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Una società malata che si nutre di pettegolezzi

di Massimo Fini - 20/03/2007

 
"Tutti i giornali non possono pubblicare notizie che si riferiscono a fatti e condotte private che non hanno interesse pubblico e dettagli e circostanze eccedenti rispetto all'essenzialità dell'informazione, particolari della vita privata delle persone diffusi in violazione della tutela della loro sfera sessuale".Le pene per chi viola queste disposizioni vanno dai tre mesi ai due anni di reclusione.

Così recita il decreto, già operativo, emesso dal Garante della Privacy, Francesco Pizzetti, in seguito allo scandalo di Vallettopoli.Messo in questi termini il decreto, poiché non si riferisce solo a notizie che provengono da indagini giudiziarie ma ha valore generale, si configura come pesantissimo limite alla attività dei media.In base ad esso non si potrebbe dare notizia di vicende come quella di Lapo Elkann o scrivere che a Silvio Berlusconi piace il pesce o informare sugli amori di Totti, perché sono "fatti e condotte private che non hanno interesse pubblico". E in linea puramente teorica è giustissimo che sia così. Che diritto ha la gente di sapere quali sono le preferenze sessuali di un privato cittadino come Lapo Elkann o quali sono i flirt di Totti e che interesse pubblico c'è a conoscere cosa mangia l'onorevole Berlusconi?

Ma questo presuppone una società completamente diversa da quella che è diventata la nostra, una società ottocentesca, rigorosa, austera, riservata dove il pudore abbia ancora un senso. Quella del Duemila è la società dell'immagine, dei "reality", degli outing, della mancanza di qualsiasi riservatezza. Interpretato alla lettera il decreto del Garante della Privacy significherebbe, di fatto, la morte della foltissima schiera dei giornali specializzati in gossip, da Novella 2000 a Chi, e la riduzione degli altri a una sorta di "Gazzette Ufficiali".

La strada quindi non può essere, realisticamente, quella imboccata dal decreto Pizzetti. I divieti devono riguardare principalmente le indagini giudiziarie. E ripristinare il segreto istruttorio così come era previsto dal Codice Rocco. Il nuovo codice del 1988, quello di Gian Domenico Pisapia, è infatti un ibrido fra un sistema accusatorio e uno inquisitorio, per cui il contenuto di quasi tutti gli atti istruttori è pubblico, questi atti sono depositati in cancelleria e alla loro conoscenza hanno diritto non solo le parti private con i loro avvocati (inquisiti, parti lese, testimoni) ma qualunque cittadino e quindi, a maggior ragione, anche i giornalisti. Il Codice di Alfredo Rocco, che sarà stato anche un fascista ma era un giurista coi fiocchi, prevedeva invece il divieto di pubblicazione dei contenuti di tutti gli atti istruttori. Per due motivi. Il primo era di garantire l'efficienza delle indagini, il secondo di tutelare la riservatezza e l'onorabilità delle persone coinvolte a qualsiasi titolo in un procedimento penale nella delicata fase delle indagini preliminari quando il quadro giudiziario è ancora necessariamente incerto e molte di quelle persone potrebbero uscire dall'inchiesta prima che si arrivi al dibattimento, dove all'esame dei giudici sono portati solo i materiali che possono avere una rilevanza penale. Al dibattimento il diritto alla riservatezza e alla privacy deve cedere il passo a quello, più generale, dell'amministrazione della giustizia. In uno Stato democratico l'istruttoria è segreta, il dibattimento è pubblico (in quelli totalitari sono segreti entrambi). La debolezza del Codice Rocco stava nel fatto che per chi violava il segreto istruttorio erano previste solo pene pecuniarie e di modesta entità per cui per i giornali, soprattutto i più grandi e forti economicamente, era del tutto conveniente pagare l'ammenda ma assicurarsi lo scoop. Se si dovesse ripristinare il segreto istruttorio le pene dovranno essere sia personali che pecuniarie e queste ultime di rilevante entità per scoraggiare le violazioni.

Questo sul piano del diritto. Su quello sociale il decreto Pizzetti, pur sbagliato, mette il dito su parecchie piaghe. Non c'è dubbio che buona parte dei media italiani siano diventati una fogna, di gossip, di pettegolezzi, di notizie del tutto irrilevanti per l'interesse pubblico, date solo per appagare la curiosità morbosa o per farne un uso politico. Ma questo avviene anche perché la società italiana è diventata una fogna. E una fogna è diventata una parte consistente della sua classe dirigente. Si tratta di oligarchie, politiche ed economiche, che, oltre a tutto il resto, utilizzano il proprio potere per avere, col ricatto professionale, esercitato soprattutto servendosi della Tv, le ragazze più belle del Paese "lassando vecchie e laide altrui". Quando si arriva a questo si è a Bisanzio, cioè a una società profondamente corrotta. Ed è particolarmente protervo che questa classe dirigente si accorga di certe storture solo quando è essa stessa ad esserne toccata. Così accadde con Mani Pulite quando i politici si accorsero improvvisamente che esisteva, ohibò la carcerazione preventiva. Così accade oggi quando si accorgono delle sistematiche violazioni da parte dei media del diritto alla privacy, solo perché taluni di loro sono stati schizzati dal fango di Vallettopoli. Ma quando i vari massacri si compivano sul comune cittadino non gliene importava un fico secco.

È da molti anni che l'Italia si è avviata verso un doppio diritto: uno valido per "lorsignori", che devono rimanere immuni e intoccabili, l'altro per la generalità dei cittadini che devono lavorare e pagare le tasse per mantenere i privilegi dei primi. In altri tempi questo fu sufficiente per scatenare Rivoluzioni che versarono fiumi di sangue.