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Afghanistan: I guerrieri di Berlusconi e Prodi

di Giancarlo Chetoni - 28/02/2007



Il Velino Diplomatico di Stefano De Andreis scrive il 10 Aprile 2003 che gli Alpini a Kost sono in 1.000 e alla caccia dei talibani. L’esordio del contingente italiano in Afghanistan è di guerra e la Taurinense, inquadrata nella task force Nibbio non è il primo Reparto Nazionale che viene impiegato dal governo Berlusconi a ridosso del Waziristan, spalla a spalla con reparti d’assalto americani in azioni di ripulitura e di bonifica del territorio dai terroristi di al Qaida.
Nella base Salerno a Kost (per ricordarci lo sbarco degli alleati in quella che diventerà la repubblica delle stragi a partire da Portella della Ginestre e della sovranità che non c’è) verrà segnalata la presenza del generale Graziano attuale comandante a Naqura di Unifil2.
Sta di fatto che nella terna degli alti ufficiali italiani, inoltrata il 19 di febbraio di quest’anno dal ministro degli Esteri d’Alema al Palazzo di Vetro tramite l’ambasciatore Migliavacca, l’Onu di Bon Kai Moon ha scelto l’ex comandante della Brigata con le Penne che ha operato al confine del Pakistan.
Graziano rientrerà al Comando operativo interforze di Centocelle (Roma) nel gennaio 2006 per uno stacco prima di vedersi assegnato il nuovo incarico in Libano per la fiducia che gode, a ragione del suo stato di servizio Isaf, sia a Roma, prima e dopo il 19 aprile, che al Palazzo di Vetro.
Come dice Andreotti a pensare male si fa peccato ma qualche volta ci si azzecca.
Per cominciare a capire cosa bolla in pentola al Provincial reconstruction team di Herat dove è attualmente attestato l’equivalente di un reggimento di militari e specialisti di Esercito, Marina, Aviazione e Carabinieri (Parisi e Bersani ci hanno aggiunto un’aliquota di Fiamme Gialle per l’addestramento della Polizia di Karzai alla lotta al narcotraffico e all’espletamento delle pratiche doganali, Amato ci sommerà d’intesa con i ministri degli Interni dell’Unione europea un reparto della Polizia di Stato) basterà sapere che tutte le comunicazioni internet e satellitari in partenza e in arrivo alla base passano per un provider e per i satelliti NSS6 e BGAN della N.S.A e che per Isaf la responsabilità operativa della base è affidata alla US Army anziché all’Italia.
Lo schema ad Herat è un po’ quello che gli Usa hanno adottato con l’esercito della Corea del Sud. Nei periodi di pace comandano (si fa per dire) gli occhi a mandorla, in guerra gli yankee.
Da quelle parti la cosa va avanti dal ’56, in Italia dai tempi di Scelba, di Salvatore Giuliano e Gaspare Pisciotta.
L’avventura dei compound tricolori Vianini e Arena ad Herat prende avvio il 31 marzo 2005 con lo stazionamento di 120 militari dell’Ami. Arriveranno nel giro di qualche mese 400 tra specialisti in logistica, esperti in comunicazioni, apparati radar e personale di volo della task force Aquila sotto la supervisione del generale Rossi e di una compagnia di manovra del 66° Reggimento Aeromobile Trieste di Forlì.
Tra i supervisori del campo figurerà anche il colonnello Cocciolone abbattuto quando era in volo sull’Iraq nel 1991 con il suo Tornado Ids durante un’operazione di strike (bombardamento) su Najaf.
Emma Bonino come delegata dell’Unione europea in Afghanistan, formulerà a settembre il suo primo “in bocca al lupo” alla task force Lince.
Vianini sarà il primo Caduto italiano in Afghanistan, la sua morte risale al 3 Febbraio 2005. Capitano di Fregata del gruppo incursori, viaggiava in incognito con personale non identificato Usa sul volo di linea Kabul-Herat delle aviolinee afghane quando il Boeing che lo trasportava precipitò in seguito, pare, ad un’avaria alle turbine.
Chi si domandasse cosa ci stava a fare un uomo di mare in Afghanistan non conosce né criteri di selezione, fiduciari, della Nato né i rapporti tra il comando alleato nel sud Europa e il Consubin di Varignano (La Spezia). E non solo.
Dal 2005 al 2006 ad Herat sono arrivate attrezzature dall’Italia con la spola dei C130J in dotazione alla 46° Aerobrigata di Pis: centinaia di tonnellate di attrezzature e materiali per la costruzione di 62.000 mq di baraccamenti e strutture conteinerizzate, singole e a pila, per centrali di radioassistenza, di scoperta radar, di in e out satellitare.
Con l’assistenza di genieri Usa sono stati costruiti shelter antischegge, depositi sotterranei, di carburante e munizionamento. Approntato inoltre un parco automezzi e veicoli blindati per la ricognizione armata. Insomma si è speso e sparso centinaia di milioni di euro facendo arrivare anche il superfluo per via aerea dal cuore dell’Europa al Centro Asia.
In questo quadro di guerra le iniziative di assistenza alla popolazione locale sono state confinate all’assoluta marginalità. Gli importi di spesa a favore dei residenti sono stati un nulla, non si sa di quanto in percentuale, rispetto ai costi di gestione militare e permanenza del personale italiano ad Herat. Le vedove da quelle parti portano sempre il burka, i bambini continuano a morire di malnutrizione e di malattie e gli anziani chiudono gli occhi nella povertà e nella disperazione.
In compenso il 14 febbraio di quest’anno il portavoce italiano di Isaf tenente Nicola Piccolo con una nota ufficiale ha comunicato ch è in costruzione una chiesa cattolica che sarà aperta al culto pubblico. Evidentemente la stabilizzazione dell’area passa per i riti di S. Romana Chiesa e le prediche dei cappellani militari di Ratzinger più che su un piano di intervento, medico e alimentare, esteso e protratto, alla gente del posto.
Se non ci fosse da piangere ci sarebbe da sbellicarsi dalle risate.
Il 24 dicembre Parisi è atterrato ad Herat con un quadrimotore C130J, dopo un atterraggio a tappo di bottiglia ( per evitare il lancio di rimanenze degli Stinger passati dalla Cia ai combattenti della Jihad durante gli anni dell’occupazione sovietica dell’Afghanistan) insieme al capo di stato maggiore delle Forze armate italiane, ammiraglio Di Paola, uno strascico di Martino e del Cdm del Cavalier di Arcore. Passeranno il “Santo Natale” a pranzo di gala, spumante e panettone.
La scaletta dell’indecenza è andata avanti con la dichiarazione del 22 gennaio del presidente del Consiglio Prodi ai corrispondenti esteri in cui si affermava che “l’Italia non si assumerà impegni maggiori ma non si ritirerà da quelli già presi in Afghanistan”.
Quattro giorni più tardi, per la precisione il 26, D’Alema interviene al Consiglio dell’Alleanza atlantica a Bruxelles precisando che le missioni del contingente italiano in Afghanistan continueranno fino al raggiungimento della piena sicurezza nella regione, con o senza una conferenza internazionale sull’Afghanistan in agenda. Il 30 Gennaio esplode ad Herat un autobomba, la terza in 8 mesi, che fa tremare Camp Arena.
Si arriva di gran carriera a febbraio e da Siviglia Parisi rende noto che l’impegno dell’Italia in Afghanistan si protrarrà, almeno(incredibile ma vero) fino al 2011 e che, per rinforzare il dispositivo di sorveglianza aerea della provincia di Herat, ha disposto l’invio in zona di Uav Predator e di C130J.
Insomma di due avvoltoi e di un uccellaccio panciuto, costosissimi, 5 milioni di dollari a pezzo i primi, 55 sempre di milioni di dollari il secondo, tutto regolarmente made in Usa, per dare una mano ai liberatori e i bombardatori folli delle guerre permanenti che pitoccano a destra e a manca per non affogare come in Iraq.
La strombazzata discontinuità rivendicata dall’esecutivo del Professor Nomisma prende nei fatti altri percorsi.
I Predator dell’Italia destinati ad operare sull’aeroporto di Herat potranno essere aggiornati, ma questo non lo si dice, alla versione 1/MQ-9 che trasporta missili anticarro Hellfire o razzi a frammentazione aria-terra. Per fare cosa è scontato con qualche prevedibile effetto di ritorno da Santa Maria Novella.
Facciamo ora un passo indietro. Tra marzo e dicembre 2005 le tonnellate di materiale logistico movimentato ad Herat hanno registrato il picco di 18.000 tonnellate, gli arrivi e le partenze giornaliere di personale civile e militare multinazionale e Nato hanno raggiunto punte di 800 unità.
Accertata, pare, la presenza in zona di parabole di ascolto elettronico posizionate in direzione ovest, nord ovest verso la frontiera con l’Iran. E questo è un bel guaio.
La strategia dell’Iran prevede in caso di preparativi di attacco aereo Usa al territorio nazionale in partenza da aeroporti in uso a Isaf un lancio di razzi e di missili per la soppressione della forza attaccante. Camp Vianini e Camp Arena sono a un tiro di sputo dal confine con il Paese degli ayatollah.
Mentre cresce di giorno in giorno la voglia dell’amministrazione Bush di dare una ripassata a Teheran, dichiarare - come si è fatto - di voler rimanere per altri cinque anni in Afghanistan per bene che vada è un atto di completa irresponsabilità e un suicidio a venire nell’interscambio economico tra Italia e Iran, blocco dello stretto di Ormuz a parte che finirebbe per mettere in seri guai gran parte dell’approvvigionamento energetico del Bel Paese e dell’intera Europa.
L’aeroporto militare di Herat con fondo a cemento spessorato, si estende oggi per oltre 50.000 mq ed è servito da infrastrutture e torre di controllo del traffico aereo in muratura. L’area è stata approntata a perimetro quadrato per sopportare meglio delle piste di volo a coppia o triple i crateri da bombardamento. La frequenza degli atterraggi e dei decolli di aerei da carico, di elicotteri e di Uav da Herat, pur discontinua, si è mantenuta nel tempo sostenuta e “allarmante”.La registrazione degli aerei in partenza e in arrivo è rigorosamente top secret.
In queste condizioni è lecito chiedersi se qualche “rendition” alla Abu Omar abbia preso da Herat la strada per Guantanamo, in barba a Fava e alla condanna espressa del Parlamento europeo sulla violazione dei diritti umani da parte della CIA.
Usa e alleati hanno posizionato in Afghanistan 23 Provincial reconstruction Team, in ordine alfabetico, da Asabad al Tarin Kowt Airfilds, 16 Airbase da Bagram a Tologan, 9 Fire Base da Cobra Strike a Waza Khwre, 18 F.O.B e buon ultimo 2 Compaund a Gardez e Kabul.
Un dispositivo capillare di straordinaria potenza militare con 32.000 militari schierati sul campo che pare non riesca a venire a capo di 4.000-5.000 mujahidin, ammesso che lo scopo della presenza a stelle e strisce e Nato in Afghanistan sia quella. Ne riparleremo in un’altra occasione.
Al di là delle menzogne accreditate e della invasiva propaganda dei network del partito amerikano l’intervento degli Usa in Aghanistan potrebbe avere motivazioni geopolitiche rimaste fino ad oggi completamente in ombra. Ragionare bene su dati e informazioni manipolate non può non portare fuori strada, ad una percezione della realtà fuorviante.
Dall’elenco del Rodomonte Planetario & Alleati in Afghanistan mancano 8 strutture miste Cia-Unità Incursori Sabotatori di cui non si conosce la dislocazione sul terreno per non meglio precisati “interventi speciali” contro i terroristi di Al Qaida che a quanto comunicato dalla Casa Bianca pare si infiltrino in Afghanistan dal Pakistan con l’assistenza dell’Inter Service Intelligence (il servizio segreto di Musharraf). Dichiarazione che ha fortemente irritato il Pakistan facendo scendere a temperature polari i rapporti bilaterali tra Washington e Karachi. L’ammissione come osservatore del Pakistan al Patto di Shangay ha fatto il resto.
Per Cheney e i neocon Usa la guerra è e rimane l’alternativa alla minaccia della pace, per Kissinger e Brzezinski dopo il XX secolo che ha visto gli Stati Uniti crescere da potenza continentale a forza egemone a livello mondiale potrà esserci una nuova “età dell’oro” a condizione di rimuovere via qualsiasi ostacolo che possa ostacolarne la realizzazione.
L’ex consigliere di Carter nella “Grande Scacchiera” individua nell’Asia l’area del pianeta che per pregresse esperienze storiche, popolazione, capacità intellettuali e di adattamento sociale, risorse energetiche e minerarie è in grado di dare avvio a un processo di rapida crescita tecnologica, industriale, finanziaria e militare di dimensioni tali da diventare un avversario globale degli Usa. In politica estera, al di là di qualche dettaglio polemico, come si vede, esiste una perfetta identità di obbiettivi strategici tra repubblicani e democratici con buona pace per Rutelli, Fassino&Soci.
Gli Usa hanno cominciato con l’assistenza della Nato dal ventre molle dell’Afghanistan.
Chiuderemo con una chicca.
Su internet “Negrizia” il primo febbraio riporta: “…è stato costituito un Fondo per le esigenze di investimento della Difesa di 4.450 milioni di euro per il triennio 2006-2008…”, per aggiungere poi che “…una parte del trattamento di fine rapporto (Tfr) che i lavoratori delle aziende private non destineranno alla previdenza complementare sarà dirottato a una cassa statale destinata a finanziare la Difesa per un ammontare di 106 milioni nel 2007, di 350 milioni nel 2008 e di 200 milioni nel 2009”…
I 2.000 militari italiani a Herat e a Kabul ci costano un ossesso. Siamo nell’ordine dei 3.000 euro al giorno, tutto compreso. A capoccia.
E da noi dalla terza settimana del mese cala il consumo di latte e pane.