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Il rapporto uomo-natura nella religione cristiana

di don Marco Belleri - 27/02/2007


Si imparano più cose nei boschi che non nei libri.
Gli alberi e le rocce vi insegneranno cose che voi non sapreste comprendere in altro modo.
Vedrete da voi stessi che si può ricavare miele dalle pietre e olio dalle rocce più dure
(S. Bernardo, epist. 101)
 
 
E vieni ancora a dirmi che tu sei povero!
Sai cosa faccio io: ti do’ proprio ragione.
Perché povero è colui che ha bisogno di molte cose.
E voi, infatti, siete poveri della vostra insaziabile avidità
(S. Basilio)
 
 
IL RAPPORTO UOMO-NATURA NELLA VISIONE CRISTIANA
 
 
Affrontare questo argomento non è semplice, sia perché la Chiesa è una realtà vasta e complessa, e all'interno di essa, al di là del nucleo essenziale della fede molto brevemente riassunto nel Credo, ci sono sottolineature diverse su vari argomenti; sia perché essa non è una realtà astratta ed è quindi condizionata dal pensiero circostante. Per questo non sempre e non in tutti gli ambiti la riflessione è stata chiara né la risposta pratica coerente. E' possibile tuttavia dare un quadro del pensiero della Chiesa sull'argomento partendo dai riferimenti indiscutibili della Bibbia e da vari documenti del Papa; indicherò poi alcune delle conseguenze pratiche che la natura, nel suo rapporto con Dio Creatore, sembra mostrare abbastanza chiaramente all'uomo.
 
 
VISIONE BIBLICA, STORIA E MAGISTERO
 
Il Vecchio Testamento
Per la visione biblica il cosmo è un elemento essenziale dell' identità dell'uomo nel mondo. L'uomo ha la sua signoria sul mondo, ma soggetta alla superiore signoria di Dio. Da qui nasce da un lato la relativizzazione della natura rispetto a Dio, dall'altro la sua valorizzazione come Sua opera e quindi messaggio preciso per l'uomo, chiamato ad ascoltare in essa un'eco della Parola divina di cui è frutto.
Nella Bibbia creazione e salvezza sono due aspetti inscindibili dell'azione di Dio; la prima è  l'inizio permanente della seconda, il terreno vitale, e non solo strumentale, in cui mette la sua base l'azione di Dio.
L'uomo non è visto, come nel dualismo greco, come un composto di anima e corpo, ma come una unità in cui lo spirito (rapporto con Dio), l'anima (soggettività aperta) e il corpo (relazione con i propri simili e con la natura) sono diversi aspetti della totalità dell'uomo. In questa visione l'ascesi biblica non nasce dalla lotta dello spirito contro il corpo e la materia, ma dalla necessità di ordinare, faticosamente dopo il peccato, le relazioni con le creature secondo le esigenze dello Spirito, cioé nel rispetto della volontà di Dio.
Un altro aspetto dell'unità della visione biblica è nella continuità tra l'atto creativo iniziale e la cura continua di Dio per tutte le sue creature (ad es. sal 104,13; 145,15; 147,8). Spesso nel passato si è creata una divisione tra i due aspetti, accentuando la fede in Dio creatore onnipotente a scapito del Dio che si prende cura delle sue creature. E questo ha portato a vedere l'uomo, immagine del Dio onnipotente, come dominatore della natura, più che curatore provvidente. La Genesi mostra l'uomo partecipe della dignità del Creatore, che si prolunga attraverso la custodia e il dominio; ma questo antropocentrismo biblico non vuole certo dare carta bianca per lo sfruttamento; la signoria dell'uomo, vertice del creato, deve essere in armonia con quella di Dio, cioè basata sulla sapienza e sull'amore di Dio stesso, secondo l'immagine divina ricevuta. Purtroppo questa verità viene spesso dimenticata o travisata.
Nella preghiera biblica tutto il Creato canta le lodi di Dio, ne esprime la sapienza, la grandezza e la bontà. E l'uomo è invitato ad associarsi al coro delle altre creature  per lodare all'unisono il comune Signore. Questo “associarsi” significa anche ascoltarne la voce, perchè le cose non sono semplicemente oggetti d'uso, ma sono anche creature ricche di significati che aiutano l'uomo a cogliere e a realizzare la propria missione nel mondo, che lo spingono a cogliere i valori in esse racchiusi, assumendoli nei progetti di crescita personale, di sviluppo sociale, di umanizzazione del mondo.
 Nell'ottica biblica ha valore la realtà concreta nella sua singolarità, non le astrazioni. L'uomo biblico sale a Dio partendo dalle cose sensibili, come il platonico, ma non fuggendole bensì passando in mezzo ad esse e amandole per quello che sono. Di conseguenza anche la molteplicità e il divenire delle cose non sono visti come conseguenza di un imprigionamento nella materia -alla maniera greca- ma come frutto di una particolare benedizione di Dio. Il divenire allora non è diminuzione, dispersione dell'essere, ma sviluppo, realizzazione progressiva del progetto creativo di Dio. Si capisce allora anche l'enorme differenza nel parlare delle cose: l'uomo greco tende a definire, a tracciare i confini, quello biblico tende a raccontare, cioé a descrivere i rapporti (segno che non si può incapsulare l'infinita ricchezza della realtà).
Infine, il mondo materiale non è come un velo che nasconde l' “idea”, ma una realtà carica di significato, un messaggio che si rivolge all'uomo e che può essere da lui compreso.
 
Il Nuovo Testamento
La visione del Nuovo Testamento mette ancora più in chiaro la partecipazione della natura al grande disegno d'amore del Padre, che ha al centro Gesù. Il mondo è creato in Cristo e per Cristo; S.Paolo e S.Giovanni affermano con forza l'unità del piano divino di creare e salvare il mondo (vedi ad es. Gv 1,1ss; Col 1,15-20; Eb 1,2-3; At 17,24). Il fatto che al centro del disegno di Dio ci sia la sua venuta nella natura umana, dà la massima dignità alla materia, assunta nel corpo di Cristo come luogo privilegiato in cui  Dio si comunica all'uomo: in un volto di carne brilla la gloria di Dio. Per la tradizione orientale l'incarnazione del Verbo è il trionfo di tutta la creazione. Nello splendore di Gesù S.Paolo intravede il destino a cui Dio chiama non solo l'uomo, ma anche l'universo intero, che non è visto come qualcosa da demolire, ma come un tutto solidale con l'uomo che avrà parte con lui nella vita eterna (vedi Rm 8,19-22).
Un'ulteriore conferma della dignità delle realtà create viene dalla fede nella risurrezione dei corpi. Un corpo capace di vita eterna era una prospettiva completamente estranea all'umanesimo greco, ma esprime bene la visione biblica della salvezza che abbraccia tutti gli aspetti della creazione.
 
La storia
Il cammino teologico successivo, pur riconoscendo la natura come il primo messaggio di Dio all'uomo, non sempre ha portato nella giusta direzione le conseguenze di questo pensiero. Spesso la natura, specie nella Chiesa occidentale, è stata vista in stretta relazione col peccato. In generale, comunque, questo argomento è stato abbastanza accantonato nella riflessione teologica, almeno come aspetto centrale. E questo abbandono ha permesso lo svilupparsi di una visione distorta all'inizio dell'era moderna; con Bacone il sapere umano, che prima serviva per l'orientamento morale dell'uomo, diventa capacità di dominio; con Cartesio la complessità della realtà diventa semplicemente “estensione”, consegnata all'intervento manipolatorio dell'uomo e della sua scienza, tutt'altro che universale; Galileo pretende di imprigionare la realtà nel calcolo matematico e nella  verifica sperimentale, secondo dei criteri 'scientifici' che ben poco possono cogliere la complessità della vita (chissà che la sua condanna, al di là dei modi e dei termini discutibili, non fosse in realtà una profezia!). I teologi cristiani hanno accettato spesso acriticamente questo atteggiamento che ci porta a impadronirci della natura per i nostri scopi umani, giustificandolo anche con un uso inappropriato dei testi biblici 
 Un tentativo di ripensamento è iniziato dopo che la tradizione ebraico-cristiana è stata accusata, a partire dagli anni '60, di essere una delle cause principali del dissesto ambientale a motivo della sua visione dell'uomo come dominatore della natura.
 
Giovanni Paolo II
Questo ripensamento del rapporto con la creazione è frequentemente presente nelle parole di Giovanni Paolo II, che sottolinea, tra l'altro, il valore morale della crisi ecologica.
"[L'uomo] pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma e una destinazione anteriore datale da Dio, che l'uomo può sviluppare, ma non tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera della creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e così finisce per provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui. Si avverte in ciò, prima di tutto, una povertà o meschinità dello sguardo dell'uomo, animato dal desiderio di possedere le cose anziché di riferirle alla verità, e privo di quell'atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l'essere e per la bellezza, il quale fa leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile” (Centesimus Annus 37).
"Il dissesto ecologico, che suppone sempre una forma di egoismo anticomunitario, nasce da un uso arbitrario delle creature, di cui si violano le leggi e l'ordine naturale, ignorando o disprezzando la finalità che è immanente all'opera della creazione" (La creazione e la legittima autonomia delle cose create, in Insegnamenti IX, 1 (1986) 903 ).
"L'insieme delle creature costituisce l'universo, il cosmo visibile e invisibile, nel cui complesso e nelle cui parti si riflette l'eterna Sapienza e si esprime l'inesauribile Amore del Creatore" ( La creazione è la rivelazione della gloria di Dio, op.cit 37-40).
"Fin dai tempi dei Padri della Chiesa si è consolidato l'insegnamento secondo cui il creato porta in sé 'le vestigia della Trinità'. Esso è opera del Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo.[...] Le singole creature non sono soltanto'parole' del Verbo, con cui il Creatore si manifesta alla nostra intelligenza, ma sono anche 'doni' del Dono: esse portano in sé l'impronta dello Spirito Santo, Spirito Creatore" (La creazione è opera della Trinità, in op. cit. 617).
Da queste e da tante altre parole del Papa è chiaro che la natura non è solo una freccia direzionale per indicarci la presenza di Dio, come quasi sempre è stata intesa nella Chiesa, ma ha una sua ricchezza intrinseca che nasce da questo legame e diventa per l'uomo una maestra di vita concreta. Purtroppo però diventa difficile fare il passo successivo e capire cosa questo insegnamento significhi nella concretezza delle scelte. Senz'altro nel campo della sessualità la natura è una guida importante che non può essere messa da parte in nome di alcuna visione storicista-esistenzialista, ma deve essere una guida anche in tanti altri campi in cui è invece ignorata.
 
 
LE INDICAZIONI DELLA NATURA
 
Non è facile, ma è comunque possibile cercare di risalire ad alcune delle indicazioni della natura che sembrano più evidenti, anche se dimenticate dalla nostra civiltà. Per un cristiano gli insegnamenti della creazione sono in realtà gli insegnamenti di Colui che è all'origine di tutto ciò che esiste. La venuta di Gesù porta sicuramente ad andare anche al di là della natura, la supera; ma questo non avviene distruggendo le sue indicazioni per rifarne di nuove, bensì permettendo all'uomo di entrare nella vita stessa di Colui che ne è l'origine, guardandola con lo stesso amore di Chi ce l'ha data come madre e sorella e maestra di vita terrena. Ma l'aspetto pratico, concreto, del suo insegnamento rimane importante per il cristiano come per tutti i popoli, che da sempre traggono da essa non solo il cibo ma anche i principali insegnamenti della vita.
 
Sacralità, rispetto e mistero
Il riferimento a Gesù come principio e sapienza creatrice di tutto ciò che esiste, permette di dare il giusto valore al termine “sacralità” della natura. La riluttanza della Chiesa nei confronti di questo termine è ben comprensibile di fronte a tante visioni distorte di essa, che sconfinano nel panteismo o nell'idolatria. Tantissimi popoli però non avevano questa visione distorta, ma una visione molto simile a quella cristiana, in cui il pensiero alla sacralità della creazione è un riconoscere la presenza della sapienza e del cuore di Dio in ogni cosa creata, è l'espressione del valore immenso che ogni creatura, e la creazione nel suo insieme, ha per il suo legame col Creatore.
Questo comune legame con Dio creatore spingeva S.Francesco a chiamare la natura 'sorella' e 'madre'. Intesa come sorella e madre la natura sarebbe accostata in altro modo rispetto a come è accostata considerandola un supermercato a servizio dei bisogni dell'uomo. Questo non esclude l'uso delle creature per i bisogni fondamentali dell'uomo, ma è diverso farlo con senso di riconoscenza e affetto dal farlo prendendo come qualcosa di dovuto; è diverso uccidere un animale per mangiare pregando di essere perdonati, come fanno vari popoli, dal costruire allevamenti industriali senza alcun rispetto per gli animali.
Dal suo legame con la sapienza creatrice di Dio deriva che la natura è un mistero unitario immensamente pìù grande, armonioso, complesso e delicato di quello che potremo mai conoscere seguendo la via della scienza occidentale; di esso non possiamo ignorare e distruggere gli equilibri senza patirne le conseguenze sul piano fisico, psicologico, spirituale. Il mondo naturale ha delle leggi e dei cicli con i quali vivere in armonia e all'interno dei quali cercare la libertà e il progresso, perché essi sono la scuola che il Padre ha predisposto per ogni uomo per imparare la pazienza e il mistero dei ritmi e delle attese, la grandezza della vita che muore e rinasce, il legame che unisce tutte le creature.
 
Varietà e unità
Uno degli aspetti più evidenti e grandiosi di questo mistero è l'immensa varietà e insieme unità della vita. Di fronte a questa varietà l'uomo, che necessariamente incide sulla natura per sopravvivere e anche per esprimere sé stesso, può percorrere due strade: inserirsi in questa varietà e modificarla ma cercando l'armonia con questo disegno, sia nella coltivazione, sia nell'abitazione, sia nel trasporto, oppure ignorarla, considerarla una limitazione e semplificare il più possibile per avere tutto sotto controllo, rendendo la complessità della vita prossima a una equazione lineare, nell'agricoltura come nella produzione, nei trasporti come nell'economia; e di conseguenza nei rapporti tra gli uomini. L'uomo tecnologico ha percorso questa seconda via, spesso, purtroppo, anche col plauso della Chiesa.
 
Umiltà
Di fronte a un mistero di vita più grande noi, che non è un ostacolo alla comprensione ma semplicemente una porta da cui entrare per inserirsi in esso ed essere man mano illuminati dalla stessa Sorgente da cui anch'esso ha origine, l'unico atteggiamento corretto possibile è quello dell'umiltà, che non è certo in contrasto con la grandezza dell'uomo; anzi la manifesta pienamente. L'umiltà non è contro 'il' progresso, ma contro 'questo' progresso che non fa progredire per nulla l'uomo. L'umiltà anzi aiuterebbe a capire la direzione del vero progresso.
Il progresso non è andare più veloci, togliere la fatica, stare più comodi, avere il mondo nel computer, delegare l'artigianato all'industria, risolvere i problemi con un motore e un po' di petrolio, dipendere totalmente dalla tecnologia, creare continuamente nuovi bisogni e dire che il loro soddisfacimento ci rende più uomini,...... Anche l'argomento principe per giustificare un certo progresso, cioè la medicina, pur non discutendo alcune acquisizioni, sarebbe tutto da riverificare; nelle argomentazioni portate, infatti, ci sono alcune verità ma anche tantissime falsità (anche senza parlare dello strapotere delle multinazionali farmaceutiche nei confronti di tutto il mondo medico).
Semplificare tutto, eliminare quello che sembra un ostacolo, fare tutto più velocemente, ma per arrivare dove? Per perdere  i collegamenti vitali tra le cose, perché è il tempo che fa crescere ciò che vale e aiuta a capire ciò che è bene; superando tanti limiti di tempo, oltre che distruggendo gli infiniti legami di cui vive, si superano anche i limiti entro cui la natura, sia quella dell'uomo sia quella intorno a lui, riesce a parlare e a farsi sentire.
 
Possibilità di riassorbimento
Dovrebbe essere chiaro che l'uomo può e deve costruire secondo l'intelligenza che gli è stata data, ma tutto quello che fa deve essere sempre e comunque riassorbibile con facilità dalla natura. Purtroppo la maggioranza dei cattolici non ha detto molto riguardo all'industria, né all'agricoltura chimico-industriale, né alla plastica, né all'energia nucleare; eppure tralasciare questa ovvia necessità sta portando ad una distruzione della natura, e con essa dell'uomo, che solo i ciechi possono non vedere. E questo, è da notare, non a causa delle deviazioni interessate, ma a causa dello stesso principio di fondo che ha condotto alla civiltà chimico-industriale-informatica, basato sull'allontanamento sistematico da ciò che è naturale. Anzi,  proprio da questo allontanamento dalla natura tanti prodotti assumono il loro valore, legato alla loro artificialità  inattaccabile dagli agenti naturali (mi pare fosse il 1987 quando il premio Nobel per l'economia è andato a Robert Solow, del M.I.T., per la sua teoria della crescita basata sulla superfluità della natura).
 
L'economia locale
La natura insegna che l'equilibrio e il rispetto si hanno solo su piccola scala e con produzioni differenziate e complementari. In un'economia locale non ci sono sprechi, si produce quello che realmente serve, si deve aver cura dell'ambiente che ci dà da vivere, è possibile tramandare l'arte di rapportarsi in modo vitale con l'ambiente, si creano facilmente i legami tra le generazioni, si mantengono tutte le capacità pratiche che servono alla vita.
L'industria, insieme con l'agricoltura industriale, sua figlia, hanno già dentro di sé, per principio, una direzione diversa. L'industria porta inevitabilmente: alla distruzione dell'artigianato e quindi dell'unità del lavoro creativo dell'uomo; alla centralizzazione della produzione per ammortizzare il valore delle macchine; all'appiattimento dei bisogni e alla creazione di una enorme quantità di bisogni artificiali; al moltiplicarsi in modo vertiginoso di trasporti inutili; alla ricerca spasmodica di materie prime a basso costo (gran parte delle guerre e della fame del mondo sono legate a questo; ma sono lontane e il sistema complesso dei commerci mette grossi filtri alla comprensione del legame strettissimo con i nostri consumi); alla concentrazione del sapere e delle capacità, rendendo le persone sempre più incapaci di fare quello che serve alla vita e quindi sempre più dipendenti e manipolabili.
 Forse un ostacolo alla comprensione del problema è la confusione tra tecnica e tecnologia. La prima comprende quegli strumenti che aiutano l'uomo, ma senza sostituirlo, permettendo la diversità tipica dell'arte, con la cura e la fatica e la riserva di tempo racchiusi in ogni oggetto. La seconda è una crescita abnorme dello strumento che sottopone l'uomo al codice di funzionamento della macchina e deforma il comportamento quotidiano, cambia i valori, impoverisce la cultura. La tecnica aiuta ad allargare l'attività della natura rispettandone le radici, la tecnologia è il rifacimento di una pseudo natura artificiale.
 
L'informatica e l'unità dell'uomo
In generale riguardo al rapporto tra uomo e tecnologia, strettamente legato al rapporto uomo-natura, c'è nella Chiesa bisogno di un ulteriore approfondimento. Spesso sembra che sia sufficiente dare  un riferimento antropologico e morale perché gli interventi della tecnologia che potenziano enormemente le varie attività dell'uomo, possano equilibrarsi con le altre dimensioni dell'uomo. Ma la natura ci insegna che questo non è possibile, perché l'uomo, come la creazione, non è fatto a compartimenti stagni da aggiungere o togliere, oppure da stringere e allargare.
In particolare riguardo all'informatica, che sembra ormai l'orizzonte attuale e futuro dell'uomo, a parte alcuni aspetti problematici ad essa legati (come l'impoverimento della percezione del reale e la concentrazione di un sapere-potere), la riflessione è scarsa. L'unico problema sembrerebbe quello di creare una 'nuova sintesi', 'un nuovo progetto di uomo e di cultura' che tenga conto di questa direzione presa dall'uomo. Ma l'uomo è una unità che pone le sue radici in quello che ha fatto Dio, non nel mondo che costruisce lui stesso. Le nostre facoltà sono equilibrate in modo che per realizzare le cose essenziali alla vita siano utilizzati tutti i lati della nostra umanità, da quelli fisici, a quelli intellettivi, a quelli del sentimento, a quelli sociali, nell'equilibrio del loro peso sulla persona. Qualsiasi strumento che alteri questo equilibrio e unità ferisce l'uomo e non può essere superato con la creazione di una super umanità più artificiale.
Un profondo ripensamento morale è indispensabile proprio di fronte a questo mondo artificiale che abbiamo creato e che stiamo continuando a creare, in contrasto col Creatore. Questo mondo artificiale, in cui l'uomo pone il suo agire, il suo farsi, come pietra fondante della società, cresce a scapito del piano naturale e spirituale dell'esistenza. La natura elaborata e snaturata, lo spirito degradato e incivilito si incontrano su questo piano artificiale. E così rischiamo di chiamare civiltà la contronatura che creiamo, con i suoi eccessi indispensabili e i suoi inganni volontari resi normali dall'educazione, l'esercizio e l'abitudine.
 
Il limite, la giustizia e la povertà
Il limite, di tempo, di spazio, di risorse, di forza, di capacità, ci richiama alla fragilità della natura, che è presente accanto alla sua grandezza, e ricorda all'uomo il suo essere creatura, quindi la provvisorietà delle cose. Quest'ultima, come tutti gli apparenti limiti, è una grande ricchezza, da amare e cercare come reale affidamento alla Provvidenza di Dio.
In particolare un limite quantitativo delle cose: la terra non è un pozzo senza fondo, è limitata, per cui se si accumula da qualche parte, dalle altre si crea miseria. Ci richiama a un profondo senso di giustizia che cerchi uno stile di vita che non toglie agli altri il necessario per vivere e non distrugge la fonte della vita. Se ognuno di noi tenesse per sé solo ciò che è realmente necessario, nessuno sarebbe povero. All'uomo è dato il pane quotidiano e nulla più; se accetta questo, ne avrà in abbondanza ogni giorno; se non lo accetta nascono le diseguaglianze da cui dipendono tutte le miserie e una profonda, radicale insoddisfazione.
La legge divina attraverso la Creazione ci insegna che la vera cultura non consiste nella moltiplicazione dei bisogni, nella autoindulgenza, ma nella limitazione dei nostri bisogni, nel loro controllo perché ci sia una vera crescita della persona.
Questa sobrietà a cui ci spinge la natura è molto concreta non è certo una povertà 'spirituale', un 'distacco dalle cose' che non tocca la vita concreta. Questa povertà reale, scelta e vissuta, è la misura per valutare una cultura, un'economia; è la vera maestra e ricchezza dei popoli in quanto porta con sé giustizia, rispetto, bellezza, condivisione, autonomia, legame con la terra, capacità di gioire del poco.
Non per nulla il Figlio di Dio ha scelto la povertà; Egli, scegliendola, ci ha detto che questa povertà concreta, materiale, non è semplicemente uno dei tanti valori ascetici da perseguire nella vita, ma è parte essenziale, indispensabile, caratterizzante della Verità e dell'Amore. Se Gesù ha vissuto povero e parlato di semplicità significa che questa è la strada del vero progresso dell'uomo in ogni campo, è questa la strada per utilizzare più pienamente e secondo verità tutti i doni di intelligenza e capacità pratiche che il Signore ci ha dato. Senza questi riferimenti possiamo solo distruggere, e ogni tentativo di giustificazione porta la nostra stessa mente su un piano sempre più astratto in cui è sempre più difficile sentire la voce di Dio.
 Semplicità e povertà sono da sempre i cardini dela saggezza. La libertà dalle cose, dal superfluo, fa sentire veramente liberi, felici del poco che c'è, fiduciosi nella provvidenza di Dio, riconoscenti per l'immensa ricchezza e bellezza della natura donata gratuitamente a tutti, attenti alle più piccole cose, non ricattabili dai mille inganni che cercano di distogliere dal bene. Solo nell'essenzialità si percepisce il senso più vero e profondo delle cose.
La semplicità e la sobrietà della vita danno una grande libertà e leggerezza nel cammino e proprio per questo permettono di arrivare alle vette più elevate della dignità e grandezza umana. Padre Ellacuria, ucciso nel Salvador assieme ad altri tre gesuiti, chiede che si vada verso "una civiltà della povertà, che si contrapponga a quella civiltà della ricchezza che sta portamdo il mondo alla propria consunzione, senza peraltro conseguire lo scopo di dare agli uomini la felicità che loro spetta".
 
S.Francesco
Altri santi hanno approfondito il rapporto con la natura (pensiamo ad esempio a S.Bernardo o a S.Ildegarda), ma quello più famoso è senz'altro Francesco d'Assisi.
Egli intuitivamente, senza previa riflessione teologica se non il Vangelo preso alla lettera, riesce a cogliere in modo nuovo il rapporto con la creazione, che vede come una grandiosa sinfonia il cui maestro è Dio stesso. Il mondo parla, è pieno di vita, di intenzioni e di appelli del Padre, ed è pieno di lode al suo Creatore.
Francesco non loda il Signore 'attraverso' le creature; vorrebbe dire essere sordi di fronte all'inno che tutti intonano a Dio. Egli canta 'con' le creature, come fanno alcuni Salmi. Questo aspetto è fondamentale perché mostra che le creature sono amate, non strumentalizzate. Francesco è innamorato di Gesù e ogni cosa gli riflette la luce di questo volto amato e di esso 'porta significazione': "In qualunque oggetto ammirava il suo Autore e in tutti gli avvenimenti riconosceva il Creatore....Ricercava ovunque l'Amato seguendo le orme impresse nelle creature...Considerando che tutte le cose hanno un'origine comune, si sentiva ricolmo di pietà ancora maggiore e chiamava le creature per quanto piccole col nome di fratello e sorella: sapeva bene che tutte provenivano, come lui, da un unico Principio". Ma questo rapporto non è in chiave platonica, quasi che egli non amasse le creature in se stesse, ma solo come segno, rimando a Qualcuno che le trascende; se così fosse non avrebbe portato nulla di nuovo alla tradizionale spiritualità patristica e medievale di stampo platonico-agostiniano. Esse sono segno in quanto realtà che contiene la ricchezza del Creatore, e quindi oggetto di profondo affetto per se stesse.
Non per nulla i contemporanei percepirono immediatamente la novità di questo modo di essere: "egli appariva a tutti come un uomo di un altro mondo"; "uomo nuovo, donato dal cielo al mondo". Per questo è assurdo vedere in lui un romantico ante litteram: il romanticismo è un prodotto della soggettività moderna, in cui i sentimenti dell'io vengono proiettati sul mondo, ma non c'è l'ascolto del messaggio che viene dalla natura e rinvia a un'istanza al di là della soggettività della coscienza. In Francesco l' 'io' è chiamato a uscire da se stesso, ad affratellarsi con le cose, così da poter cantare insieme l'inno di lode al Creatore, atteggiamento possibile solo quando rinunciamo al possessso delle cose, come Francesco ha fatto nel modo più radicale ed essenziale.
Francesco è stato proclamato dal Papa nel 1979 “patrono celeste dei cultori di ecologia”. Ma certo l'ecologia di Francesco è ben altra cosa del calcolato rispetto dell'attuale ecologismo. Il termine stesso “ecologia”, che significa “scienza del vivere bene nella casa planetaria comune”, è molto riduttivo per esprimere il rapporto con la creazione a cui siamo chiamati. Non per nulla i criteri ecologici rimangono “scientifici” e “tecnologici”: si tratterebbe solo di far fare un salto qualitativo alla tecnologia perché non distrugga l'ambiente. Anche il salvataggio degli animali diventa molto artificioso, intellettuale e sentimentale, da parte di gente che non ha più un reale rapporto vitale, di popolo, con la terra. L'ecologia di Francesco è invece sensibile al mistero del mondo, all'esperienza del mondo come unità organica sostenuta dallo Spirito, come casa fraterna voluta dal Padre comune e modellata su Cristo.
Francesco ci insegna che il vero problema non è quello di difendere la natura dall'opera dell'uomo, ma di verificare, attraverso gli insegnamenti della creazione, la qualità intrinseca di tale opera e, se necessario, cambiarla radicalmente. Per questo bisogna certo conoscere i delicati e meravigliosi equilibri naturali, ma soprattutto bisogna ascoltare la voce della terra; perché la terra ha una voce, pronuncia una parola, che riecheggia la stessa parola di Dio.
 
 
                                                                                                                               don Marco Belleri
                                                                                                                      Parroco di Seggiano (GR)