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Accerchiamento diplomatico e tensioni politiche per colpire Teheran

di Antonella Vicini - 03/03/2007

 


Per il secondo giorno consecutivo al confine iraniano si sono verificati episodi che sollevano l’attenzione sugli strani movimenti e sulle tensioni che da alcune settimane, in particolare, stanno attraversando le zone di frontiera con l’Iran. Dopo che mercoledì uomini armati hanno ucciso due agenti di polizia iraniani, e rapiti altri quattro agenti, nel sud-est del Paese, vicino al limite con il Pakistan, ieri, un comandante dei Guardiani della rivoluzione ha riferito di scontri al confine con l’Azerbaijan, nel corso dei quali sono stati uccisi diciassette ribelli e quattro paramilitari militari. Il colonnello Jalil Babazadeh ha raccontato all’agenzia Irna di “ribelli armati entrati in Iran per compiere operazioni di sabotaggio”. Un episodio che si lega a disordini registrati negli ultimi tempi nella zona di confine con la Turchia, che vede protagonisti i ‘pejak’, un gruppo di opposizione curdo-iraniana che Teheran ritiene siano sostenuti dagli Stati Unti. Scontri armati si stanno registrando in questo stesso periodo anche alla frontiera con l’Iraq, dove dovrebbero resistere delle cellule dei Mujaheddin Khalq , anche questi sovvenzionati, stando ad informazione di intelligence, da Washington.
Il denominatore comune, considerato anche che l’Azerbaijan per motivi economici è piuttosto alla sfera di influenza atlantica, è sempre quello degli Stati Uniti, che risultano fare capolino in ognuno di questi scenari di crisi. La tattica di destabilizzare appoggiando le divisioni interne ad un Paese non è certo cosa nuova per la Casa Bianca, e quello che sta accadendo in maniera sempre più frequente alla frontiera iraniana potrebbe essere un indizio in questo senso. Tutto ciò mentre nel Golfo persico continuano ad essere presenti due portaerei americane già pronte all’uso e mentre continuano a diffondersi notizie allarmanti sulla preparazione e sull’avvio, più o meno prossimo, di una operazione militare statunitense sull’Iran. Si parla di colpire i siti nucleari, per il momento. Venti di guerra a parte, l’accerchiamento di Washington sta proseguendo anche per via diplomatica. Dopo l’incontro svoltosi a Londra lunedì scorso, durante il quale i ‘5+1’ hanno studiato nuove contromisure da applicare contro la Repubblica islamica per non aver interrotto le proprie attività di arricchimento dell’uranio entro l’ultimatum imposto dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, ieri i rappresentanti di Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Germania hanno tenuto una conferenza telefonica per discutere sulla messa a punto di un nuovo testo di risoluzione che incrementi le restrizioni economiche contro Teheran.
Il portavoce del ministero degli esteri francese, Jean Baptiste Mattei, ha confermato l’incontro a distanza, ribadendo anche la volontà di rafforzare la prima tranche di sanzioni adottate a fine dicembre, nella risoluzione 1737. Sull’esito dell’incontro, già martedì, il capo di Quai d’Orsay si era detto ottimista, anticipando l’esistenza di “buone possibilità” per una rapida intesa tra i sei. Sui tempi di una nuova risoluzione però nessuno ha voluto esprimersi. Oltre ai tempi tecnici necessari, ci sono ancora una serie di questioni da affrontare fra cui anche l’ostinazione di Teheran di risolvere la vicenda per via negoziale. Proprio ieri, da Madrid, il ministro degli Esteri iraniano, Manouchehr Mottaki, è tornato suggerire “alle varie parti coinvolte di far avanzare le discussioni”, chiedendo di “essere riammessi al tavolo dei negoziati in modo da poter presentare il nostro punto di vista ai media e alla gente”.