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Se Proni è prono

di Gabriele Adinolfi - 23/02/2007

La crisi della maggioranza a cosa darà vita? Quali ipotesi per il futuro immediato?
Cosa accadrà? Ora che ha capitolato, la sinistra si trincera dietro il complotto clerico-americano. Suggestivo ma non troppo credibile visto che i franchi tiratori che l'hanno impallinata sono i radical-comunisti Rossi e Turigliato, difficilmente annoverabili tra i cospiratori guelfomassonici. Che Cossiga, Scalfaro Andreotti e Pininfarina – senatori a vita del blocco bigio – abbiano votato contro oppure, astenendosi, abbiano contribuito a sfiduciare Prodi, può anche essere letto nella chiave complottista fornita dai propagandisti rossi (di un rosso pallido per la verità); ma sembra più un'uscita ad effetto che non un'analisi corposa. Il problema è che, come si sapeva da dieci mesi a questa parte, in Senato la maggioranza non ha i numeri e questo le rende arduo il cammino. Per saltare gli ostacoli l'armata brancaleone del Gran Bancarottiere necessitava di una serie di espedienti e di strappi che ha avviato disinvoltamente e da subito. Ora però si è trovata di fronte all'intoppo, è inciampata e ci si chiede un po' tutti se si rialzerà.

Perché questo è il nodo reale della questione. E i comportamenti interni al gran puzzle liberal/stalinista messo in piedi dal centrosinistra ultimamente sono apparsi diversi rispetto al recente passato. Da qualche settimana si sussurra (e si grida) in ambienti del giornalismo politico che diversi alleati ne avrebbero abbastanza del Presidente del Consiglio. Per i dico? Per Vicenza? Per l'Afghanistan? Per la finanziaria? Macché: perché la distribuzione dei pani e dei pesci del potere politico sarebbe stata alquanto iniqua e l'ingordigia di clan avrebbe caratterizzato certe scelte e certe nomine. Se questa spiegazione (profondamente credibile se teniamo in conto i valori che muovono la politica di oggi) è valida, perché si ridia ossigeno al Frankenstein uscente saranno necessarie profonde e durature redistribuzioni. Del resto a giudicare dagli interventi pubblici di Di Pietro, da certe affermazioni dei d'alemiani, da certe posizioni di Mastella, la guerra sembra aperta. Il fronte si ricompatterà? Il bottino (del sottopotere politico) verrà ridistribuito fra i vari proci? È possibile. Altrimenti l'ipotesi più concreta è che si torni alle urne, ma dopo il varo di una nuova riforma elettorale. La quale dovrebbe tenere conto degli accorpamenti avviati (L'Ulivo che lancia il Partito Democratico, Forza Italia e AN che puntano al partito federato della Cdl) o comunque in avvio (le varie DC). Dovrebbe tenere conto però anche delle costole “estreme” (comunisti e verdi; radicali; leghisti e, in subordine, neomissini se qualcuno intenderà operare per ricomporre dall'alto gli spezzoni residuali). In questo caso appare difficile la riproposizione di un confronto frontale esteso con disinvolte coalizioni arlecchinanti, come fu quello dello scorso aprile. Sembra probabile che ci si stia preparando all'avvento di un bi/tripolarismo (o meglio di un bipolarismo che dovrà tenere sempre in conto strategico il centro, esiguo ma costantemente decisivo). Un bi/tri/polarismo che almeno in un primo tempo dovrà garantire la presenza di alcuni partiti-satellite.

Ci troviamo allora a un passo dalla ricostruzione della Prima Repubblica, con pluripartitismo e sistema proporzionale? Non credo sia questo che hanno in mente bensì una nuova alternativa. La soluzione più logica per far tornare i conti e per rispettare le diverse esigenze sarebbe un sistema elettorale alla francese, ovvero con il doppio turno. Il che permetterebbe alle forze non omologatissime di destra e di sinistra di partecipare ad alleanze non organiche, di ottenere i risultati e i compensi senza perdere troppo la faccia ma di non essere mai messi in condizioni di mettere in crisi il governo. Ma non è detto che si voglia adottare la soluzione più logica: staremo a vedere. Tanto per cominciare scopriremo se i pani e i pesci verranno redistribuiti; poi, solo poi, scopriremo il resto.