, gli istituti di credito che si sono aggiudicati la maggior parte delle commesse di armi sono: Bipop-Carire, BNL, Banca di Roma, Credito Italiano, San Paolo-Imi, Intesa e Banco Antoniano Veneto.
La parte del leone, per quanto concerne il numero di commesse, l’ha fatta la BNL con 132 commesse, seguita da Credito Italiano, Banca di Roma e Intesa.
Il concetto di regolamentare il commercio legale di armi a livello internazionale, non è ancora entrato nel modo di pensare di quei Paesi che hanno costituito (tanto per darsi man forte) l’organizzazione per la cooperazione congiunta sugli armamenti. Sottoscritta da Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Italia e Svezia, che insieme coprono il 90% della produzione di armi europea, questa organizzazione è l’esempio del detto, fatta la legge trovato l’inganno. La legge 185/90 che nasce bene come tante leggi italiane, è stata in seguito modificata sia dal governo D’Alema, sia durante quello di Berlusconi.
In origine, quando è stata sancita per la prima volta nel 1990, la legge vietava l’esportazione di prodotti di armi in quei paesi dove vi erano guerre in corso; includendo nel divieto anche l’esportazione in Paesi instabili dal punto di vista politico, o dove non venivano garantiti i diritti civili. Una specie di embargo, in cui D’Alema ha escluso dall’applicazione della legge, tutte le aziende produttrici di piccole armi, pistole e fucili cosiddetti ad uso sportivo. Il governo di Berlusconi invece, nel 2003 escluse dalla relazione per la 185/90, tutte le co-produzioni di armamenti; che tradotto in termini di strategie economiche, significa che se si deve decidere a quale Paese far firmare le autorizzazioni alle esportazioni, verso le zone sensibili (di guerra), basta scegliere la nazione dove è stato assemblato il pezzo, oppure in alternativa, la legge del Paese dove è stato stipulato il contratto, e il gioco è fatto, anzi la guerra.
In Iraq sono state rinvenute considerevoli quantità di pistole Beretta, insieme a fucili di uso sportivo; fucili che per sport sono in grado di abbattere un elefante e l’Italia è al secondo posto nella produzioni di tali armi “leggere”.
La macchina da guerra mondiale è un grosso affare economico, che viene sovvenzionato con una spesa pubblica enorme. Il primo posto, nella classifica dei paesi con il bilancio più alto, spetta naturalmente agli Stati Uniti, con oltre il 40% della spesa mondiale, seguono il Giappone con il 6%; L’Inghilterra con il 5%; Francia, Cina e Germania con il 4%; Arabia Saudita e Italia, soltanto (si fa per dire) il 3%; chiude Israele con l’1%.