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Lo stato della (dis)unione (...“una, due, mille Fallujah”)

di Pepe Escobar - 05/02/2007

 

Incombe, sopra ogni altra cosa, la terribile prospettiva di una devastante guerra aerea nei cieli di Bagdad, seguita da uno sterminio di sunniti e sciiti. Dal momento che sono le bombe e i missili americani a definire la linea di confine fra chi è “terrorista” e chi no, la nuova “Iraqificazione” non sarà che un vero e proprio disastro, soprattutto per i cittadini di Bagdad, come al solito intrappolati dal fuoco incrociato

La sicurezza è un bene comune. Se siamo al sicuro noi, potete esserlo anche voi. Ma se saremo attaccati e uccisi, state pur certi che – con la benedizione di Allah – subirete altrettanto”.
Ayman al Zawahiri, nell’ultimo video di al-Qaeda "La giusta equazione".


Il discorso sullo stato dell’Unione del Presidente Bush, a parte la presenza di termini come “al-Qaeda” e “Iran” nella stessa frase, non ha offerto nulla di nuovo sul fronte delle strategie da adottare in Medio Oriente.

“Potremmo aspettarci una battaglia epica tra estremisti sciiti sostenuti dall’Iran e estremisti sunniti aiutati da al-Qaeda e dai simpatizzanti del vecchio regime – ha affermato Bush. È probabile che un’ondata di violenza attraversi il paese [Iraq], inghiottendo tutta la regione nel conflitto”.

Bush ha inoltre ammesso che “la feroce reazione del nemico ci ha resi più giudiziosi in Iraq”, aggiungendo che la guerra nella sua furia faziosa “non è il conflitto che abbiamo intrapreso in Iraq, bensì quello in cui ci troviamo ora. Abbiamo ancora il potere di determinare l’esito di questa battaglia. Pertanto, recuperiamo il nostro spirito fermo e conduciamo gli eventi alla vittoria”.

Con la mancanza di nuove proposte da parte di Bush, gli Stati Uniti e l’opinione pubblica mondiale farebbero bene a puntare l’attenzione sullo stato della (dis)unione che sta colpendo il cuore dell’Islam. L’attuale pensiero del “nemico” è stato personificato in un video del numero 2 di al-Qaeda, il sunnita arabo Ayman al-Zawahiri, e in un’intervista di Muqtada al-Sadr, sciita iracheno, leader nazionalista.

In un video di quattordici minuti con sottotitoli in inglese, Zawahiri, come un Woody Allen barbuto, prodotto di al-Sahab, ha ribadito ancora una volta il pensiero che al-Qaeda sottolinea da anni – se l’Islam non verrà attaccato, l’Occidente sarà risparmiato – tenendo molto a specificare che la sicurezza è un “bene comune” tra Islam e Occidente. Ma a quanto pare, la Casa Bianca non vi ha badato molto.

Quando Zawahiri si scaglia contro l’intenzione di Bush di spedire in Iraq tutto l’esercito americano, è perché confida che gli arabi mujaheddin vogliano riproporre una nuova resistenza sul modello Afganistan anni Ottanta e possano distruggere “l’equivalente di dieci eserciti”. Si rende conto che il “surge” di Bush e il suo “nuovo modo di farsi largo” andranno ad amplificare le difficoltà, oltre che a sollevare ulteriormente l’opinione pubblica americana. Al-Qaeda ha fatto più volte sapere che un’improbabile ritirata degli americani sarebbe vista come una vittoria strategica dal valore inestimabile (e come la metteremmo allora con il petrolio?).

La lettura della situazione geopolitica di Zawahiri non potrebbe che essere ottimistica. Banalmente, Zawahiri afferma che con le offensive talebane che surclassano la Nato, al-Qaeda sta di nuovo prosperando in Afghanistan. Sa che la provincia irachena di al-Anbar è praticamente un emirato sotto la protezione di al-Qaeda, e per questo il suo sermone ha ottime possibilità di abbracciare e coinvolgere i moltissimi musulmani moderati e gli “arabi nazionalisti e di sinistra” per incitarli ad intraprendere la jihad in nome del panislamismo. Non è scontato che i musulmani moderati si facciano convincere, ma “al-Qaeda” – come marchio – è ideato per essere ben accetto soprattutto presso i musulmani poveri delle periferie dell’Islam, a maggior ragione dopo il recente episodio che ha visto l’Etiopia invadere la Somalia con l’appoggio degli Stati Uniti.


È l’ora del paradiso per il martire Muqtada

Molto illuminante è stata anche l’intervista di Muqtada al-Sadr, rilasciata di recente a La Repubblica – la prima, che si ricordi, ad un mezzo di comunicazione occidentale. A sentire l’idea centrale del suo discorso - via gli americani, adesso – si potrebbe pensarlo vicino a Zawahiri. Ma qui finiscono le somiglianze fra i due. Entrambi possono essere il Nemico Pubblico n° 2 e 3 degli americani (dando per buono che Osama bin Laden sia ancora il n° 1). Ma mentre Muqtada vuole una teocrazia nazionalista dominata dagli sciiti, indipendente dall’Iran, al-Qaeda vuole un emirato in Iraq dominato dagli arabi sunniti.

Muqtada considera il Primo Ministro iracheno Nuri al-Maliki – che in teoria gode dell’appoggio dei Sadristi in Parlamento – poco più di un fantoccio (“Non ho mai avuto fiducia in lui”), ribadendo che Maliki stesso gli avrebbe riferito di essere stato “costretto a scelte discutibili”. Ma soprattutto Muqtada ritiene, a ragione, che l’ex primo ministro Iyad “il Macellaio di Fallujah” sia l’uomo degli americani, il nuovo “Saddam con i baffi” in grado di riportare la pace in Iraq con il pugno di ferro, muovendosi entro il raggio delle strategie di Washington.

Muqtada è ben consapevole di essere sotto tiro. Ha fatto sapere che il suo esercito Mehdi non opporrà alcuna resistenza all’attuale inasprimento ordinato da Maliki in vista della prossima sequenza americana surge/escalation/”nuovo modo di farsi largo”. E, in effetti, i conti tornano: dopo tutto, questo è il sacro mese sciita di Muharram, che celebra il martirio dell’Imam Hussein. Muqtada sottolinea che per un vero fedele non esiste momento migliore per farsi martire: “Il Paradiso è assicurato”. Il prossimo mese – o il prossimo anno, in questo caso – sarà un’altra faccenda.

Muqtada, intanto, si muove astutamente rispetto a Mailiki. I sadristi sono tornati in Parlamento, ma con la promessa, da parte del Governo Maliki, di stilare nei prossimi mesi uno schema formale per il ritiro degli americani, e con qualsiasi eventuale proroga da sottoporre al voto del Parlamento. Si tratta di un elemento chiave che unisce tra loro i sadristi e i partiti sunniti.

Muqtada dà una definizione corretta dell’esercito Mehdi, formato da più di 80.000 elementi, chiamandolo “esercito popolare” libero di evolversi. Significa che è poroso, pieno di infiltrazioni da ogni parte. Principalmente, ci sono almeno due gruppi violenti e sfuggenti come schegge che potrebbero fungere da squadroni della morte. Quello che Muqtada nasconde è il suo compiacimento nel caso queste due fazioni venissero bloccate dai soldati di Maliki. Ma, allo stesso tempo, lo rassicura il fatto che la polizia di Bagdad sia costituita in gran parte da infiltrati dell’esercito Mehdi.

Il cuore delle forze armate – formato da soldati meglio addestrati, fedeli a Muqtada, che al momento restano nascosti – può essere preservato. Muqtada è anche consapevole però che presto dovrà affrontare ben quattro eserciti: un “esercito ombra” addestrato dagli americani nel deserto giordano, gli agenti privati di Allawi che si stanno esercitando “nell’ex aeroporto militare di Muthanna”, il curdo peshmerga che pattuglierà Bagdad assieme agli americani, e gli americani stessi. Muqtada non ha bisogno di dire che con l’escalation del Pentagono c’è la possibilità che 3 milioni di sciiti (tra i quali più di un milione sono bambini sotto i 14 anni), in condizioni di estrema povertà in quella mostruosa catapecchia che è Sadr City, siano obbligati a diventare Sadristi. Il “surge” diventerebbe così una delle più gravi idiozie nella storia del Medio Oriente. Ma dentro di sé, il leader sciita teme che centinaia di migliaia di loro possano sopperire d’altra parte sotto le bombe degli americani nella battaglia di Sadr City.

Muqtada ha negato di aver avuto un ruolo nell’organizzazione del linciaggio sciita in occasione dell’impiccagione di Saddam Hussein. “L’obiettivo era far risultare Muqtada il vero nemico dei sunniti”. E ci sono riusciti. Ma chi ci è riuscito? Il governo Maliki? Gli americani? Sono quasi due anni che Muqtada tenta un riavvicinamento con i sunniti moderati, mantenendo però chiare le sue condizioni: i sunniti devono rinnegare i Baatisti e al-Qaeda. Egli che questo si possa concretizzare. A guardare come stanno le cose ora, si direbbe il contrario.


In guerra (dis)uniti

Le uscite pubbliche tanto di Zawahiri quanto di Muqtada stanno portando al fallimento la propaganda, messa in piedi faticosamente dalla Casa Bianca, secondo cui organizzazioni iraniane infiltrate in Iraq si sarebbero coalizzate con la resistenza irachena per eliminare gli americani. Probabilmente, l’ultima cosa al mondo che gli sciiti iraniani vorrebbero è contrabbandare armi ai seguaci del partito Ba’ath, agli alleati di Saddam e/o ad al-Qaeda. Per scatenare un inferno in Iraq e lanciare la sua guerriglia anti-americana, la leadership di Teheran avrebbe la strada spianata appoggiando l’organizzazione Badr del Consiglio Supremo per la Rivoluzione Islamica in Iraq (SCIRI) o le milizie Mehdi. Ma questo ovviamente non sta ancora accadendo – almeno finché l’Iran non subirà offensive dagli Stati Uniti o da Israele.

Nel breve periodo, in Iraq vincerà chi saprà fare le mosse giuste per passare dalla parte di Bush – indipendentemente da Allawi, che al momento rimane un po' in ombra. L’attuale capo dello SCIRI, Abdulaziz al-Hakim, la cui Badr Organization ha dato rifugio nel Ministero dell’Interno, si schiera con gli squadroni della morte anti-Sunniti.

Perché è un uomo di Bush? Semplice: perché sostiene la legge di prossima emanazione sul petrolio iracheno – praticamente il sogno delle grandi corporations del petrolio anglo-americane. Muqtada, dal canto suo, vi si oppone fermamente. Dal punto di vista del sistema Bush/Cheney, l’ostacolo è rappresentato da due “peccati” decisivi – l’attenzione di Muqtada ai sunniti moderati per cercare un’alleanza contro gli occupanti e la sua ammirazione per la strategia di Hezbollah. Per non parlare del peccato supremo: Muqtada vuole che il petrolio iracheno sia degli iracheni.

Il piano B degli americani va comunque avanti. Se Maliki non consegna l’esercito Mehdi – cosa che sicuramente non farà – sarà inevitabile un cambio ai vertici del potere iracheno, di matrice americana. O Allawi, "il Saddam senza baffi" o un candidato con la benedizione di Hakim. Hakim sta già manipolando l’escalation statunitense per colpire, allo stesso tempo, i suoi due nemici mortali: la muqawama (la resistenza) e l’Esercito Mehdi. Nessuna meraviglia, dunque, che i capi delle tribù sunnite abbiano cominciato ad accusare gli Stati Uniti di pulizia etnica a Bagdad. Perciò, non c’è modo di creare un nuovo Iraq appellandosi ai sunniti. La muqawama lo sa, e sta già progettando di darsi di volta in volta alla macchia, nascondere il costante flusso di armi comperate con i finanziamenti di privati benestanti arabi e dell’area del Golfo Persico o di ritirarsi da Baghdad e confondersi con la popolazione nella sperduta provincia di al-Anbar.

Il “surge” di Bush ha successo in un contesto di "divide et impera". La battaglia di Sadr City dividerà gli Sciiti al loro interno in un’elite filo-americana (SCIRI e Da’wa) e una milizia di guerriglieri costituita dai disperati (Sadristi): dividerà gli Sciiti dai Curdi (peshmergas dal Kurdistan che uccidono gli sciiti a Baghdad). Infine, continuerà a mantenere gli sciiti e i sunniti su posizioni rigidamente contrapposte (l’altro fronte della battaglia è contro la resistenza arabo/sunnita). Hakim può considerarsi il vincitore. Ma anche Zawahiri si considera certamente tale, certo che dal suo regno ad al-Anbar – guidato da Abu Hamza al-Muhajir – partirà la riscossa. Come la Casa Bianca e il Pentagono, anche al-Qaeda, dopo tutto, insiste sulla sua battaglia a due fronti: contro gli americani e contro gli sciiti.

Con una Bagdad da dividere in nove distretti militari, ciascuno dei quali con il proprio esercito/polizia iracheni e il proprio battaglione americano, la muqawama sta ancor più pregustando l’idea di un facile assedio ai vari “Fort Apaches” che spunteranno in ogni distretto. Quello che è accaduto a Karbala due domeniche fa, è probabile sarà avvenimento abbastanza comune nei territori Fort Apaches: attacchi di commandos guerriglieri travestiti da soldati americani, su convogli americani. E sarà come una sequenza senza fine del film "Black Hawk Down" – proprio come quando un elicottero è stato abbattuto da un vecchio missile russo spalleggiabile SA-7.

Incombe, sopra ogni altra cosa, la terribile prospettiva di una devastante guerra aerea nei cieli di Bagdad, seguita da uno sterminio di sunniti e sciiti, non appena la contro-rivolta fallirà (non c’è niente che tenga: tutti vogliono le truppe Usa fuori dall’Iraq). Ma, dal momento che sono le bombe e i missili americani a definire la linea di confine fra chi è “terrorista” e chi no – si veda il recente bombardamento in Somalia di pastori nomadi spacciati per pericolosi attivisti di al-Qaeda – la nuova “Iraqificazione” non sarà che un vero e proprio disastro, soprattutto per i cittadini di Bagdad, intrappolati dal fuoco incrociato.

Il Pentagono non può allo stesso tempo lanciare la battaglia di Sadr City e combattere sia la muqawama diffusasi ovunque nella parte occidentale di Bagdad, nella zona fuori controllo e in quella controllata, sia al-Qaeda nella provincia di al-Anbar. O forse sì: se le bombe e i missili che piovono dal cielo dovranno essere il supremo giudice che deciderà chi è terrorista e chi non lo è, perché non far fuori tutti qui a terra? Quarant’anni dopo il “uno, due, mille Vietnam” di Che Guevara, ci ritroviamo con “una, due, mille Fallujah”.


Pepe Escobar, giornalista brasiliano, si occupa di questioni del Medio Oriente e dell’Asia meridionale. È stato in Afghanistan e ha intervistato il leader militare dell’Alleanza del Nord, Ahmad Shah Masoud, un paio di settimane prima che venisse assassinato. Due settimane prima dell’11 settembre 2001, era nelle aree tribali del Pakistan, ed è stato uno dei primi giornalisti a raggiungere Kabul dopo la ritirata dei talebani. Pepe Escobar è tra gli autori dell'antologia Tutto in vendita – Ogni cosa ha un prezzo. Anche noi.

 

Fonte: Asia Times
Traduzione a cura di Anna Pietribiasi e Alessandra Ligugnana per Nuovi Mondi Media