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La distinzione destra/sinistra non consente di interpretare il presente e di affrontare il futuro

di Roberto Zavaglia - 24/02/2007

Che l’economia sia il fattore decisivo per vincere le elezioni e per mantenere in sella o defenestrare i governi lo sentiamo ripetere, in Occidente, da decenni. Il governo Prodi, però, è caduto sulla politica estera e, a nostro avviso, non è affatto sorprendente. Perfino in Italia, un Paese che, negli ultimi decenni, non si è certo distinto per autonomia di azione, le decisioni internazionali non possono essere più prese “in automatico”. Il mondo sbloccato dalla fine della guerra fredda impone a tutti gli Stati scelte di campo inedite in un contesto internazionale profondamente mutato. Le coalizioni politiche, nel nostro Paese ma non solo, fanno finta di non accorgersene e proclamano la continuità o, come ha fatto D’Alema al Senato, una superficiale e inefficace discontinuità all’interno delle “tradizionali grandi scelte di campo della nazione”. Il problema è che quelle scelte, vecchie di oltre sessant’anni, non corrispondono alla realtà degli attuali equilibri internazionali e gli impegni che ne derivano sono molto diversi da quelli assunti a suo tempo. A meno di non credere che la Nato sia ancora una garanzia contro l’orso sovietico…

  Adesso, nel centrosinistra, se la prendono tutti con gli “scellerati” Fernando Rossi e Franco Turigliatto, liquidati come agenti più o meno consapevoli del nemico Berlusconi. I due esecrati dissenzienti, poveracci, si sono invece comportati coerentemente con quello che la sinistra radicale è andata affermando, in questi anni, rispetto alle guerre statunitensi e all’unipolarismo di Washington. I vertici dei loro partiti, però, quei proclami li pronunciavano senza credervi, consapevoli che vi avrebbero rinunciato per far vincere la propria squadra con qualunque “modulo tattico” avesse scelto di giocare. E’ la contraddizione del centrosinistra che finge di dare rappresentatività anche agli esponenti di istanze “non allineate” e poi grida al tradimento quando i suoi eletti tali istanze le vogliono rappresentare per davvero. Rossi e Turigliatto non sono né venduti né traditori, ma hanno, al contrario, assolto con onestà al mandato affidatogli dai propri elettori, i quali sono contrari alla guerra in Afghanistan, alle basi Usa in Italia e a tante altre decisioni del governo Prodi. Anche il centrodestra soffre dello stesso male, sia pure in misura minore perché, a differenza dei suoi avversari, più che su ideali e convincimenti i suoi elettori si schierano per umori e idiosincrasie. E’ passato quasi inosservato il fatto che, alcuni giorni fa, Berlusconi abbia sottoscritto con Bossi un patto in cui addirittura ”riconosce” la Padania. Qualsiasi cosa ciò significhi, si tratterebbe di un evento clamoroso: l’auspicio di una specie di secessione, altro che i dissensi nel centrosinistra sul Dal Molin. Tutti sanno, però, che i due battutisti non vanno presi su serio perché le trattative vere le fanno su altre cose.

  Il centrosinistra, che pure era riuscito ad approvare una Finanziaria indigesta per molte sue componenti, paga le proprie divisioni sulla politica estera perché questo è l’ambito in cui, oggi, la sovranità ultima dello Stato entra in gioco, con la scelta di fare o meno la guerra. La sinistra di governo ha evitato di compiere un’analisi organica delle conseguenze, per il nostro Paese, dei cambiamenti verificatisi dalla fine del bipolarismo in poi. Continuare ad invocare il totem dell’Onu non serve a nascondere, agli occhi di una parte del suo elettorato, che, dall’aggressione contro la Iugoslavia in poi, l’appartenenza alla Nato significa l’adesione a una organizzazione militare offensiva, con i conseguenti obblighi di partecipazione ai combattimenti che, adesso, i nostri alleati ci chiedono sempre più apertamente in Afghanistan. Nel programma di governo tematiche di questo genere, che avrebbero immediatamente spaccato la coalizione, non sono state affrontate. Si è preferito dare l’immagine buonista di un esecutivo che partecipa alle guerre ma senza sparare, che sta nella Nato ma sogna l’esercito dell’Onu, che è fedele agli Usa ma allarga le sue basi solo perché l’aveva già deciso Berlusconi. Il centrodestra, in politica estera, una sua coerenza, invece, l’aveva e consisteva nell’allinearsi pedissequamente alle decisioni di Washington. Il tifo sfrenato per gli Usa, con l’aria che tira, potrebbe però costare caro a un nuovo, ipotetico governo della Casa delle Libertà se, in Afghanistan o magari anche in Iran, l’ “amico americano” richiedesse prove concrete della fedeltà proclamata, con più o meno abbondanti tributi di sangue tricolore…

  E’ possibile che la crisi del governo Prodi sulla politica estera venga presto rabberciata in qualche modo, ma quanto è avvenuto ha forse aperto gli occhi a una parte dell’opinione pubblica sui limiti del nostro bipolarismo. Si è potuto comprendere che entrambe le coalizioni, di fatto, non possono fuoriuscire dalla logia dell’occidentalismo che riconosce in Washington la capitale universale. E’ apparsa evidente l’assenza di una reale rappresentanza per chi pensa – e ve n’erano molti anche simpatizzanti per il centrodestra, fra i cittadini di Vicenza in piazza contro l’ampliamento della base Usa- che il destino dei popoli non debba essere deciso sulla base di scelte adottate per un mondo che non esiste più. Ancora più che in altre questioni, in quelle di politica internazionale la distinzione destra/sinistra non consente di interpretare il presente e di governare i mutamenti futuri. E’ su ben altro che occorrerebbe contrapporsi: multipolarismo regionale o egemonia Usa, autonomia politica e militare europea o obbligo di alleanza con Washington, primato della politica o della guerra, rispetto delle identità o imperialismo. Tutte questioni che, ovviamente, non trovano spazio nelle consultazioni di queste ore al Quirinale.