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Nessuna tortura. Solo "abusi"

di Robert Fisk - 17/11/2005

Fonte: nuovimondimedia.com


Niente più 'tortura'. 'Abusi' suona molto meglio. Non viene in mente nessun urlo straziante, nessun pianto di agonia. Nessun lacerante grido di dolore. Nessuna discussione sulla predisposizione mentale di coloro che commettono questi abusi “nel nostro interesse”

“Prevalere” è l’espressione che oggi va più di moda negli Stati Uniti d’America. Non è che stiamo per “vincere” in Iraq – perché, come ricorderete, in Iraq abbiamo già vinto nel 2003, quando abbiamo bombardato Baghdad e abbiamo spodestato Saddam, no? George Bush allora dichiarò “Missione Compiuta”.

Ora quindi è tempo di “prevalere”. Questo almeno è ciò che ha dichiarato questa settimana F.J. “Bing” West, ex militare ed ex segretario dell’International Security Affairs durante l’amministrazione Reagan. Promuovendo il suo ultimo libro – ‘No True Glory: A Frontline Account of the Battle for Falluja’ – West ha fornito un quadro preoccupante di ciò che il futuro riserva ai musulmani sunniti dell’Iraq.

Sedevo vicino a Bing – promuovendo anch'io il mio ultimo libro – mentre egli spiegava alla bella e grande New York come il generale Casey aveva imposto i coprifuoco nelle città sunnite irachene, una dopo l’altra, e come i sunniti sarebbero stati “occupati” (ha usato questa parola) dalle truppe irachene fino a quando non avessero accettato la ‘democrazia’. Bing ha parlato del “valore” delle truppe americane – non c’è stata una parola riguardo alle sofferenze del popolo iracheno – e ha insistito sul fatto che gli Usa debbano “prevalere”, perché una vittoria “jihadista” sarebbe impensabile. Mi sono ricordato di ciò che il Duca di Wellington della battaglia di Waterloo disse a proposito dei propri soldati e l’ho applicato a Bing. Non so se abbia spaventato il nemico, ho detto al pubblico presente, ma di certo ha spaventato me.

La nostra apparizione al Council of Foreign Relations – situato in una casetta della 58esima strada zeppa di profonde poltrone e allestita da uno spaventoso impianto di aria condizionata (grazie a Dio siamo solo in novembre) – è stata parte integrante di una serie di presentazioni chiamata “Iraq: la Via d’Uscita”. Via d’uscita? – mi sono chiesto. Bing può tranquillamente credere di “prevalere” sui suoi “jihadisti”, ma io posso affermare altrettanto tranquillamente che il progetto degli Usa per l’Iraq è già svanito, che tale progetto si è rivelato tragico per gli iracheni – solo a Baghdad muoiono 1.000 iracheni ogni mese – e che, se si ha a cuore la pace, gli americani prima se ne vanno da quel paese e meglio è.

Diversi tra il pubblico la pensavano così. Un’anziano signore ha quietamente demolito la presentazione di Bing ricordando il disastro di Falluja quando la città venne “liberata” dalle truppe Usa per la terza volta un anno fa. Io ho gentilmente sottolineato le persone con cui i soldati di Bing e i diplomatici vari avrebbero dovuto parlare se avessero voluto districarsi dal caos che tutti i giorni abbiamo sotto gli occhi – tra cui ex ufficiali iracheni ribelli ma contrari alle azioni suicide, a cui si sarebbe dovuto cercare di assegnare una mediazione con i “jihadisti” una volta che i ragazzi di Bing lasceranno l’Iraq. Per uscire dall’Iraq, ho detto, gli americani hanno bisogno dell’aiuto di Iran e Siria, paesi che – come noto – l’amministrazione Bush sta sistematicamente (non senza una ragione) diffamando. Il silenzio generale ha accompagnato questa osservazione.

È stata una strana settimana per stare per stare in America. A Washington, Ahmed Chalabi [beniamino dei neo-con, il bancarottiere condannato per truffa che ha fabbricato tutta la falsa documentazione esibita dall’amministrazione Bush, NdT] uno dei tre rappresentanti del primo ministro iracheno, è tornato alla ribalta per dimostrare quanto siano pulite le sue mani. Devo costantemente ricordare a me stesso che Chalabi è stato condannato in absentia per un’enorme bancarotta. Era stato Chalabi a fornire alla reporter del New York Times Judith Miller tutte le false informazioni riguardo alle “armi di distruzione di massa di Saddam Hussein”.

Erano stati i compagni di Chalabi a convincere l’amministrazione Bush della presenza di armi di distruzione di massa in Iraq. Era stato Chalabi solo un anno fa ad essere accusato di aver consegnato all’intelligence Usa materiale segreto sull’Iran. È Chalabi ad essere tuttora indagato dall’FBI.

Ma è lo stesso Chalabi che ha parlato all’American Enterprise Institute di Washington, che si è rifiutato di porgere la ben che minima scusa agli Stati Uniti, e che addirittura, come se nulla fosse, ha incontrato diverse volte il Segretario di Stato Usa Condoleezza Rice e il consigliere per la Sicurezza Nazionale Stephen Hadley. Anche il vice presidente Dick Cheney e il Segretario della Difesa Donald Rumsfeld lo hanno incontrato.

Per contro, l’ingenua fotocopia conservatrice di Chalabi [Judith Miller, NdT] è stata sottoposta ad una maliziosa intervista dal Washington Post dopo aver rassegnato le proprie dimissioni al giornale per cui lavorava [il New York Times, NdT] a seguito dello scandalo “Plame-Gate”. La reporter del Post Lynne Duke ha scritto: “’Una parata di tante Judy’ si è presentata all’intervista. Judy insultata. Judy rattristata. Affascinante Judy. Judy cospirativa. Judy, la reporter star del New York Times che diventa vittima, assediata dai fabbricatori di gossip…”. Judy ha proclamato l’intenzione di non voler chiedere nessuna scusa per aver scritto delle false minacce contro gli Stati Uniti, e lo ha fatto freneticamente, con i suoi occhi da crociato colmi di lacrime.

Tutto quello che posso fare è pensare su quanto sia diventata bizzarra la copertura dei media Usa della folle anarchia prossima al collasso che regna in Iraq. Dovrebbe essere il vecchio amico di Judy, Chalabi, il destinatario di un tale trattamento: invece no, egli è tornato alla sua vecchia passione di manipolare l’amministrazione Bush come più gli piace, mentre la stampa Usa oggi piange uno dei suoi reporter coperto da indennizzo per essersi licenziato.

Oggigiorno vivere a New York o a Washington è come vivere in prisma. La “tortura” si trova al di fuori. Nessuna tortura in Iraq, né in Afghanistan né a Guantanamo. Quello che gli americani fanno ai propri prigionieri è chiamato “abuso”. Questa settimana abbiamo passato un momento felice quando Amy Goodman nel corso del suo programma Democracy Now! ha mandato in onda un frammento del bellissimo film “La battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo, del 1965. “Il colonnello Mathieu” – il film si basa anche su episodi realmente accaduti – è stato mostrato spiegare perché la tortura era considerata necessaria per salvaguardare le vite dei francesi. Poi nel video è comparso il vero portavoce di Bush, Scott McClellan, che diceva che egli non avrebbe discusso i metodi degli interrogatori, perché la questione fondamentale rimaneva quella della salvaguardia della vita degli americani.

I giornalisti statunitensi ora parlano di “leggi contro gli abusi”, non di leggi contro la tortura. Certo, abusi suona molto meglio, no? Non viene in mente nessun urlo straziante, nessun pianto di agonia. Nessun lacerante grido di dolore. Nessuna discussione sulla predisposizione mentale di coloro che commettono questi abusi “nel nostro interesse”. E non dimentichiamo che il governo di Lord Blair di Kut al-Amara ha deciso che può essere giusto utilizzare informazioni raccolte grazie a questo sadismo. E con lui è d’accordo anche Jack Straw.

È stato un sollievo viaggiare fino agli archivi nazionali Usa nel Maryland per ricercare materiale sui tentativi statunitensi di dare vita, successivamente alla Prima Guerra Mondiale, ad una grande democrazia araba, a un’unica nazione musulmana che si estendesse dal confine con la Turchia alla costa atlantica del Marocco. Le truppe militari e i diplomatici vari cercarono di portare a compimento tale progetto in un unico breve momento della storia americana nel Medioriente. Ahimè, il presidente Woodrow Wilson morì: gli Stati Uniti diventarono isolazionisti, le vittorie francesi e britanniche fecero a pezzi il Medioriente per i loro esclusivi tornaconto.

Tutto ciò ha prodotto la tragedia con cui ci troviamo a che fare oggi. Prevalenza, appunto.

 

Fonte: http://www.selvesandothers.org/article12165.html
Tradotto da Luca Donigaglia per Nuovi Mondi Media