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Trentotto scomparsi nelle prigioni Cia

di Sara Menafra - 02/03/2007

 
Inghiottiti dalle prigioni segrete della Cia. Trentasette uomini ed una donna sono stati cancellati dalla guerra al terrorismo lanciata dagli Stati uniti dopo l'attacco alle due torri dell'11 settembre 2001. Human rights watch ha diffuso l'elenco dei prigionieri portati nel corso degli ultimi sei anni nelle prigioni segrete della Cia, le «Black prisons», e mai più emersi. La lista è divisa in due parti: undici persone sono state quasi certamente nelle prigioni cia, mentre altre ventidue «potrebbero essere state arrestate». «Va sottolineato che il livello di segretezza che copre le prigioni segrete della Cia rimane estremamente alto, e gli ostacoli per ottenere questo tipo di informazioni sono molti. In sintesi, potrebbero ben esserci altri ex prigionieri Cia della cui esistenza non sappia nulla chi è al di fuori del programma», spiega la nota del rapporto che accompagna l'elenco.
Il dipartimento della giustizia americano non ha voluto commentare in alcun modo il rapporto diffuso dall'organizzazione umanitaria che pure è rimasto per ore sulla homepage di siti di informazione importanti come quello della Bbc. Una ragione per questo silenzio c'è: dopo averne negato l'esistenza per anni, il presidente americano George W. Bush ha ammesso che il «programma» era stato realizzato solo a settembre scorso quando ha annunciato che quattordici dei prigionieri nascosti erano stati spostati a Guantanamo. «Sono stati interrogati in modo duro, ma legale e necessario», aggiunse specificando che da quel momento in poi le prigioni segrete sarebbero state chiuse. L'amministrazione americana ha sempre evitato di ammettere che i prigionieri detenuti nelle «black prisons» della Cia fossero mai stati torturati. Sempre durante il discorso del 6 settembre Bush si spinse a dire che le detenzioni e gli interrogatori tenuti dalla Cia erano stati «soggetti a molteplici controlli legali da parte del dipartimento di giustizia e dagli avvocati della Cia» e che «avevano ricevuto una rigida supervisione da parte dell'Ispettore generale della Cia». «Se il programma della Cia ha superato il controllo, allora ci sono seri problemi sul sistema di controllo legale fornito dal governo», ribatte Hrw. Nell'elenco dei «desaparecidos», compilato sulla base di racconti di avvocati e prigionieri, spiccano i nomi di Khalid al Zawahiri (secondo Human rights watch il figlio del numero due di Al qaeda) e di Aafia Siddiqui, la biologa di trentacinque anni, che un paio di anni fa finì al centro dell'allarme «attacco batteriologico» lanciato dalla Fbi. La donna, che ha studiato al Mit di Boston, è da anni nell'elenco dei dodici «most wanted».
Il cuore del rapporto di Human rights watch è il lungo racconto di Marwhan Jabour, un palestinese arrestato nel maggio del 2004 a Lahore, in Pakistan, e quindi finito prima in una «villa isolata» in un elegante quartiere di Islamabad e quindi in una prigione probabilmente in Afghanistan. Nel 2006, con un volo segreto analogo a quello che ha portato Abu Omar in Egitto, è stato trasferito in Giordania e quindi consegnato alla polizia di Amman. Durante i due anni di interrogatori, Jabour è stato picchiato più volte, legato con delle catene alle pareti della «sala degli interrogatori» e tenuto in posizioni che gli impedivano «anche di respirare». Interrogato sul caso Jabour dal Washington post un funzionario dell'amministrazione Bush avrebbe ammesso che l'uomo è stato a lungo detenuto nelle prigioni segrete della Cia: «E' stato addestrato in Afghanistan ed ha combattuto con i talebani prima di lavorare con Al qaeda, coinvolto nei tentativi di ottenere armi chimiche e batteriologiche». Durante gli interrogatori Jabour avrebbe effettivamente ammesso di aver partecipato ad un campo di addestramento in Afghanistan, negando però ogni legame diretto con Al qaeda. Se ci fossero state prove certe su di lui, conclude Hrw, di sicuro non lo avrebbero rilasciato.