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Andrey Smirnov: La Filosofia Mistica e la ricerca della Verità (recensione)

di Alberto De Luca - 05/02/2007

Andrey Smirnov: La Filosofia Mistica e la ricerca della Verità

Edizioni Simmetria, 2005, pag. 142

 

Il filo conduttore della “Filosofia Mistica e della ricerca della Verità” raccorda quattro studi di Andrey Smirnov, a costituire un ordito di grande profondità, di sottile acume e di somma conoscenza. La locuzione “Filosofia Mistica”, che l’autore usa e che ben rende, rappresenta il vertice di una conoscenza, che non è dialettica, e di un’esperienza che non è passività.

Questo per affermare sin da subito che la mistica non è per forza passività e che la filosofia per forza non è arido accademismo. Ulteriore precisazione è che ambedue i termini sopra citati vanno intesi alla luce del senso che l’etimologia greca ha da sempre a loro assegnato.

La locuzione “filosofia mistica” è certamente inusuale in Italia e ancora di più per chi ritiene che vi possa esserci solo un’antitesi irriducibile tra questi due termini. A questo proposito, si ritiene che quest’ultima prospettiva dalla quale viene giudicata negativamente l’espressione dello stesso Smirnov, pare sminuire e limitare proprio ciò di cui queste stesse persone sarebbero custodi: la sapienza di tipo gnoseologico. Del resto, ma questa è una generalizzazione, la stessa fedeltà a dei principi non vieta ai suoi stessi continuatori di seguire delle linee nuove e di ridefinire le idee.

Si potrebbe parlare di tensione tra “aristotelici” e “platonici”, cosa che da tempo attraversa e lacera il mondo Occidentale, ma non sarebbe nemmeno questo un argomento valido per inquadrare pienamente il problema.

Forse prima di cercare di creare nuove visioni di un problema, che probabilmente non esiste, basterebbe ricordare che al tempo dei Padri, in parte coevi a certi autori islamici citati in questo libro, non sarebbe stato uno scandalo parlare di “filosofia mistica”, mentre dalla Scolastica a seguire fino ai nostri giorni, certe parole hanno iniziato, invece, a suscitare scandalo e riprovazione.

Questa sembrerebbe essere la sorte che è toccata a certe espressioni o termini in barba proprio a quell’azione, predicata oggi dai più, di riportare le parole al suo senso originario.

In questo senso riporto la parte finale delالرسالة المفصحة   (al-Risâlat al-Mufsiha L’Epistola chiarificatrice)

 

 

 

In modo analogo, a colui che conquista la stazione della “certezza di visione”, dopo che ha superato il livello della scienza certa, incombe il desiderio di raggiungere la “certezza reale”, la quale annovera tra i suoi statuti anche quello dello studio per riunire assieme ciò che risulta dalla dimostrazione e ciò che è frutto della visione diretta. Questa è una delle ragioni determinanti per eseguire questa  “cordatura”; e per la preponderanza dell’audacia di avventurarsi in ciò dopo la rinuncia, nella speranza del successo in questo intento. E la pace [sia con voi].

L’autore – Qûnâwî – appartenente alla “scuola di Ibn ‘Arabî” fornisce, pertanto, una prova molto solida per poter parlare, assieme a Smirnov, di “filosofia mistica”. Non si tratta di polemos e di dialettica fine a se stessa, quanto invece di sublimazione della visione diretta con la speculazione intellettiva.

La visione diretta è la quintessenza dell’esperienza mistica mentre la speculazione intellettiva lo è della conoscenza. Impostate così le cose non si può “vedere”, se prima non si “conosce” ciò che si vede, pena l’irriconoscibilità delle esperienze e delle visioni; d’altro canto se, però, ciò che si “conosce” non viene “sperimentato” – ossia “visto” – quella conoscenza è al massimo un enciclopedismo fine a se stesso.

La speculazione in sé rimane confinata in un suo mondo ideale e non fornisce certezza in re, anche se è dimostrativa. La filosofia potrebbe da sola non bastare.

In un soggetto che non è in grado di cogliere direttamente l’essenza, cioè senza “mezzi” (anche quindi l’intelletto), la conoscenza è totale dipendenza e la sua verità non è realmente definibile a priori. Quindi è “coincidenza”. L’esperienza mistica potrebbe da sola non bastare.

Solo una conoscenza “per propria essenza” può essere detta vera ed è conoscere essenzialmente se stessi. Questo implica che la conoscenza sia inscindibile dall’esperienza mistica.

In questo senso, sembra opportuno notare che la stessa tradizione, intesa in modo assoluto, è sempre testimonianza come premessa oppure testimonianza come riferimento di principio, ma in ogni caso non può prescindere dalla “soggettività”. Quest’ultima, poi, è la ricettività particolare dell’uomo nei confronti del numinoso: è l’orma di Dio nell’uomo di terra.

L’unico modo per non dipendere dalla tradizione – ciò che non vuol dire farne a meno, perché è concretamente impossibile ­– è la verifica diretta. Il non riuscirci è accidentale con riferimento alla tradizione e quindi a Dio.

Tirando le somme di questa recensione è ritornata alla mente l’ottima resa dell’amico Giorgio Giurini, che nell’introduzione alla sua traduzione di Qaysarî (Risâla fî ‘Ilm al-Tasawwuf, ovvero La Scienza Iniziatica) – altro appartenente alla “scuola di Ibn ‘Arabî” o anche “scuola akbariana” – parla di al-hikma al-muta‘âliya – «sapienza metafisica» – riferendosi all’opera di Qaysarî, in cui non è difficile scorgere uno studio sublimante la dimostrazione logico-filosofica ed il frutto della visione diretta.

Infine, per quanto riguarda l’accostamento dei termini “filosofia” e “mistica”, pare che le definizioni date dalla vulgatasono tanto diffuse quanto insicure e sostanzialmente fuorvianti. Pare, infatti, che la filosofia sia solo l’attività autonoma della ragione che non riconosce alcuna autorità al di sopra di sé, mentre si dimentica il suo etimo greco, che è “amore della Conoscenza”;  la mistica riguarderebbe invece il soprannaturale, colorandosi di emotività, dimenticando così il concetto arcaico di “mistero” (legato alla radice del verbo greco myein), che indicava una dimensione non tanto misteriosa quanto iniziatica, riservata a coloro che erano stati adeguatamente istruiti, da cui mistagogia.