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Un miliardo di consumatori. Lo sviluppo capitalista in Cina

di Oscar Marchisio - 05/03/2007

 
La Cina rappresenta oggi la punta più avanzata e insieme lo squilibrio maggiore del capitale.
Per questo è un grande laboratorio dove si possono leggere e analizzare i nodi critici e i luoghi più avanzati della forma e delle contraddizioni capitaliste. Un grande laboratorio che ci interessa molto proprio per l'analisi di fenomeni che sono quantitativi ma traducono eventi "qualitativi" o, meglio, perché rende macroscopico il "brutto" del capitale.
Vediamo i nodi critici:
1) crisi del modello auto/petrolio ed esaurimento fisico del pianeta con tale modello;
2) esasperazione della forma del consumo come "tecnica" di comando dei comportamenti collettivi;
3) obsolescenza della forma politica della rappresentanza in contesti di turbo-capitalismo;
4) manifestazione (collegata al punto precendente) di "movimenti virali" sia fisici che politici in risposta al turbo-capitalismo.
Da questo punto di vista, l'evoluzione della macchina socio-economica cinese ci riguarda tutti, molto più della pura invasione dei prodotti manufatti dalla fabbrica cinese, un processo già avvenuto e ormai in qualche modo tradizionale.
L'innovazione importante sta nella progettazione giuridica e mediatica del mercato interno cinese come evento epocale e nella discontinuità rispetto al procedere del capitalismo novecentesco. Il nuovo secolo si apre con questa frattura dimensionale e qualitativa. Infatti il modello auto/petrolio acquista, con la diffusione in Cina e in India, un'accelerazione che renderà drammatico l'approvvigionamento energetico molto prima delle previsioni, sia quelle dei pessimisti del "peak group" sia quelle degli ottimisti dell'Agenzia scientifica del governo degli Stati uniti [Usgs].

La crescita dello sviluppo, con la dimensione quantitativa cinese che segue e si adegua al modello che ha guidato sinora la forma capitalista, l'auto privata, fa esplodere sia i vincoli ambientali delle città sia quelli spaziali. Acutizza inoltre lo scontro con gli Usa per il governo degli approvvigionamenti petroliferi e del metano.
Il contesto che si profila è dunque quello di un successo della crescita cinese nel settore auto. Già alla fine del 2006, vi sono 7 milioni di autoveicoli prodotti, un'ottima dinamica che produce effetti devastanti a più livelli: per l'ambiente in Cina come per gli equilibri militari in vari luoghi come, per esempio, l'Iran e il Sudan.
Molto probabilmente l'acutizzazione militare sarà più veloce e critica di quella ambientale, ma renderà il caos climatico più violento, anzi renderà evidenti e attuali le previsioni di Qiao Liang e Wang Xiagsui sulla "guerra senza limiti" [Qiao Ling e Wang Xiagsui (2001), "Guerra senza limiti", Libreria Editrice Goriziana].

Questi due colonelli dell'Aeronautica militare cinese hanno analizzato e precisato lo spazio della nuova guerra: non vi è più distinzione fra guerra e pace ma una "guerra senza limiti" può coinvolgere due sistemi con azioni di "guerra biochimica ed ecologica", destrutturando clima e modificando virus come azioni belliche.
Per questo la Cina è insieme il paese più rapido come sviluppo e il più fragile come esposizione ai cambiamenti climatici e ambientali, è insomma il luogo dove avvengono i processi più avanzati sia economici che socio-virali. Per passare al punto quattro del nostro elenco, l'evento Sars e altri possibili eventi virali si manifestano come cortocircuito "virale"nei confronti dell'eccesso di stress subito dal territorio e dal contesto sociale.
La reazione come malattia "fisica" del corpo sociale, anzi dei corpi umani, è la risposta quasi biopolitica all'eccesso di velocità del cambiamento, a una violenta promiscuità spaziale tra fabbrica e "abitare" che travolge ogni difesa di privacy e di dignità del lavoro vivo, costituendo così un unico terreno di sfruttamento, un vero e proprio humus di coltura per nuovi, pericolosi e più aggressivi "virus" fisici.

I corpi "violati" dallo sviluppo capitalistico reagiscono dunque con la malattia.
Il nodo uno e il nodo quattro esprimono problemi la cui dimensione specifica nasce proprio dalla Cina, mentre il due e il tre, intimamente collegati, esprimono la profezia di Debord nella sua forma orientale. La forma del consumo e lo spot pubblicitario, il suo intimo collegato, e dunque la forma dei media, hanno trovato nell'accelerazione della sociètà cinese l'espressione più compiuta.
La nuova dimensione urbana, cioè la ristrutturazione di antiche città e la creazione di nuove, si addensa attorno al Mall, il centro commerciale che diventa icona e simbolo della Cina moderna.

Il centro commerciale acquista una doppia funzione: spazio per il collettivo e motore per le identità. Con la tv svolge inoltre due funzioni essenziali: mantenere un collante nella società cinese e garantire la coesione e l'accelerazione.
Il consumo e il desiderio di consumo obbligano così le giovani donne dei villaggi a correre verso Shanghai e Guangzhou, creano un nuovo e dinamico mercato del lavoro e, nello stesso tempo, funzionano come "testimonial" del consumo urbano, meta e delizia della comunità agricola.

Il vero motore dell'economia capitalista cinese è proprio lo squilibrio che lo sviluppo delle città costiere ha determinato nei confronti della società agricola. Uno squilibrio che si muove in due sensi: nella direzione della formazione dell'esercito salariale di riserva e come vero e proprio "catalizzatore di desiderio", come "media" associato al media televisivo per controllare, attraverso il "desiderio coatto", la domanda di cambiamento e di identità della classe.
Il consumo funziona dunque come ammortizzatore delle classi medie urbane e come "macchina desiderante" per la soggettività delle campagne trasformandosi in una "fissazione libidinale" [come sostiene Felix Guattari in "Piano sul pianeta", Ombre corte] per tutti gli individui e soppiantando la necessità della rappresentanza.
Il consumo e la sua "desiderabilità", più la seconda che il primo, possono funzionare come macchina dell'identità, possono essere una vera e propria "rivoluzione molecolare" [per citare ancora Guattari] dal basso che sussume la macchina sociale e la torce ai suoi bisogni di dipendenza dal capitale.

Nel caso cinese, dunque, il consumo e la sua appendice mediatica sono i "dispositivi politici" che producono la coesione e l'identità necessarie alla velocità della crescita del capitalismo. Aprono, in questo modo, una questione di fondo fra la tenuta della società capitalista e la forma del comando, fra il crescere della stratificazione di classe e la sua rappresentazione ed identità.
Quale sarà la funzione e la critica della classe operaia in questo modello di capitalismo olistico e "statuale"? Quale nuova evoluzione presenterà il capitale nelle forme di un comando che supera, forse, la modalità della rappresentanza liberal-boghese?
Quel che è certo è che la Cina apre una strada al capitalismo da cui si uscirà non verso il passato ma verso il futuro. Non sappiamo quale, né in che modo questo processo potrà avvenire. Non sappiamo neppure con quali prospettive e con quali soggetti sociali. Si naviga a vista, con molta nebbia.