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I Dico. Qualche riflessione senza (si spera) pregiudizi

di Carlo Gambescia - 12/02/2007

 

E’ possibile fare un’analisi “empirica”, senza pregiudizi, dei Dico? Proviamo.
Partiamo dal fenomeno delle coppie conviventi. Quante sono in Italia? Secondo i dati del Lemur (www.lemur.unisa.it ) sarebbero il 3,6 % (2001) di tutte le coppie: circa 500 mila coppie su 14 milioni di coppie: un milione di persone su 28 milioni. Inoltre una coppia non coniugata su due non avrebbe figli . Esiste un’ emergenza sociale? Lasciamo giudicare al lettore.
Tuttavia il problema della percezione concreta di un’ emergenza sociale non è secondario. Perché, una volta che la si è inserita nell’agenda politica, si mette subito in moto la “macchina” legislativa pubblica. Una dinamica, che spesso, come nel caso delle coppie conviventi, implica la regolamentazione pubblica anche di un ambito privato, come quello dei diritti civili. Diritti, che se per un verso acquisiscono rilevanza pubblica, per l’altro cessano di essere squisitamente privati. Cosa vogliamo dire? Che in genere la legiferazione ( anche fin di bene) rappresenta sempre un rischio per la libertà individuale, perché lo Stato, di regola, quel che dà al cittadino con un mano, con l’altra lo toglie: conferisce diritti ma delimitandoli, spesso in modo ferreo. E soprattutto, apre la strada all’ intervento di terzi: giudici, avvocati e burocrazie. Ma su questi aspetti torneremo più avanti.
I difensori del progetto di legge Pollastrini-Bindi sostengono che il provvedimento non avrà conseguenza sulla solidità della famiglia. I critici sostengono il contrario. Ma qual è lo stato di salute della famiglia italiana? Qualche dato, tratto dal Rapporto Eures 2006 (www.eures.it ) sulla famiglia, probabilmente aiuterà a capire meglio la questione. Il che, pur non essendo molto giornalistico, è necessario.
L’andamento del numero dei matrimoni in Italia nell’ultimo trentennio (tra il 1975 e il 2005) segna una costante diminuzione (-32,4%, con un calo medio annuo dell’1,1%), passando da 373.784 nel 1975 (indice pari a 6,7 ogni 1.000 abitanti) a 250.974 nel 2005 (4,3 ogni 1.000 abitanti). L’età media degli sposi è salita negli ultimi tre decenni di 7 anni tra gli uomini (da 26,3 anni nel 1975 a 33,2 nel 2003) e di oltre 5 anni tra le donne (da 24,4 anni a 29,9), con un aumento costante nell’intero periodo. Tra il 1975 ed il 2005 sono cresciuti i matrimoni celebrati con rito civile (da 31.317 a 81.339) rispetto a una consistente diminuzione di quelli religiosi (da 342 mila nel 1975 a meno di 170 mila nel 2005). Dal 1995 al 2004 crescono anche le separazioni (+59%, da 52 a 83 mila) e i divorzi (+66,8%, da 27 a 45 mila). Nel 2004 si contano, in totale, oltre 128 mila separazioni e divorzi (rispettivamente 83.179 e 45.097), cioè 352 sentenze al giorno, pari a circa una ogni 4 minuti: quasi una coppia due si è divisa ( separata o divorziata). Negli anni Settanta-Ottanta il 15 % dei matrimoni si chiudeva con la separazione mentre nel 2004 le media è salita a circa il 30 % . Il dato indica una “mortalità matrimoniale crescente”, le cui reali dimensioni, in termini di divorzi, per l’ultimo decennio, saranno visibili soltanto a distanza di altri 10-15 anni. Più a rischio risultano i matrimoni celebrati con rito civile,che registrano un tasso di divorzi maggiore che per i matrimoni religiosi (con valori doppi per i matrimoni celebrati nel decennio 1975-1985). Il più alto numero di separazioni si verifica tra il terzo ed il quinto anno di matrimonio:tra le separazioni censite nel 2003, una ogni 7 (il 13,6%) riguarda matrimoni celebrati da non più di tre anni; una su 4 (24,9%) i matrimoni celebrati negli ultimi 5 anni, e una ogni 3 (34,2%) nei primi 7 anni. L’aumento dei divorzi e delle separazioni in Italia ha avuto come diretta conseguenza un incremento delle famiglie monogenitoriali e di figli affidati: nel 2004 il numero di minori affidati in casi di separazione è 64.292, e quello degli affidamenti nei divorzi 21.175. Dal 1980 al 2004 vi è stato un aumento del 117%, relativamente ai figli minori di separati, e del 193% per quanto riguarda i figli di divorziati (erano 7.235 nel 1980). Per quanto concerne il tasso europeo di divorzi, Estonia, Lettonia e Repubblica Ceca hanno “l’indice di divorzialità” più alto in Europa ( 3,1 divorzi ogni 1.000 abitanti). Per contro Irlanda e Italia, due paesi con una forte tradizione cattolica, registrano invece i valori più bassi (0,7 divorzi ogni 1000 abitanti).
Ora, in tale quadro, negativo per quel che riguarda il futuro della famiglia, ma positivo per la crescente libertà dei singoli, il disegno di legge Pollastrini-Bindi va chiaramente in quest’ultima direzione. Tuttavia, benché i Dico sembrino essere più liberali perché meno impegnativi giuridicamente, la loro sempre possibile rescissione (visto che sanciscono diritti e doveri, si pensi solo all’educazione dei figli e agli alimenti) potrebbe richiedere l’intervento di specialisti: avvocati o comunque consiglieri legali. Una ricaduta che rischia di provocare un aggravio di lavoro e spese per le strutture giudiziarie. Di qui, certo nostro scetticismo sulla diminuzione dei costi economici per i singoli (a seguito di quei contenziosi, che inevitabilmente sorgeranno). Ma anche per la giustizia civile nel suo insieme. Ma possono farsi anche altre ipotesi.
La maggiore “volatilità” dei Dico, visto il già levato “indice di divorzialità” dei matrimoni civili, potrebbe accrescere il numero delle “unioni-Dico” monogenitoriali e di figli-Dico in affidamento. Inoltre, la facilità di stipularli, potrebbe far scendere l’età media dei membri delle “unioni-Dico”, e così far crescere il rischio di partner troppo giovani, ancora meno maturi e responsabili. Tra l’altro, si tratta di valori caratteriali specifici che una società, come la nostra, che teorizza il disimpegno “presentista” e pratica la precarizzazione lavorativa, non favorisce affatto neppure tra gli adulti. Ed è una grave contraddizione “sistemica”, probabilmente insolubile: i diritti civili “forti”, auspicati dal liberalismo politico, domandano una società civile moralmente coesa, mentre la libertà assoluta di comprare e vendere, praticata dal liberalismo economico, la mercifica e disgrega. I Dico, per “funzionare”, dovrebbero fondarsi proprio su quel rispetto per l’Altro e quella sensibilità interiore (così diversa dall’imperante mordi e fuggi relazionale) che il mercato globale liberista, progredendo, distrugge in modo sistematico.
Questo è quanto, almeno sul piano “empirico”. Dopo di che spetta a ognuno di noi, fare i conti con la propria coscienza, soppesando le ragioni avanzate dagli opposti partiti ideologici.