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Coscienze in letargo

di Alain de Benoist - 13/02/2007

   
 

Gruppo Opìfice. Assistiamo complici all'invasione degli psicofarmaci nelle nostre vite, trascurando l'effetto di questi nelle relazioni interpersonali e nei rapporti genitore-figlio. Di più sembriamo affidarci totalmente ai farmaci come se questi avessero il potere di colmare il deficit di senso che guida la nostra epoca. I tempi sono mutati cosÏ radicalmente da autorizzare la ridiscussione dei metodi di educazione dei bambini, oppure assistiamo all'ennesimo tentativo di colonizzazione di nuove fette di mercato, e quindi un bisogno indotto?

Alain de Benoist. Le conoscenze scientifiche relative alla chimica del cervello sono considerevolmente aumentate negli ultimi vent'anni. Hanno consentito la messa a punto di medicinali più efficaci rispetto ad altri metodi, soprattutto psicanalitici, che si adoperavano prima. Non c'è da stupirsi né da rimpiangerli.
In compenso ciò che si può deplorare è la “medicalizzazione” dell'esistenza, oggi patrocinata da uno “Stato terapeutico” (Christophe Lasch), sempre più materno e che tende ad indirizzare le condotte di ciascuno in funzione di norme redatte da una sorta di clericato sanitario.
Lo sviluppo prodigioso del consumo di antidepressivi, tranquillanti ed altri psicofarmaci (la Francia è campione del mondo in questo campo) attesta peraltro il malessere e le difficoltà di vita di molte persone. Questo consumo è evidentemente incoraggiato dai grandi laboratori farmaceutici, che ne ricavano un beneficio finanziario considerevole, ma è altresì esplicativo di una tendenza più generale, sebbene non avvalorata, che tende a far credere alle persone che i problemi sociali che essi affrontano si riducono a difficoltà psicologiche individuali.
Ciò che dovrebbe essere oggetto di misure politiche è così rimesso alla sfera privata dissimulando in tal modo la vera natura dei problemi sociali. In fin dei conti gli antidepressivi diventano un mezzo utilizzato per adattare l'individuo ad uno stile di vita che smetta di suscitare in lui un profondo malessere.
Oggigiorno viviamo in un'epoca dove l'individualismo ha finito per creare un vero narcisismo generazionale. Il narcisismo consiste nel considerare se stesso non solamente come l'oggetto del proprio desiderio ma come il fine di tutto. Una tale predisposizione dello spirito nutre delle aspirazioni che non possono essere soddisfatte, ingenerando pertanto la depressione.
Gli antidepressivi curano la depressione, ne attenuano gli effetti, ma non intervengono sulle cause, che non sono tutte da ricercare all'interno dell'individuo ma altresì in un modo di esistenza sociale strutturalmente deprimente.
 

Gruppo Opìfice. Le recenti manifestazioni studentesche in Francia testimoniano che buona parte del mondo giovanile teme seriamente che il proprio futuro possa rivelarsi incerto e instabile. L'avvento della tanto celebrata mobilità sul lavoro ha provocato soltanto forti dimostrazioni di intolleranza verso le istituzioni. C'è in queste tendenze il germe di una nuova coscienza capace di ridiscutere il percorso tracciato dalla globalizzazione?

Alain de Benoist. Nell'epoca della modernità trionfante, l'ideologia del progresso fa credere a ciascuno che il domani sarà necessariamente migliore. Questa ideologia è oggi in crisi e l'avvenire appare alla maggior parte della gente come portatore più di minacce che di promesse. Alla società piramidale, dove la ricchezza accumulata alla sommità finisce per ridiscendere poco a poco alla base, permettendo così un'ascesa generale del livello di vita, si è sostituita una società insabbiata, dove i ricchi sono
sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, tanto che la classe media è per la prima volta da tanto tempo minacciata di declassamento.
La visione pessimistica che ne risulta è particolarmente marcata presso i giovani, i quali sanno che il lavoro tende a divenire un bene raro nel mondo, dove la crisi è ormai strutturale, e non più solamente congiunturale.
Le manifestazioni a cui voi vi riferite esprimono perfettamente il loro timore. Il problema è che i giovani d'oggi, a differenza dei loro genitori e dei loro nonni, non hanno conosciuto fin dalla loro nascita che un solo modello di società.
Per loro è dunque estremamente difficile immaginarne un altro, fintanto che il messaggio implicito quotidianamente espresso dai media è precisamente che non esista alternativa possibile, che noi viviamo nella meno peggiore delle società, ovvero nella sola possibile, e che se fosse possibile riformarla o migliorarla a margine, risulta comunque impossibile cambiarla (E' il sistema che gli anglosassoni riassumono nella formula "There is no alternative"). La loro inquietudine si inscrive dunque sull'orizzonte della fatalità.
E' la ragione per la quale io sono abbastanza scettico sulla presa di coscienza che voi evocate. Per ora siamo abbastanza lontani. I giovani non manifestano mai per dire la loro sul mondo in cui vivono ed esigere l'avvento di un altro tipo di società, ma unicamente per reclamare migliori condizioni di lavoro e garanzie concernenti il loro avvenire professionale.
Ciò che essi domandano, in fin dei conti, è più aiuto, più sicurezza, più protezione da parte dei poteri pubblici. Essi criticano le istituzioni dello Stato ma prima di tutto rimproverano loro di non garantire un impiego. Le loro manifestazioni traducono beninteso un profondo malessere ma altresì una grande passività da parte loro ed una certa irresponsabilità nella misura in cui non sembrano decisi a prendere essi stessi in mano il proprio avvenire. La rivoluzione non è decisamente più all'ordine del giorno. E' la ragione per cui la società si dirige non verso un'esplosione ma verso un'implosione.


Gruppo Opìfice. Da qualche tempo in Italia, e più in generale nel cosiddetto mondo occidentale, si è aperta la discussione sulle cause occulte che si celano dietro l'11/9. Anche in questo caso si può parlare di un risveglio delle coscienze oppure la voglia di andare a fondo del problema è solo superficiale e quindi ancor più pericolosa?

Alain de Benoist. Le circostanze esatte in cui si sono svolti gli eventi dell'11 settembre rimangono ancora oggi avvolte da un certo mistero. Il mistero sollecita l'immaginazione, che tende allora a sviluppare tutta una sorta di ipotesi, inquietanti o rassicuranti, per tentare di rispondere alle domande che ci si pone. Io non interpreto questo come un risveglio delle coscienze, ma piuttosto un esempio supplementare, all'interno della politica internazionale, d'una certa tendenza al complottismo . Noi viviamo d'altronde in una società senza difese, dove tutto ciò che ieri dava senso all'esistenza tende a
sparire o a dissolversi, tanto che le nuove minacce onnipresenti generano paure o angosce, che costituiscono esse stesse un terreno privilegiato per tutta una serie di fantasmi.
E' legittimo porsi delle questioni sull'11 settembre, e non è in sé sbagliato rigettare le spiegazioni ufficiali, visibilmente insufficienti o dubbiose che ci vengono date. Ma credo che queste ipotesi siano da vagliare attentamente attraverso un sincero spirito critico, oggi più che mai offuscato dal conformismo di massa e da un gusto esasperato per il “mistero” e per le “cospirazioni invisibili”. In sostanza, il medesimo che su tutt'altro piano ha decretato il successo del mediocre "Codice da Vinci".


Gruppo Opìfice. Recentemente proprio Lei ha commentato la posizione della sinistra italiana sulla politica estera USA. (Nella fattispecie discutendo le dichiarazioni del ministro degli esteri D'Alema.) E' evidente che non esiste un soggetto politico che sia in grado di imporsi come reale alternativa al sistema targato Washington. Ciononostante spesso è proprio dal popolo della sinistra militante che giungono gli inviti più forti alla pace e al ritiro delle truppe dall'Iraq. E' questa sorta di sdoppiamento ideologico il vero limite della nostra democrazia?

Alain de Benoist. Non ci sono oggi alternative reali al sistema globale nel quale si afferma l'egemonia della superpotenza americana, ma ci sono sempre degli spazi nei quali la volontà politica può agire. A questo riguardo, mi domando veramente perché i soldati italiani che sono stati inviati in maniera irresponsabile a sostegno delle truppe d'occupazione americane non siano stati ancora richiamati a casa.