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Home / Articoli / Ultime notizie dal mondo 15-28 febbraio 2007

Ultime notizie dal mondo 15-28 febbraio 2007

di redazionale - 04/03/2007


a)      Afghanistan. Mentre a giorni, nel parlamento italiano, si tornerà a votare sul rifinanziamento della “missione”, la tenuta degli invasori nel paese asiatico traballa sempre più. Elicotteri abbattuti e aumento dei morti tra gli occupanti, cittadine riconquistate dalla guerriglia, dichiarazioni allarmate di comandanti militari NATO, pressioni sempre più forti da Washington (non solo la Casa Bianca, ma anche giornali finanziari di grido) per un coinvolgimento maggiore –numerico ed operativo al fronte- degli alleati/subalterni. Dalla NATO assicurano una presenza di decenni nel paese, ma Londra non crede più alla vittoria e cerca nuove tattiche. Intanto il vicepresidente USA Cheney sfugge ad un attentato nel quartier generale USA di Bagram nel paese. È la rondine della primavera alle porte, temuta (dagli occupanti) per via dell’annunciata ripresa su larga scala dei combattimenti? Cfr. 19, 20, 22 , 28.

b)      Iran. Washington alza il tono delle minacce contro Teheran. Il pretesto principale, nel caso in questione, è la scelta del nucleare civile iraniano. Per capire la portata di detta pretestuosità vedere Corea del Nord al 1; Iran (significativo il rapporto dell’Aiea) e Russia / Giappone al 23; USA / Gran Bretagna al 24. Per l’attacco, a Washington si parla di ricorrere a mini-nucleari (enormemente più potenti delle atomiche –sempre USA, gli unici che le abbiamo mai usate– sulla popolazione civile giapponese di Hiroshima e Nagasaki del 1945). Interessanti (Iran 28) le dichiarazioni di Hans Blix, responsabile della Commissione internazionale per le armi di distruzione di massa ed ex capo ispettore delle Nazioni Unite. Cfr. 21, 23, 24, 28. Ad integrazione di queste vedere Israele al 25, Russia e USA / Iran al 26; USA / Iran al 18.

c)      USA. Vediamo le cose (come osservatorio) dal cuore dell’Impero. Innanzitutto la questione dei missili e dello scudo spaziale (cfr. USA 22 e Repubblica Ceca al 17). Comprensibile il risentimento russo (USA 22 e quindi Russia 17 e 22). Da seguire le relazioni tra Giappone e Washington (al 20). Un’occhiata in America Latina all’Uruguay (22). Sulle cluster bomb c’è anche il no della Casa Bianca (Norvegia 24), tanto per esportare meglio diritti umani e democrazia tra le popolazioni riottose alle magnifiche sorti e progressive a stelle e strisce.

Corea del Nord / USA / Giappone. 15 febbraio. Gli USA avrebbero assunto verso Pyongyang un atteggiamento più conciliante della stessa Cina. In particolare, stando a fonti non meglio precisate citate dall’agenzia Kyodo, Washington ha accettato di «spostare la focalizzazione del negoziato a sei dalla denuclearizzazione della penisola coreana alla non proliferazione di materiale atomico». Le fonti hanno indicato che tale passo è stato compiuto dagli USA dopo il rifiuto di Pyongyang di sottoscrivere una bozza cinese che chiedeva specificamente la rinuncia agli armamenti nucleari e all’arricchimento dell’uranio. Per la trattativa sul nucleare nordcoreano, conclusasi con la firma dell’accordo di Pechino (lo scorso 13 febbraio), malumori e pesanti recriminazioni verso gli USA vengono dal governo giapponese. L’intransigenza di Tokyo durante i colloqui a sei di Pechino (ai quali hanno partecipato le due Coree, USA, Cina e Russia) hanno avuto un’influenza limitata, se non nulla, rispetto agli interessi geopolitici statunitensi.

 

  • Corea del Nord. 15 febbraio. Pyongyang: l’AIEA è benvenuta. La rinuncia di Pyongyang al nucleare sembra prendere forma. Per dare segno tangibile della svolta, è arrivato l’invito ufficiale al capo dell’AIEA, Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, a visitare il paese, per normalizzare le relazioni con l’ente ONU. La Corea del Nord ha detto basta alla produzione di plutonio dieci giorni fa, con l’accordo di Pechino, avendo in cambio la promessa di aiuti per 300 milioni di dollari. E ora si dichiara pronta, probabilmente la seconda settimana di marzo, ad accogliere Mohamed El Baradei, direttore dell’AIEA. Dal canto suo El Baradei ha fatto sapere di voler discutere le modalità di attuazione dell’accordo, aggiungendo anche la possibilità di un «eventuale smantellamento degli impianti». Il primo atto sarebbe lo spegnimento del reattore nucleare di Yongbyon, dove è stato prodotto il plutonio utilizzato il 9 ottobre scorso, durante il test sotterraneo. Con la firma a Pechino, la Corea del Nord si è impegnata a spegnere il reattore entro 60 giorni, avendone in cambio una fornitura immediata di 50mila tonnellate di greggio. Una volta verificato il mantenimento degli accordi, vi si aggiungeranno altre 950mila tonnellate di olio nero o aiuti economici equivalenti. Oltre all’AIEA, a tenere gli occhi bene aperti ci penserà anche Washington, scettica sulla possibilità che Pyongyang si riveli veramente in grado di mantenere le promesse.

 

  • Corea del nord. 15 febbraio. La vicenda della Corea del Nord è significativa. L’accordo dell’amministrazione Clinton del 1994 era basato sulla fornitura alla Corea del Nord di reattori nucleari ad acqua leggera e aiuti alimentari. Quando il Congresso degli Stati Uniti –a maggioranza repubblicana– lo aveva boicottato e il paese fu catalogato tra gli «Stati canaglia», Pyongyang gioca la carta nucleare, esce dal trattato di non proliferazione (cosa legittima, giacché gli Stati nucleari avevano lasciato aperta questa strada nel trattato), moltiplica i test missilistici fino al fatidico ultimo test. Per i paesi più deboli il nucleare serve unicamente come deterrenza. Il commento più pertinente al test era stato di Israele: «Uno Stato con armi nucleari è immune da attacchi contro le sue installazioni». Deducendo ovviamente, pro domo sua, che i programmi nucleari dell’Iran devono essere fermati prima che sia troppo tardi, anche se le applicazioni militari sono dubbie e comunque molto lontane. Al di là delle roboanti minacce (e dei dubbi sulle reali capacità missilistiche), Pyongyang non potrebbe bombardare nessuno, poiché verrebbe immediatamente cancellato dalla carta geografica. Né lo potrebbe fare Teheran se –con molta fantasia, in un futuro comunque lontano– disponesse di queste armi: Israele ha ben cinque sommergibili con capacità nucleare (generosamente ceduti in saldo dalla Germania), indistruttibili e capaci di una ritorsione che riporterebbe l’Iran all’età della pietra. Per gli Stati Uniti, invece, gli avversari li si demonizza (anche) con il pretesto nucleare, giusto o sbagliato che sia, ed eventualmente li si attacca preventivamente. Al contrario, l’esca nucleare funge per quei paesi che si vogliono attirare sotto la propria influenza. E allora si chiudono gli occhi di fronte ad esempio al Brasile, o all’India, o, ultimo in ordine di tempo, all’Egitto (Washington approva i progetti egiziani di arricchimento dell’uranio e li sostiene con esperti e l’elargizione di 63 milioni di dollari, per cominciare).

 

  • Haiti. 15 febbraio. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU prolunga di almeno otto mesi la missione di pace dei caschi blu della Minustah. Il prolungamento è stato deciso nonostante la grandiosa manifestazione del 7 febbraio, quando oltre 100mila persone hanno chiesto il ritiro dei caschi blu e il ritorno del deposto presidente Aristide. Le truppe ONU sono al centro di dure critiche per diversi episodi di violenta repressione nei quartieri più poveri del paese.

 

  • Bolivia. 15 febbraio. Compromesso per la Costituente. La votazione della nuova Costituzione verrà divisa in fasi. In un primo tempo verranno approvati i documenti delle 21 commissioni che compongono l’Assemblea: da ciascuna commissione potranno uscire un rapporto di maggioranza e uno di minoranza. Poi la discussione andrà in aula e tra il primo maggio e il due luglio basterà la maggioranza assoluta, come richiesto dal Movimiento al Socialismo (MAS). Se però il MAS non dovesse ottenere il consenso necessario, dopo la scadenza del 2 luglio rispunteranno i rapporti di minoranza e, in caso di mancato accordo, si potrebbe addirittura ipotizzare un referendum su due progetti di Costituzione diametralmente opposti.

 

  • Serbia / Kosovo. 16 febbraio. L’indipendenza del Kosovo sarebbe un «pericoloso precedente» ed una «aggressione contro una nazione europea democratica». Lo ha dichiarato il primo ministro serbo, Vojislav Kostunica, nel corso della manifestazione celebrativa del Giorno del Kosovo. «La Serbia avverte che, costi quel che costi, non sarà complice di questa aggressione» ed ha aggiunto che «chiunque osi confiscare il territorio della Serbia dovrà assumere la piena responsabilità di questa aggressione». Da Pristina, ieri, il segretario generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer, ha messo in guardia sul fatto che la Forza per il Kosovo (KFOR) non tollererà «nessuna forma di violenza» e che è pronta, con i suoi 16mila uomini, per ogni eventualità. Dal canto suo Martti Ahtisaari, mediatore dell’ONU, ha garantito l’integrità territoriale del Kosovo e «coloro che pensano che la divisione del Kosovo sarà la soluzione, si sbagliano di grosso, perché questo non succederà mai».

 

  • Palestina. 16 febbraio. Washington boicotterà tutti i membri del nuovo esecutivo palestinese, inclusi gli indipendenti ed i membri di al-Fatah, a meno che il nuovo Esecutivo adempia i suoi cosiddetti obblighi internazionali di riconoscimento di Israele, accettazione degli accordi precedenti e rinuncia alla violenza. Lo riferisce il quotidiano israeliano Haaretz. Ieri il presidente palestinese, Mahmud Abbas, ha reincaricato, come primo ministro, Ismail Haniyeh. L’accordo per la nascita di un governo di unità nazionale è stato reso possibile dopo che Abbas e Haniyeh hanno superato le loro differenze e dopo che il primo ministro ha imposto tre condizioni dell’ultima ora, premessa per le dimissioni del suo governo e per il re-incarico. La prima fa riferimento all’accettazione di tutte le decisioni prese dal governo Hamas; la seconda, un accordo sul candidato che dovrà ricoprire la carica di ministro degli Interni (a sceglierlo sarà Hamas, ma con il placet di Abbas); la terza, Ziad Abu Amr come ministro degli Esteri, indipendente eletto con l’appoggio di Hamas. Haniyeh ha ora cinque settimane per formare un governo che riunisca tutte le principali forze politiche palestinesi.

 

  • Venezuela. 16 febbraio. Riduzione IVA e riforma monetaria. Lo annuncia il presidente Hugo Chávez alla sua consueta trasmissione radiofonica “Aló presidente” che da ieri, anziché andare in onda la sola domenica, sarà trasmessa dal lunedì al venerdì. L’Imposta sul valore aggiunto (Iva) diminuirà del 5% –tre punti percentuali a partire dal 1° marzo e altri due dal 1° luglio– e sarà avviata una riforma monetaria, a partire dal 2008, con altre misure per scongiurare l’inflazione che nel dicembre 2006 ha chiuso al 17% contro il 14,4% del 2005. Chávez ha anche annunciato nuovi sussidi ai produttori di cotone, canna da zucchero, riso e sorgo per 393.000 milioni di bolívares (182,7 milioni di dollari). Preoccupato per la tendenza al rialzo dell’inflazione negli ultimi mesi e la progressiva mancanza sugli scaffali dei supermercati di beni di prima necessità già in regime di blocco dei prezzi dal 2001, il governo ha deciso nei giorni scorsi l’abolizione totale dell’Iva su alimenti di base come carne, pollame e uova. In quanto al processo di riforma monetaria, Chávez ha chiarito che il suo obiettivo è «che il bolívar recuperi tutto il terreno perso sul dollaro, l’euro e le altre valute mondiali».

 

  • Irlanda del Nord. 17 febbraio. Una polizia «giusta e imparziale», come deve fare un servizio pubblico. E, inoltre, superare le connivenze (tra polizia, agenti segreti e squadroni paramilitari lealisti, ndr), il trattenimento di informazioni nelle inchieste di polizia (ad es. Sinn Féin chiede la verità su quattro membri dell’IRA uccisi 15 anni fa dalle forze speciali britanniche, SAS, nel nord Irlanda; sono decine le inchieste, secondo Sinn Féin, in cui la polizia ricorre ai Certificati di Immunità sull’Interesse Pubblico), smilitarizzazione e creazione di una polizia disarmata: sono alcune delle questioni chiave su cui hanno trattato, ieri, la delegazione del Sinn Féin ed il capo della Polizia nordirlandese (PSNI), Hugh Orde. Il presidente del Sinn Féin, Gerry Adams, che guidava la delegazione (Gerry Kelly, portavoce in materia di polizia, Catriona Ruane, Michelle Gildernew e Alex Maskey), ha detto che, sebbene il Sinn Féin abbia assicurato i cambi necessari nelle strutture di polizia, in accordo con quanto convenuto nell’Accordo del Venerdì Santo, è responsabilità di tutti che questi cambi siano applicati come furono concordati allora. Per la delegazione repubblicana è importante la smilitarizzazione delle strutture di polizia, includendo la creazione di un servizio di polizia disarmato come contrappunto all’immagine della polizia attuale. Adams ha chiarito che i repubblicani sperano che le prossime riunioni permettano discussioni più centrate in materie specifiche, per avanzare nell’agenda così come deciso nella riunione speciale del partito, lo scorso 28 gennaio, quando i repubblicani hanno votato a larghissima maggioranza di cambiare la politica di rifiuto alla polizia nordirlandese.

 

  • Sahara Occidentale. 17 febbraio. Almeno dieci saharawi gravemente feriti, ieri, in una manifestazione a El Aaiun. Tra loro due minori di dodici anni. «Le forze di repressione marocchine» sono intervenute pesantemente contro un corteo che reclamava l’immediata messa in libertà dei 38 prigionieri politici in sciopero della fame da oltre due settimane e le cui condizioni di salute si troverebbero in uno stato critico. Ne dà notizia il ministero per i Territori Occupati e la Diaspora dell’autocostituita Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD). Fonti della RASD denunciano anche che forze marocchine «hanno saccheggiato due domicili saharawi e torturato i suoi abitanti».

 

  • Repubblica Ceca. 17 febbraio. Nuove proteste contro il radar antimissile USA nella base di Jince, a circa 60 km a sudovest di Praga. Dopo la prima manifestazione di gennaio e quella della settimana scorsa, oggi si torna a sfilare a Praga e in molte città ceche. Gli USA hanno intenzione di costruire un sistema integrato di difesa in centro Europa: il radar presso Praga e lo scudo antimissile nella vicina Polonia, ufficialmente per difendersi «eventualmente» da Iran e Corea del Nord. La notizia ha già provocato dure reazioni da Mosca che si sente minacciata. E una mezza crisi di governo in Polonia, dove si è dimesso, anche su questo, il ministro della difesa. Secondo un sondaggio dall’agenzia Ipsos-Tambor pubblicata dall’agenzia ufficiale Ceteka, i cittadini cechi contrari sono ben il 56%.

 

  • Russia. 17 febbraio. Novità politiche ufficializzate ieri da Putin. Nel corso di una riunione dei vertici del ministero della difesa, il presidente russo ha annunciato: a) la promozione del ministro della difesa Sergei Ivanov a primo vicepremier, con vaste competenze nel campo economico, oltre che della sicurezza; b) la nomina di un nuovo ministro della difesa (che come già Ivanov è un civile, Anatoly Serdyukov, ex capo del Servizio fiscale federale) accompagnata da una riorganizzazione del ministero, nel quale il ministro dovrà occuparsi soprattutto della produzione e della commercializzazione internazionale delle armi, mentre la gestione delle forze armate e la politica militare in senso proprio saranno affidate interamente allo stato maggiore; c) la nomina a presidente della Cecenia di Ramzan Kadyrov, «uomo forte» delle bande armate pro-russe che negli ultimi tre-quattro anni hanno terrorizzato la regione, nonché autore in prima persona (come documentano varie testimonianze e persino dei video) di sequestri, aggressioni e omicidi.

 

  • Russia. 17 febbraio. La Russia sta scivolando rapidamente verso la militarizzazione completa dello Stato. Secondo un calcolo recente, quasi i due terzi dei massimi responsabili delle strutture statali sono ex ufficiali dei servizi segreti o delle forze armate.

 

  • USA. 17 febbraio. Sono almeno 10 i miliardi di dollari sprecati in Iraq da Washington. Secondo gli ispettori del Congresso USA, oltre un quarto della somma contestata, 2,7 miliardi, sono andati alla Halliburton, il colosso petrolifero diretto dal vicepresidente USA Dick Cheney prima che approdasse alla Casa Bianca. Per il Government Accountability Office (Gao), circa un sesto della somma esaminata (un totale di 57 miliardi) sarebbe stata spesa senza controlli, a causa dei supplementi richiesti dai contractor e di spese non previste. Complessivamente gli USA hanno speso circa 350 miliardi di dollari per l’Iraq, ed il presidente Bush ha recentemente chiesto fondi supplementari sia per l’Iraq sia per l’Afghanistan pari a circa 100 miliardi di dollari.

 

  • USA / Iran. 18 febbraio. Autobomba di Zahedan: l’esplosivo è «made in USA». L’esplosivo usato per l’attacco che mercoledì ha causato la morte di 18 pasdaran (i membri dei reparti d’elite dei Guardiani della Rivoluzione) a Zahedan, nell’Iran sudorientale, sarebbe di fabbricazione e provenienza statunitense. Lo afferma l’agenzia stampa iraniana Fars che cita una «fonte informata». La stessa fonte ha riferito all’agenzia stampa che l’indiziato principale per l’attentato all’autobus dei pasdaran resta il gruppo militante sunnita Jundallah, interessato a fomentare la violenza tra sciiti e sunniti nella provincia iraniana del Sistan-Baluchestan. Il Jundallah ha già rivendicato l’attacco.

 

  • Venezuela. 18 febbraio. L’esecutivo approva la Ley Especial de Defensa Popular, che disciplina l’attività economica relativa ai prodotti considerati di prima necessità. La legge intende combattere in particolare l’accaparramento di beni alimentari. Questi beni vengono definiti «di utilità pubblica e interesse sociale» e lo Stato potrà confiscare temporaneamente supermercati o magazzini commerciali sospettati di speculazione, multarli o chiuderli. Il controllo sarà esercitato dai consejos comunales, organizzazioni di potere popolare decentrato.

 

  • Euskal Herria. 19 febbraio. I principi di Zapatero denotano «immobilismo». Lo sostiene Arnaldo Otegi, portavoce di Batasuna, in merito ai cinque princìpi («fine della violenza, rispetto delle leggi, accordo plurale multipartitico nel quadro della Costituzione, nessun passo mentre sussiste la violenza e determinazione per raggiungere la pace») esposti ieri da Zapatero per ricostruire il processo di pace. «Con strumenti redatti con l’estrema destra», come la Legge dei Partiti, non è possibile risolvere il conflitto, ha detto Otegi in conferenza stampa a Donostia, controrilanciando la proposta di autonomia politica con diritto a decidere presentata dalla sinistra abertzale (patriottica, ndr).

 

  • Catalogna. 19 febbraio. Personalità catalane annunciano l’avvio di una campagna per il diritto a decidere. La Plataforma pel Dret a Decidir, che un anno fa organizzò a Barcellona una imponente manifestazione contro i tagli allo Statuto, ha annunciato ieri l’inizio di una campagna per ottenere che i Paesi Catalani (Principato di Catalogna, Paese Valenziano, isole Baleari, striscia di Aragona e Catalogna Nord) possano decidere in referendum la loro autodeterminazione. Una nutrita conferenza stampa nella piazza Rei de Barcelona è servita ieri a presentare il progetto nel momento in cui si concreta una campagna per ottenere che i parlamenti autonomici dei Paesi Catalani godano del diritto di convocare referendum.

 

  • Palestina / USA. 19 febbraio. Il rifiuto totale USA di accettare Hamas come interlocutore è un’evidente ingerenza negli affari interni palestinesi. Non solo. Il presidente USA George W. Bush jr. si era arrogato pretestuosamente e infondatamente il compito di «esportare la democrazia». Se l’obiettivo è davvero quello di esportare la democrazia, non si capisce perché l’amministrazione stia assumendo atteggiamenti di massimo ostracismo rispetto a tre realtà scaturite da elezioni –più o meno (la terza)– libere: l’ANP dove ha vinto Hamas; l’Iran che ha eletto come presidente Mahmud Ahmadinejad; il risultato notevole dei Fratelli Musulmani in Egitto. Gli alti esponenti dell’amministrazione Bush parlano spesso di Hamas e Ahmadinejad, ponendo in evidenza la pericolosità delle loro posizioni oltranziste. Tuttavia, non viene dato abbastanza risalto al fatto che entrambi sono risultati eletti da una consultazione popolare. Il giudizio di valore sulle parti in causa dovrebbe essere considerato un elemento secondario da parte di Washington, giacché la democrazia significa meramente la possibilità di una libera scelta di un rappresentante, senza entrare nel merito delle scelte che un elettorato nazionale compie nel pieno della sua sovranità.

 

  • Iraq. 19 febbraio. La Resistenza irachena affina la sua strategia contro gli elicotteri statunitensi. The New York Times informa, nella sua edizione di ieri, che documenti dei gruppi della Resistenza attestano che i recenti attacchi contro elicotteri USA sono il risultato di una strategia minuziosamente preparata contro il potere aereo occupante. Una strategia consistente nell’inasprimento e coordinazione delle operazioni: i guerriglieri utilizzano simultaneamente mitragliette, mortai e missili terra-aria. Gli elicotteri persi dagli USA in Iraq dal 20 gennaio sono più numerosi di quelli persi l’anno scorso.

 

  • Afghanistan. 19 febbraio. Elicottero abbattuto alla vigilia della temuta offensiva di primavera talebana. In Afghanistan –a sentire il Comando occupante– gli elicotteri cadono per ragioni «inspiegabili» ed i blindati della NATO si scontrano in «incidenti multipli». Stavolta otto i militari USA morti e quattordici quelli feriti, nell’elicottero da trasporto caduto nel sudest del paese, uno dei bastioni della resistenza. La perdita dell’ultimo elicottero coincide con la confessione, da parte del comandante della NATO in Afghanistan, il generale olandese Ton Van Loon, che le forze della coalizione non controllano vaste zone «non solo del sud, ma anche dell’est, del nord e dell’ovest dell’Afghanistan». Dall’altro lato della frontiera afgano-pachistano, il governatore della provincia del Nordovest, Ali Mohamed Jan Aurakzai, assicura che quella che finora è stata presentata come ribellione talebana «si è trasformata in una sorta di guerra di liberazione nazionale pastun contro gli stranieri». I taliban appartengono all’etnia pastun, che comprende poco meno del 50% della popolazione afgana ed include i loro fratelli delle province di frontiera del Pakistan (Waziristan), in piena ribellione contro Islamabad. Il governo canadese ha intanto annunciato che tredici dei suoi soldati sono rimasti feriti ieri in una «collisione multipla» a Kandahar. Facevano l’autostop nel sud dell’Afghanistan? «Inspiegabile».

 

  • Afghanistan. 20 febbraio. I taliban conquistano Bakwa (ovest del paese) dopo il ritiro delle forze governative che ieri avevano perso altri quattro effettivi. Si tratta della seconda località che cade in mano ai taliban in tre settimane. Il 1 febbraio era stata conquistata la città di Musa Qala ed i territori circostanti.

 

  • Giappone. 20 febbraio. Tensioni tra Tokyo e Washington. Oggi Cheney visita un Abe sempre più in crisi, proprio come i rapporti tra i due paesi. Sempre più isolato sulla scena politica internazionale, uscito sconfitto dal recente negoziato a sei di Pechino sul nucleare nordcoreano, il governo di Shinzo Abe –intenzionato a ripresentare la sua candidatura al seggio permamente del Consiglio di Sicurezza, riciclando la sua vecchia proposta già respinta da USA e Cina– rischia ora di dover fare i conti perfino con Washington. Gli Stati Uniti non sono soddisfatti delle ultime sortite dei ministri del suo esecutivo. Il neo ministro della difesa Kyuma, dopo aver auspicato un attacco preventivo alla Corea del Nord, ha definito «un grave errore» l’invasione dell’Iraq e Cheney non ha voluto vederlo. Un gesto senza precedenti (non esiste che un ospite straniero rifiuti di incontrare uno dei ministri più importanti del governo, solo perché canta fuori dal coro) che ha imbarazzato il governo nipponico. Incontrerà –senza copertura stampa– sia il premier Abe che il ministro degli esteri Aso, anche lui sul piede di guerra. Poi vola subito via, su un elicottero USA, verso la base militare di Yokosuka, dove tiene una conferenza stampa a bordo della portaerei Kitty Hawk, da anni simbolo di un’«alleanza strategica» inevitabile e malsopportata. Lo testimoniano le 40mila firme raccolte dalla popolazione locale, che hanno chiesto al sindaco di Yokosuka di approfittare del pensionamento della Kitty Hawk per chiudere la base o almeno evitare che dall’anno prossimo venga ad abitarci la vecchia portaerei atomica George Washington. E lo testimoniano le sempre più numerose proteste che arrivano da tutte le località dell’arcipelago dove gli USA la fanno ancora da padrone, a cominciare da Okinawa per finire a Iwakuni. Qui le autorità giapponesi sono riuscite a sfrattare quantomeno gli aerei supersonici, che provocavano danni irreversibili alla salute della popolazione locale. Il settimanale Time è uscito, giorni fa, con una copertina inequivocabile: «Giappone, guardati attorno». All’interno, uno speciale di dieci pagine che spiega come il Sol Levante, di questo passo, rischia di entrare in rotta di collisione non tanto con la Corea del Nord o la Cina, ma con gli Stati Uniti.

 

  • Colombia. 20 febbraio. Famiglia complice dei paramilitari di estrema destra: si è dimessa ieri la ministra degli esteri Maria Consuelo Araújo. La sua situazione era divenuta insostenibile dopo che due fratelli (uno senatore e l’altro governatore) e il padre (ex senatore ed ex ministro dell’Agricultura), erano stati incriminati o arrestati per «associazione a delinquere» e «sequestro estorsivo aggravato» per i loro legami con il gruppo paramilitare delle AUC (Autodefensas Unidas de Colombia). I legami di esponenti politici della maggioranza con le AUC erano apparsi evidenti dopo la scoperta del computer del capo paramilitare Rodrigo Tovar Jorge 40: nei file erano indicate le attività di vari parlamentari e le loro riunioni con i comandanti delle squadracce. In precedenza la Corte aveva disposto la detenzione di altri tre congressisti che –come Araújo e Maloof– facevano parte della coalizione che appoggia il presidente Uribe. Il cosiddetto «scandalo della para-politica» si sta avvicinando inesorabilmente al presidente Alvaro Uribe che ha nominato, in sostituzione, Fernando Araújo nuovo ministro degli Esteri (nessuna parentela con la dimissionaria). Il nuovo titolare del dicastero, un ingegnere di 51 anni, non ha alcuna esperienza diplomatica e a lungo è stato isolato dal dibattito politico: per sei anni è rimasto nelle mani dei guerriglieri delle FARC e solo il mese scorso è riuscito a fuggire, approfittando di un attacco dell’esercito contro l’accampamento in cui era tenuto prigioniero.

 

  • Venezuela / Argentina. 20 febbraio. Il Venezuela e l’Argentina eleveranno il commercio bilaterale fino ad un miliardo di dollari nel 2007.

 

  • Iran. 21 febbraio. «Pronto l’attacco all’Iran». La BBC svela i piani USA. Innanzitutto ad essere attaccato sarà lo stabilimento di Nantaz, dove l’uranio viene arricchito. Ma sono incluse anche le basi militari di Isfahan, Arak e Bushehr e diversi centri di comando. Le armi che si prevede di usare sono «convenzionali»; nel caso dello stabilimento di Nantaz, le cui attrezzature da quanto se ne sa si trovano a 25 metri di profondità e sono protette da uno spesso «soffitto» di cemento armato, si prevede di usare bombe cosiddette «semi-nucleari», dalla potenza enormemente più devastante di quelle sganciate dagli USA sulla popolazione civile giapponese di Hiroshima e Nagasaki nel 1945. Si tratta di bombe pesanti da trasportare; si ricorrerà al costosissimo B2, il bombardiere «invisibile» che, quando fu sperimentato per la prima volta negli anni Novanta, suscitò scandalo perché non riuscì a sollevarsi da terra e per qualche tempo fu chiamato «il taxi invisibile». I piani, rivelati ieri dalla BBC (ma tutti pensano che le siano stati passati a bella posta per «premere» sull’Iran in vista della scadenza di oggi dell’ultimatum del Consiglio di Sicurezza dell’ONU), sono ufficialmente ipotetici. Una novità li rende allarmanti: oltre al presunto nucleare militare, l’amministrazione Bush sostiene che le truppe USA in Iraq subiscono attacchi con «alte perdite» per armi di provenienza iraniana. In una pantomima di alcuni giorni fa, due alti ufficiali USA tennero una conferenza stampa a Baghdad per mostrare armi iraniane catturate e affermare che «gli alti livelli del governo iraniano» erano responsabili di ciò. Seguì una smentita formale del generale Peter Pace, capo degli stati maggiori riuniti, che corresse i suoi sottoposti dicendo che «non ci sono prove che il governo di Teheran sia chiaramente a conoscenza o complice».

 

  • Iran. 21 febbraio. «Interrompiamo l’arricchimento dell’uranio ma interrompiamolo tutti, non solo l’Iran. Se vogliono dialogare, il modo di farlo è questo, non quello di privarci del nostro diritto a dotarci di energia nucleare». Lo ha detto il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad. L’arroganza USA è tutta nelle parole di Tony Snow, portavoce ufficiale della Casa Bianca. A chi, in conferenza stampa, gli ha chiesto cosa pensasse Bush delle parole di Ahmadinejad sull’interruzione «collettiva» dell’arricchimento dell’uranio, ha risposto che lui non ha voluto neanche prenderla in considerazione.
    «Vi sembra una proposta seria?», ha detto.

 

  • USA. 21 febbraio. Per i 395 prigionieri rinchiusi nelle gabbie di Guantanamo niente corti federali. La Corte d’appello del distretto di Columbia ieri ha confermato –respingendo un ricorso presentato dagli avvocati dei detenuti– la parte della legge «anti-terrorismo», approvata dal Congresso nell’ottobre 2006, che prevede che i reclusi della «guerra al terrorismo» non hanno diritto d’appellarsi alle corti federali statunitensi (cioè alla giustizia civile) ma devono essere giudicati unicamente da quella militare.

 

  • Venezuela. 21 febbraio. Greggio a basso prezzo di Caracas per i trasporti pubblici londinesi in cambio di consulenze. L’intesa comporterà la riduzione del 20% delle spese per i combustibili del comune di Londra «a beneficio di un quarto del milione di londinesi poveri» ha detto Livingstone; l’idea di questo «generoso accordo», ha aggiunto, «nasce da un suggerimento del presidente Hugo Chávez che vuole usare il petrolio per fare fronte al problema della povertà». Il sindaco di Londra, Ken Livingstone, storico esponente della sinistra Labour in rotta con il «nuovo laburismo» di Tony Blair (tanto che alle ultime elezioni si è presentato ed è stato eletto come «indipendente»), firma un accordo con il ministro degli Esteri venezuelano Nicolás Maduro: petrolio a prezzi preferenziali per il parco automezzi della capitale britannica in cambio di assistenza tecnica al Venezuela –quinto produttore mondiale di greggio– nei settori dei trasporti pubblici e delle politiche ambientali. Secondo Livingstone, Londra risparmierà l’equivalente di 32 miliardi di dollari l’anno, somma che sarà usata per dimezzare il costo del biglietto dei mezzi pubblici per 250mila abitanti. Alejandro Granado, responsabile della statale Petróleos de Venezuela Europa, ha detto: «È un accordo basato sulla complementarietà: noi siamo ricchi e molto forti in materia energetica, Londra lo è nella gestione del riciclaggio dei rifiuti e della pianificazione urbana». Secondo il ministro Maduro, «l’intesa dimostra che è possibile un altro mondo, fondato sui principi della solidarietà, della cooperazione e dello sviluppo condiviso». La geopolitica petrolifera di Chávez non è limitata solo al muncipio di «Ken il rosso». Ci sono anche Cuba, i piccoli paesi caraibici, i Comuni amministrati dall’FMLN (Fronte Farabundo Martì di Liberazione Nazionale) in Salvador e dall’FSLN (Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale) in Nicaragua, l’Ecuador, l’Uruguay, fino ai poveri di New Orleans e del Bronx newyorkese.

 

  • Francia. 22 febbraio. Rappresentanti delle nazioni senza Stato interpellano i candidati alla presidenza della Repubblica («salvo quelli dell’estrema destra») perché si posizionino sui loro diritti nazionali e il rispetto delle sue identità. Ieri, a Parigi, erano presenti –per i movimenti indipendentisti delle varie nazioni sotto amministrazione francese– Xabi Larralde (Batasuna), Jean-Guy Talamoni e François Sargentini (Corsica Nazione Indipendente), Jonatan Guillaume (Emgann-Bretagna) e Eric Goietche (Anaram au Patac-Occitania). Sebbene non presenti, il PKLS e la CNCP della Martinica, il MDES della Guyana e l’ERC della Catalogna hanno aderito all’iniziativa. Hanno ricordato che, nella Repubblica francese, esistono vari popoli (kanako, corso, basco, bretone, catalano...) «i cui diritti fondamentali, raccolti in diversi testi e convenzioni internazionali, dovranno essere rispettati», e che «come movimenti indipendentisti hanno deciso di avviare un lavoro comune a lungo raggio per la difesa di detti diritti». Ognuno dei movimenti ha difeso la sovranità del proprio popolo e affermato di non riconoscersi come cittadini francesi. Le presidenziali si terranno in Francia tra due mesi e, per questi movimenti, «non si tratta di elezioni che ci riguardano direttamente, giacché corrisponde ai francesi eleggere il loro presidente».

 

  • Nigeria. 22 febbraio. «Con il governo nigeriano sarà guerra totale». «Non potremo mai raggiungere una pace giusta senza una guerra totale contro il governo nigeriano e le compagnie petrolifere». In una missiva elettronica inviata ieri mattina a diversi organi di stampa, il portavoce del movimento Mend (Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger), Jomo Gbomo, ripete i suoi propositi bellicosi nei confronti del governo nigeriano e delle multinazionali del petrolio e del gas attive nel Delta del Niger. «Ci stiamo preparando a questa eventualità (della guerra totale, ndr) e non prendiamo in considerazione alcun tipo di dialogo basato sull’idea di giustizia del governo nigeriano», ha concluso Gbomo. Per sua stessa ammissione, il Mend è una sigla cui si rifanno varie cellule abbastanza autonome tra loro. Le azioni sono condotte dai singoli gruppi; la leadership decide poi se è il caso di assumerne la paternità rivendicando le azioni con comunicati che portano la solita intestazione «unrest in the Niger Delta» («sollevazione nel Delta del Niger»). Il Mend agisce così da quando è comparso sulla scena, tra la fine del 2005 e l’inizio dell’anno passato: i rapimenti sono rivendicati dopo circa 24 ore; le altre azioni –come le auto-bomba fatte esplodere nelle città di Port Harcourt e Warri– sono annunciate ai giornalisti con qualche ora di anticipo. Il Mend chiede una ridistribuzione più equa dei proventi del petrolio e anche una gestione più rispettosa dell’ambiente. I ribelli in pochi mesi sono riusciti a far ridurre del 20% le esportazioni di petrolio. Il territorio si estende per 70mila km quadrati e copre il 7.5% della Nigeria. Ex protettorato britannico, comprende nove stati: Abia, Akwa Ibom, Bayelsa, Cross River, Delta, Edo, Imo, Ondo e Rivers. Qui vivono più di trenta milioni di persone, appartenenti a 40 gruppi etnici diversi, che parlano 250 dialetti. È ricchissima di petrolio: ogni giorno se ne estraggono in media due milioni di barili. Ma la popolazione locale vive in estrema povertà

 

  • Nigeria. 22 febbraio. Non casuali gli attacchi di questi ultimi tempi contro le compagnie italiane. Secondo il sociologo Edward Omeire, che vive nella regione del Delta del Niger, gli italiani sono considerati una buona preda. I militanti del Mend non prendono più ostaggi statunitensi perché sanno che Washington ha sia una presenza militare nella regione, sia una precisa conoscenza dei flussi di armi che vi arrivano e di chi li controlla. In un certo senso, non vogliono stuzzicare troppo gli Stati Uniti per evitare reazioni sconvenienti. L’Italia è invece una piccola potenza europea, la cui opinione pubblica è sensibile ai problemi ambientali e, soprattutto, non accetterebbe mai operazioni militari contro i militanti. I ribelli puntano l’Italia perché pensano che il governo di Roma –che ha discreti interessi economici nella regione– possa fare pressioni su quello nigeriano per trovare una soluzione politica al problema del Delta.

 

  • Somalia. 22 febbraio. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha votato all’unanimità una risoluzione che autorizza l’Unione Africana (UA) a dispiegare in Somalia, per sei mesi, una propria forza di pace. Compiti delle truppe dell’UA saranno quelli di garantire la sicurezza nella capitale, Mogadiscio, a due mesi dalla cacciata delle Corti Islamiche. I 15 membri del massimo organo esecutivo del Palazzo di Vetro hanno autorizzato le truppe dell’UA, che prevede di inviare 8mila soldati, a ricorrere all’uso della forza.

 

  • Russia / Cecenia. 22 febbraio. Mosca indica Kadirov ed altri due candidati alla presidenza cecena. Le autorità russe hanno proposto ieri Ramzán Kadirov, presidente in funzione della Cecenia, ed altri due funzionari come candidati alla presidenza di questa repubblica. Insieme  a Kadirov, il rappresentante plenipotenziario del Cremlino nel Caucaso Sud, sono in lizza l’esponente di Russia Just, Muslim Juchiev, ed il responsabile dell’amministrazione di Grozny, Shajíd Dzhamaldaev. «A fine mese», fanno sapere dal Cremlino, «il presidente russo, Vladimir Putin, sceglierà uno dei tre candidati e lo proporrà per la sua approvazione al Parlamento ceceno». Tenendo conto che il Parlamento della Cecenia, creato alla fine del 2005, è dominato dal partito governativo Russia Unita, nessuno dubita dell’elezione di Kadirov come presidente.

 

  • Iraq. 22 febbraio. Blair suona l’inizio della ritirata (tornano 1600 soldati) e Danimarca e Lituania si accodano. Il premier di destra Anders Fogh Rasmussen ha annunciato ieri a Copenhagen il ritiro entro agosto dei 460 militari dislocati nel sud iracheno (saranno sostituiti da una flotta di elicotteri con 50 uomini e aumenterà forse da 400 a 600 i suoi militari in Afghanistan). La motivazione ufficiale di tutti –a Washington, a Londra e a Copenhagen– è la stessa, e suona patetica di fronte alle notizie quotidiane che vengono dall’Iraq: inglesi e danesi si ritirano perché nel sud ci sono stati dei «progressi». «Bassora è molto diversa da Baghdad», ha detto Blair. Il vice di Bush, Dick Cheney, è stato ancor più esplicito e parlando dalla tolda della portaerei Kitty Hawk all’ancora nella baia di Tokyo, ha sostenuto senza batter ciglio che l’annuncio di Londra «è la conferma che in certe parti dell’Iraq le cose stanno andando ragionevolmente bene» («pretty well»). Il parziale disimpegno di Londra, per la BBC, è «non la fine dell’impegno britannico ma un momento psicologicamente importante che potrebbe segnare l’inizio della fine».

 

  • Iraq. 22 febbraio. Il Comando USA ha riconosiuto la perdita di un altro elicottero, l’ottavo in un mese, in Iraq.

 

  • Afghanistan. 22 febbraio. Nuovo appello ai membri della NATO affinché aumentino gli sforzi e diano prova di «solidarietà» nella lotta contro i taliban. Lo ha lanciato ieri, da Bruxelles, l’alto consigliere USA per la sicurezza nazionale, Steve Hadley, nel corso di un incontro con il segretario della NATO, Jaap De Hoop Scheffer.

 

  • USA. 22 febbraio. Gli Stati Uniti vogliono installare nel cuore dell’Europa orientale il «sistema Abm», missili intercettori. È un sistema non di difesa ma di offesa: se un giorno gli USA riuscissero a realizzarlo, sarebbero in grado di lanciare per primi un attacco contro un paese, fidando sulla capacità dello «scudo» di neutralizzare o attenuare gli effetti di una eventuale rappresaglia. Gli USA vogliono installare in Polonia 10 missili intercettori e una stazione radar Abm nella Repubblica Ceca. Nella strategia del Pentagono questo è il primo passo per estendere lo «scudo» ad altri paesi dell’Europa orientale (il governo ucraino si è già detto disponibile) e al resto d’Europa: la Gran Bretagna ha messo a disposizione del Pentagono il radar della base di Fylingdales. Ufficialmente, l’installazione dei missili intercettori in Polonia dovrebbe servire a proteggere gli Stati Uniti e l’Europa dai missili balistici della Corea del nord e dell’Iran. La motivazione però non regge. Nessuno di questi paesi, né un altro «Stato canaglia», ha missili in grado di minacciare gli Stati Uniti e l’Europa. Per di più la Corea del Nord, se volesse colpire gli Stati Uniti, lancerebbe i suoi missili non certo verso ovest al di sopra dell’Europa. E, se si volessero intercettare i missili iraniani (che non possono raggiungere gli USA e l’Europa, né sono armati di testate nucleari), occorrebbe installare i missili Abm in Turchia o altri paesi limitrofi.

 

  • USA. 22 febbraio. Non resta che una conclusione, quella che hanno già tratto a Mosca: il piano statunitense di installare missili Abm nell’Europa orientale mira ad acquisire un ulteriore vantaggio strategico sulla Russia. Il capo di stato maggiore russo, generale Yuri Baluyevsky, ha dichiarato che, di fronte alla progettata installazione dei missili Abm nell’Europa orientale, «abbiamo trovato metodi adeguati e asimmetrici che ci permettono di dire: gli esistenti e futuri sistemi Abm saranno efficacemente penetrati dai nostri missili balistici intercontinentali e dalle loro testate». E lo stesso Baluyevsky avverte che la Russia potrebbe anche ritirarsi dal Trattato Inf (Intermediate range nuclear forces) del 1987, che ha permesso di eliminare i missili a raggio intermedio schierati in Europa. Spira così sull’Europa, di nuovo, il vento della guerra fredda. Anche se i missili intercettori saranno inutili, Washington può così conseguire un primo risultato: dimostrare che gli alleati europei, per essere sicuri, devono stare sotto lo «scudo» politico-militare statunitense.

 

  • Uruguay. 22 febbraio. Uruguay, il cambio che non cambia. Due anni di Tabaré al governo. Il primo marzo 2005, giorno dell’assunzione del presidente socialista Tabaré Vazques, alla testa del Frente Amplio fu una grande festa popolare. S’insediava il primo governo di sinistra nella storia uruguayana. Dopo due anni la domanda di tutti è: il governo di centro-sinistra sta davvero facendo la differenza? Con un totale di 3.5 milioni di abitanti (e un 10% di emigrati all’estero) oggi un terzo della popolazione del paese è povera. Sono le centinaia di migliaia che vivono negli asentamientos, uguali alle villas miseria argentine o alle favelas brasiliane. Nel 2005 il governo ha avviato un Piano di emergenza sociale. Non si possono ancora trarre conclusioni definitive ma c’è il rischio che sia l’ennesimo piano assistenziale, per chiudere la bocca ai poveri con qualche spicciolo e alcuni programmi di formazione e creare l’illusione di un cambio mentre la popolazione rimane nella spirale perpetua del debito.
    In generale, il governo segue scrupolosamente la lezione dei guru del Consenso di Washinghton, continuando di fatto la politica dei suoi predecessori. I governi di Lacalle (dei Blancos) e Battle (dei Colorados) hanno avviato la politica neoliberista, con l’apertura alle imprese USA ed europee, la cessione di buona parte della terra fertile (la ricchezza del paese) nelle mani di imprese straniere e la firma di una paio di dozzine di trattati di protezione degli investimenti (Tpi) con altrettanti paesi.

  • Uruguay. 22 febbraio. L’attuale governo di Vazquez, in meno di un anno, ha firmato con gi USA l’ennesimo Tpi e successivamente un accordo-quadro per il commercio e gli investimenti (Tifa), non chiudendo la strada ad un eventuale trattato di libero commercio (ma un Tlc formale comporterebbe l’esclusione dal Mercosud). In sintesi, l’accordo è «vacche contro neoliberismo». Gli USA acquistano carne da un paese che, pur avendo i bovini migliori del mondo cresciuti all’aria aperta e senza farine animali, non possiede lo stesso sistema di sovvenzioni del Nord. In cambio l’Uruguay faciliterà gli affari delle imprese USA nell’ambito del commercio e dei servizi. L’altro partner d’oro è l’Europa. Alcune imprese europee, specie scandinave e spagnole, stanno trasformando il paese in una piantagione di eucalipti, utilizzati per l’industria del legno e la produzione delle carta. Tra qualche tempo gli scarichi delle industrie del vecchio continente si apriranno nel Rio Uruguay ed in altri fiumi vicini. I rischi, che si manifestano già nelle aree forestate ad eucalipti, sono l’alterazione del ciclo delle acque, la contaminazione delle falde, l’impoverimento del suolo, la distruzione dell’agricoltura familiare, la disoccupazione.

 

  • Uruguay. 22 febbraio. Sebbene i movimenti qui non siano forti come nel resto del continente, la gente si organizza per trovare soluzioni efficaci e non lasciar fare solo alla politica. Due anni fa fu approvata con un referendum una riforma costituzionale sul diritto all’acqua come bene comune. E oggi la costituzione afferma che l’acqua è un diritto umano ed impone la gestione pubblica dei servizi idrici. Le europee Suez ed Aguas de Bilbao sono state rimandate a casa loro. Altro punto caldo è la terra. Il 75% della terra fertile è nelle mani di pochi latifondisti, spesso di origine straniera, e solo il 25% nelle mani di piccoli produttori locali. Nel 2006 sono iniziate le prime occupazioni di terra, nel nord. I protagonisti sono i cañeros (produttori di canna da zucchero) ed i piccoli allevatori, appoggiati da sindacati, entrambi parte di una lotta continentale per il diritto alla terra ed alla sopravvivenza. Infine, ma non meno importante, il lavoro dei cartoneros, i riciclatori di rifiuti solidi. I più poveri tra i poveri che vanno in giro giorno e notte rovistando tra la spazzatura dei quartieri ricchi, in cerca di materiale riciciclabile, che viene venduto a prezzi stracciati ad intemediari. Nella sola Montevideo non sono meno di 15.000 i cartoneros, una parte riuniti in un sindacato informale per far sentire la loro voce.

 

  • Siria. 23 febbraio. La Siria sta rafforzando «in un modo senza precedenti» la sua presenza sulla zona di confine con le alture del Golan con «l’aiuto di generosi finanziamenti dell’Iran». È quanto ha scritto ieri il quotidiano israeliano Haaretz, sottolineando che Damasco ha «ridispiegato le forze lungo il confine, muovendole più vicine al confine con Israele sulle alture del Golan». Il quotidiano parla in generale di un potenziamento degli arsenali militari siriani, soprattutto per quanto riguarda un grande numero di «missili e razzi a lunga gittata». Anche la Marina siriana sarebbe stata rafforzata. La Russia, prosegue Haaretz, sarebbe coinvolta in questo riarmo di Damasco, dal momento che Mosca starebbe per vendere ai siriani una serie di missili anti-carro di modello avanzato. Immediata la smentita delle autorità di Damasco: «non è in atto alcun movimento militare siriano sul terreno».

 

  • Iran. 23 febbraio. Teheran non ha sospeso ma aumentato l’attività per la produzione dell’uranio arricchito che però non è tale da consentire di elaborare bombe atomiche. Più precisamente il rapporto di sei paginette dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), presentato ieri, a Vienna, dal suo direttore Mohammed el Baradei, riconosce che il livello di arricchimento raggiunto ad esempio a Natanz è «inferiore al 5%», molto lontano da quel 90% che si considera necessario per fabbricare bombe. Non esistono quindi nemmeno indizi di attività di riprocessamento su cui gli USA dicono invece, senza peraltro esibirle, di avere prove. Da Teheran, il presidente Mahmud Ahmadinejad, «non rinuncerà nemmeno alla minima parte dei suoi diritti nucleari», perché questa «è la chiave per lo sviluppo nazionale e per preservare la civilizzazione iraniana». Riferendosi alle tensioni tra il suo paese e gli Stati Uniti, «deplorevolmente il nemico mostra le sue armi quando si trova alle strette. Riteniamo che sia finito il tempo delle armi e delle bombe atomiche», ha proseguito, affermando che «se l’arma atomica fosse servita un po’ agli Stati Uniti, avrebbero vinto la guerra in Iraq». L’Iran, ha sottolineato Ahmadineyad, preferisce dare una soluzione al contenzioso sul suo programma nucleare attraverso il «dialogo e la logica», giacché «è terminata l’epoca delle armi, di mostrare i denti ed imporre il linguaggio della forza».

  • Russia / Giappone. 23 febbraio. Quando il nucleare è buono. Se quello iraniano è cattivo, quello di altri paesi è invece buonissimo. Secondo il quotidiano Yomyuri, il Giappone intende appaltare alla Russia la produzione di uranio arricchito per alimentare i suoi cinquanta reattori nucleari, dal momento che Tokyo non ha centrali di arricchimento in base alla politica di disarmo imposta dai vincitori dopo la seconda guerra mondiale.

 

  • Euskal Herria. 24 febbraio. Feriti e contusi a Bilbao per le cariche della polizia contro una manifestazione del movimento pro amnistia per i detenuti baschi, proibita dal giudice Baltasar Garzón. Diversi i fermati tra cui Joseba Permach, della direzione del partito illegalizzato Batasuna. Secondo i media baschi, un altro dirigente del partito indipendentista, Pernando Barrena, è stato medicato in ospedale. Il quotidiano basco Gara scrive che concentrazioni proseguono in alcune parti della città e la polizia continua a disperderle con la forza. Usati anche proiettili di gomma. La manifestazione in favore dell’autodeterminazione, dell’amnistia per i detenuti politici baschi e di appoggio per Iñaki de Juana Chaos, che da un mese e mezzo sta facendo uno sciopero della fame in carcere, era stata proibita da Garzón perché convocata da Askatasuna, organizzazione illegale di appoggio ai detenuti dell’ETA. La tensione è alta anche per la vicenda di de Juana, al quale da oggi è stata tolta la sonda gastrica attraverso la quale veniva alimentato forzosamente. A questo punto è forte il timore per la sua vita. Oggi varie notizie si sono incrociate su de Juana dopo che El Mundo ha scritto che aveva interrotto lo sciopero della fame. Notizia poi smentita ufficialmente e dal suo avvocato. De Juana protesta contro una condanna inflittagli per reati d’opinione (articoli scritti mentre era in carcere), che gli impedirebbe di uscire dopo averne scontata una precedente a 18 anni.

 

  • Norvegia. 24 febbraio. Accordo sulla proibizione delle cluster bomb, ma Washington dice no. Ieri, in Norvegia, una risoluzione di 46 paesi prevede la nascita di un Trattato che proibirà «l’uso, la produzione, la vendita e lo stoccaggio delle munizioni cluster, che causano danni inaccettabili alle popolazioni civili». Gli Stati Uniti avevano già espresso contrarietà e, per bocca del portavoce del Dipartimento di Stato Sean McCormack, hanno ribadito che le cluster continueranno a «far parte dell’arsenale statunitense» e «saranno usate con appropriate regole di ingaggio». Con Washington si sono schierati i grandi produttori e utilizzatori di cluster (Israele, India, Pakistan, Cina, Russia) che alla conferenza non hanno nemmeno partecipato. Tra i partecipanti (49) tre paesi hanno dato parere negativo: Polonia, Romania e Giappone.

 

  • Turchia / Kurdistan. 24 febbraio. Arrestato in Turchia il dirigente di un partido kurdo accusato di «incitare alla guerra». Hilmi Aydoglu, dirigente del Partito Democratico della Turchia, è stato arrestato ieri a Diyarbakir, accusato di «incitare» i kurdi della Turchia a sollevarsi in armi se Ankara avvierà un’offensiva militare nel nord dell’Iraq, a maggioranza kurda. La Procura lo accusa di «minacce alla sicurezza pubblica per incitare all’odio e all’inimicizia razziale», il che comporta una pena massima di tre anni. Ankara teme che i kurdi iracheni utilizzino il controllo su Kirkuk per ottenere i finanziamenti necessari a creare uno Stato indipendente e ha avvertito che entrerà nel Kurdistan iracheno se vede minacciati i suoi interessi. Secondo Aydoglu, un eventuale attacco turco a Kirkuk potrebbe scatenare uno scontro tra lo Stato ed i kurdi.

 

  • Palestina. 24 febbraio. L’ONU paragona l’occupazione della Palestina all’apartheid. La situazione che si vive nella Palestina occupata da Israele e quella che esisteva nel Sudafrica dell’apartheid sono molto simili. È quanto rileva una relazione sui diritti umani a Gaza e Cisgiordania elaborata dal relatore ONU John Dugard, avvocato di nazionalità sudafricana. Dugard ricorda che ci sono «tre regimi incompatibili con i diritti umani: il colonialismo, l’apartheid e l’occupazione straniera. Israele sta portando avanti un’evidente occupazione militare dei territori palestinesi. Allo stesso tempo, questa occupazione ha elementi di colonizzazione e di apartheid che sono contrari alla legislazione internazionale», è scritto nella relazione.

 

  • Iran. 24 febbraio. I media britannici insistono sulla possibilità non remota di un intervento militare USA contro l’Iran. Oggi è la volta del Daily Telegraph. Il quotidiano conservatore, citando un alto responsabile della difesa israeliana, afferma che negoziati sono in corso perché gli USA concedano una sorta di «corridoio aereo» in Iraq per «attacchi aerei chirurgici» e unilaterali contro i siti nucleari iraniani. Un’altra fonte militare israeliana ha dichiarato al Telegraph che «il solo modo di colpire l’Iran è sorvolare lo spazio aereo iracheno controllato dagli USA». A rafforzare l’ipotesi di piani di attacco contro l’Iran sono le affermazioni di un funzionario israeliano che collabora al comitato strategico sulla minaccia nucleare iraniana voluto e presieduto dal premier Ehud Olmert. La fonte, citata dallo stesso quotidiano, ha detto che «lo sforzo profuso su questa questione è senza precedenti nella storia di Israele». Piani d’attacco USA all’Iran sarebbero peraltro già pronti. Secondo fonti militari anonime, obiettivi delle forze USA non sarebbero solo gli impianti nucleari ma anche basi aeree e navali e depositi di missili. Responsabili governativi britannici –citati ieri in forma anonima dal Times di Londra– temono che il presidente statunitense George W. Bush attacchi l’Iran prima che termini il suo mandato, nel gennaio 2009. Bush «vuole chiudere la questione iraniana con mezzi militari. Si tratta di una cosa che egli non vuole trasmettere ai suoi successori senza averla conclusa». Forse proprio in quest’ottica si può leggere la corsa al riarmo, sempre più rapida, dei paesi del Golfo alleati degli USA. Come sottolinea oggi l’International Herald Tribune, questi Stati arabi sunniti –Arabia Saudita in testa– hanno incrementato la cooperazione militare con Washington e hanno «iniziato